La diaspora di Tarallo e Taruffi

“Squassata da un dolore che solo la cospicuità dell’asse ereditario riesce in parte a mitigare, la Signora Elvira Teruzzi Guarda Accanto, ed i suoi figli Osvazzo, Emiciclo, Aspasia e Clorilda, più un adeguato numero di concubine, abilmente nascosto, partecipano la scomparsa, avvenuta in seguito ad un malaugurato incidente nel corso di una caccia al cinghiale, dell’amato marito, padre e compagno di acrobazie, Antonio Ferruccio Guarda Accanto, Cavaliere della Repubblica e fondatore della Ditta di Investigazioni “Guardaccanto”, specializzata nella individuazione di relazioni extraconiugali clandestine.
Le esequie del Cavaliere si terranno alle ore 12,00 in punto nella Chiesa di San Bitter a Borgo Cervo.
Per volontà della famiglia, il ricavato delle offerte raccolte nel corso della celebrazione verrà devoluto all’associazione benefica “La Cornocopia”, che assiste gratuitamente in giudizio i cornuti indigenti.”

Questo, per Efrem Tirabaci, il malinconico revisore di bozze del Fogliaccio, fu il necrologio che fece traboccare il vaso della sua scarsissima pazienza.

Lo aveva scritto, con particolare e maligno piacere, Marzio Taruffi, il cui cugino, Piergustavo, aveva da anni un conto personale aperto con l’estinto, per il quale provava un astio, mortale e motivato, che si era trasmesso a tutta la parentela.
Piergustavo, al contrario del suo olezzante parente, era un perito agrario che ad onta di una professione così rustica, dimostrava un’attenzione quasi maniacale alla cura della sua persona.
L’uso dei più aggiornati e reclamizzati bioprodotti di bellezza era ben testimoniato dalla sua perfetta confezionatura finale: shampi al mirtillo bretone, lozioni tonificanti all’estratto di ghiandole di babbuino, balsami all’essenza di bave miste, e un profumatissimo dopobarba a base di fiori alpini, gli donavano un aspetto così sano ed abbagliante da risultare irresistibile.
Contrariamente all’aria che circondava suo cugino Marzio, più pesante di quella di una discarica di Bombay, la brezza che spirava da Piergustavo Taruffi sapeva di alta montagna, levissima e purissima, e questa sua caratteristica, unita alla sua propensione mandrillesca per l’universo femminile, gli consentiva una straordinaria presa sulle donne, su donne di ogni età e tipologia.
Costretto al matrimonio dall’aver fecondato in età giovanissima, Rodolfa, la figlia, lievemente mustacchiuta, del portiere del palazzo in cui viveva coi genitori, un uomo ricchissimo per la sua doppia professione di custode e di capomafia, Piergustavo, non considerò mai lo status di sposato come un impedimento alle sue numerosissime relazioni con svariate esponenti del sesso gentile.

Piergustavo Taruffi

Nel tempo divenne un vero esperto nel tenere segretissimi i suoi tradimenti, cosciente del fatto che l’eventuale ira della moglie nell’apprenderli sarebbe stata poca cosa in confronto a quella di suo padre, che tra i suoi amici e sodali ne vantava più d’uno in grado di estrarre a vivo il pancreas di un uomo ad una velocità maggiore di quella di uno starnuto.
Non che non avesse rischiato moltissimo in certi casi: ancora ricordava bene il pomeriggio in cui l’inopportunissimo Signor Panzarotto, grossista di prodotti alimentari, aveva fatto rientro anticipato a casa, giusto mentre Piergustavo Taruffi stava provando con sua moglie Isaura la posizione dell’antilope, uno dei classici del kamasutra.
In men che non si dica era stato piazzato mezzo nudo nell’abnorme frigorifero di quella casa.
Non sarebbe stato un problema il freddo: fissato com’era con la cura del corpo, era avvezzo a fare saune squilibrate, dei veri e propri giri sull’otto volante che nel giro di qualche minuto lo vedevano sopportar temperature da altoforno e, qualche istante dopo, gelarsi il sorriso sulla neve, coperto solo da un risicatissimo asciugamano.
Quello che non aveva previsto riguardava i gusti plebei del commerciante di alimenti: il suo frigo era infatti stipato da imponenti forme di “Tanfone” un formaggio còrso così puzzolente e letale da ricordargli suo cugino Marzio.
Fu una tortura insopportabile resistere all’aggressione di quel lezzo quasi materiale per trenta, lunghissimi minuti, prima che Isaura, con un pretesto qualsiasi, riuscisse a rispedire il marito fuori di casa.

il “Tanfone”

Ma la sua smaccata fortuna di adultero, una buonasorte che lo aveva supportato per tanti anni, terminò quando intraprese una relazione con Francamaria Gascoigne, una ragazza disinvoltissima e attraente che lo aveva abbordato mentre acquistava una confezione magnum di balsamo al testosterone di orango in una erboristeria del centro.
Proprio mentre tentava di estrarre una gamba dal groviglio creato dalla loro entusiasta intimità, la Gascoigne gli si era rivelata come una detective dell’Agenzia Guardaccanto e, dimostrando un cinismo deplorevole dopo circostanze così piacevoli, gli aveva detto:
“Ora sono cavoli tuoi, Taruffi, tieni d’occhio il tuo pancreas d’ora in poi, perchè tuo suocero vorrà certamente piazzarlo nella sua bacheca dei trofei”.

Francamaria Gascoigne, dell’Agenzia Guardaccanto

Piergustavo fu così costretto ad abbandonare in fretta e furia la sua vita e a rifugiarsi presso una comunità di Inuit in Groenlandia, l’unico popolo che non possegga il concetto di proprietà privata dei beni materiali, né alcun concetto di possesso nelle relazioni interpersonali.
Al riparo così da eventuali cazzotti di mariti infuriati, visse tutto sommato una vita felice, impollinando più donne che potesse e sussultando solo alcune volte quando qualcosa, magari la carcassa di qualche bestia andata a male da un mese, gli faceva tornare in mente l’atroce formaggio Tanfone.

Donne Inuit

Efrem Tirabaci, il malinconico revisore di bozze, veniva da una famiglia di individui di poco fascino e di brutto aspetto, il più bello dei quali somigliava a Vlad l’impalatore, e, forse perchè non possedeva nemmeno un parente seduttore, la cui vita fosse stata dissestata dalle indagini dell’Agenzia di Investigazioni Guardaccanto, stavoltà si arrabbiò davvero e decise di non correggere il necrologio.
Fu così che, dando la solita sbirciata alle prove di stampa, il Direttore del Fogliaccio, Ognissanti Frangiflutti, incappò in quel testo, così spigliato per il suo genere.
Fu un peccato che la sua piroetta, altissima e spettacolare, non venisse registrata in quell’anno dei record sportivi italiani, perchè gli avrebbe fruttato, primo tra i soggetti della sua età, una convocazione nella Nazionale di Atletica.

Per lui quelle righe significavano una cosa sola: una ingombrante, pesantissima, causa per diffamazione dall’esito scontato in partenza.
Era tanto infuriato che, chiamando il fido Levalorto, la voce gli uscì in falsetto, come quella del celebre castrato Farinella.
“Portatemi qui quelle due sciagure!!”, e la frase gli venne fuori come un impressionante cinguettìo.
Prelevati dall’antibagno maleodorante della toilette dei giornalisti, Tarallo e Taruffi vennero scortati dall’untuoso caporedattore al cospetto di Sua Furiosità.
“Chi di voi ha scritto quel necrologio?”, ringhiò Frangiflutti con una voce tornata alla sua pur incerta mascolinità.
Marzio Taruffi si guardò intorno, poi, esitando un po’, alzò la mano, dando il via al solito volo di moschini in decollo dalle sue ascelle.
Il Direttore agitò vorticosamente le braccia per scacciare la nuvoletta insettesca, e, inferocendosi ancor di più per l’essere costretto a farlo, strillò:
“Sei licenziato, puzzolentissimo idiota, raccatta le tue cose e sparisci per sempre dalla mia vista!”
Taruffi, il ritratto dello sbalordimento, non riuscì a replicare, rimanendo muto e confuso.
Lallo allora intervenne e, senza star troppo a pensarci su, scandendo bene ogni parola, urlò:
“In questo caso, maledetto lecchino a vita, mi licenzierò anch’io, perché ho condiviso ogni frase di quel necrologio, che tu, amico di tutti i mascalzoni della città, hai ovviamente ritenuto impubblicabile. Andrò via, finalmente, da questo giornale di emme e farò subito in modo che lo sappia mio zio piduista!
A non rivederti più, pezzo di stronzo bene impacchettato!”

Rosso in volto per la rabbia, fece cenno a Taruffi di seguirlo e uscirono entrambi, lasciando il Direttore a cercare inutilmente di ribattere, mentre il gelo di una sottile paura lo invadeva: quel dannato zio piduista…
Nel frattempo Tarallo e il suo amico ritiravano i loro pochi effetti dalle minuscole scrivanie, e Taruffi che in sostanza teneva nel cassetto solo le sue stravaganti merendine, andava brontolando:
“Puzzolentissimo! Mi ha chiamato puzzolentissimo, che roba! E’ fuori dal mondo quel verme!”
Uscirono dalla redazione sotto gli sguardi muti e attoniti dei colleghi, atterriti dalla scena della quale avevano ascoltato distintamente ogni eco, e si trovarono presto nella grigia atmosfera invernale che fasciava tutta la città.
“E adesso? – chiese Marzio a Lallo – che accidenti facciamo?”
In quel momento Tarallo, con la faccia ancora riscaldata dall’ira, non riusciva a pensare a nulla di meglio che a false missive minacciose dello zio, spedite a Frangiflutti con l’intestazione della Loggia Grande Oriente d’Italia, meglio conosciuta come P2, e così, su due piedi, non seppe cosa rispondere all’aromatico amico.
Poi si fece prendere dal consueto spirito tribale e disse: “Chiederemo consiglio agli amici. Ci faremo tutti un consiglio di guerra intorno ad una pizza o davanti alle fettuccine al ragù dell’Addis Abeba e dopo decideremo qualcosa.
Loro ci aiuteranno a pensare al futuro”.
Si allontanarono insieme, almeno per un tratto di strada, ancora storditi dagli eventi, rimurginando ognuno dei due, pensieri vaghi, leggeri come l’acquerugiola che li bagnava.

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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