Frangiflutti e la coscienza sporca

Dopo alcuni giorni dalla riunione in cui si era stabilito l’organigramma del nuovo quotidiano, i futuri giornalisti vennero convocati da Omar Tressette nel palazzo di Via Ugo Chierichetti Marmotta per prendere un primo contatto, fisico e psicologico, con la loro futura sede di lavoro.
A causa dell’assoluta necessità di segretezza su tutta l’operazione giornale, i membri della banda Tarallo erano stati pregati da Benny Syracuse di non scoprire le carte con nessuno, in nessun caso, e di eseguire, prima di avviarvisi, rigorosi controlli tesi ad accertarsi di non essere notati o, peggio, seguiti.
In quel frangente fu buffo vedere quella compagnia eterogenea evidenziare quelle che su di loro erano state le influenze di una prolungata esposizione alle serie poliziesche televisive.
Ad esempio, l’insospettabile signorina Cleofe, l’ottantenne segretaria del Professor Cervellenstein, che aveva ingurgitato nel tempo centinaia di puntate di “Segretix”, una serie spionistica slovacca trasmessa in Italia da Tele/Sparo, nel tentativo di non dar nell’occhio si allontanò dal clichè delle sue consuete tenute sexy, e scese nel parcheggio del suo condominio inguainata in un lungo e sottile cappottone di pelle, stretto alla vita da una cintura funerea: era qualcosa che ricordava così tanto le atmosfere della Repubblica di Weimar da far credere che quel capo fosse stato scippato a Marlene Dietrich in persona.

E non era tutto: un vasto cappello a larghe falde gli atterrava sulla fronte, proprio sopra un paio di occhiali scuri che forse ne schermavano eccessivamente la vista, tanto che dopo due passi, la vecchia incocciò di faccia un grosso pilone del garage, abbandonandosi senza ritegno ad imprecazioni così forti ed innovative, che mai si erano udite in quel quartiere.
Afid, che in un certo senso era “del mestiere” e che per le sue necessità professionali era avvezzo a non farsi scoprire o a rendersi irreperibile in pochi secondi, proprio come un supereroe, con una sola occhiata fu in grado di escludere che qualche curioso di troppo fosse appostato per strada nella via dove abitava.
Meccanicamente fece qualche giochetto di destrezza con le carte del Mercante in fiera, poi si infilò nella sua malandata auto russa e passò tre quarti d’ora a fare un baccano d’inferno nel tentativo di metterla in moto, gasando un intero isolato di palazzi.
Si creò subito una folla di curiosi, convinti che fosse saltata in aria la torre dell gasdotto.
Abdhulafiah, che per una volta aveva abbandonato il comfort dei suoi abiti mediorentaleggianti, si avviò di buon mattino verso la fermata degli autobus, infilato in un elegante vestito da uomo d’affari.
Sembrava sgusciato fuori dalla rubrica di moda del Sole 24 Ore.
Gettò più di uno sguardo intorno, non trascurando alcuna delle raccomandazioni di Benny: sbirciò disciplinatamente sia l’esterno che l’interno del Bar dello Sport senza rilevare alcunchè di sospetto, al di là del vomito fluviale di Ciccio Lucciola, l’alcolizzato ufficiale di zona, che già a quell’ora precoce del mattino aveva completato tre giri di marsala e lambrusco.

Ciccio Lucciola, l’ubriacone ufficiale di zona

Provò cautamente ad avviarsi verso la fermata del bus quando si sentì afferrare da una mano d’acciaio:
“Perchè? Perché? Perché mi avevi detto che le Ultrafish Privilegiate sarebbero andate alle stelle e invece sono sprofondate all’inferno e io, che ne avevo fatto man bassa, mi ritrovo ora che una di quelle azioni vale meno di un referto microbiologico di Montesano? T’ammazzo disgraziato, mi hai raso al suolo!!”
Urlava come un posseduto da Astaroth.

Maramaldo Zacconi

In quell’ammasso di lineamenti stravolti dalla rabbia Abdhulafiah riconobbe a stento la faccia di Maramaldo Zacconi, un imprenditore di sanitari ecologici in legno di betulla moldava, al quale alcune settimane prima aveva dato qualche dritta.
Mentre gli schiamazzi di quell’anima dolente si diffondevano altissimi nella strada, richiamando uno sciame di oziosi che presto fece capannello, il consulente cercò di placarli come poteva:
“Risaliranno, è tutto previsto. La crisi Ucraina tirerà su quei titoli: c’è un bisogno fottuto di energia, quindi il settore dei pesci elettrici diventerà strategico per le potenze occidentali. Deve solo aver pazienza e si ritroverà con un patrimonio colossale”.

Ci riuscì. Zacconi parve calmarsi e, a poco a poco, si spense, permettendogli di levarsi di torno per arrivare in tempo alla riunione del giornale.
Contemporaneamente scendevano le scale di casa l’odoroso vicedirettore in pectore, Marzio Taruffi, e la sua splendida sorella Trudy.
Il rottame purulento del giornalista li attendeva, parcheggiato, non senza qualche ragione, in uno dei tanti posti riservati ai portatori di handicap.
L’incredibile e superammaccata Ford Anglia degli anni Sessanta li attendeva, mostrando la solita aria ambigua, un misto di stanchezza e minacciosa ironia.
“Dovremmo perquisirla Trudy, Benny è stato chiaro, potrebbero averci cercato qualcosa dentro…”
“Nessuno sano di mente lo farebbe, Marzio, a meno di voler metter su una ferramenta, un negozio di sterpi o un distributore automatico di incarti di merendine e snack assortiti

“Non scherzare, magari possono averci appiccicato delle cimici, come in quel’episodio di “Squadra la Squadra”, quando la mafia del Liechtenstein spiava gli industriali del tortello vignolese per copiare i nuovi modelli di pasta e venderli ai cinesi di Guangzhou. Dobbiamo controllare ogni angolo interno ed esterno: su, forza, vai con l’interno, io controllerò l’esterno”.

Taruffi controlla l’esterno

Trudy, che prudentemente indossava una doppia mascherina con filtro alla menta piperita e guanti da giardiniere, aprì lo sportello dell’Anglia col naso arricciato, gettando una prima, sconfortata occhiata alla massa di cose disparate che da anni si ammucchiavano nell’abitacolo, poi, con un sospiro eroico si mise all’opera.
Taruffi invece, memore dello stile dell’ispettore Ospelt, del Commissariato di Vaduz, eroe della sua serie favorita, percorse il breve perimetro dell’automobile col passo lentissimo e felpato di un gattone che si accosta ad un ignaro piccione, voltandosi di tanto in tanto a controllare che non ci fossero dei curiosi intorno.

L’ispettore Ospelt, del Commissariato di Vaduz

Poi, prima che l’urlo disperato della sorella lo raggiungesse, scongiurandolo di non farlo, si gettò in terra, strisciando sulla schiena per raggiungere la pancia nascosta della vettura, una macchina che pur ricordando un unico cambio d’olio in tutta la sua lunghissima esistenza, quotidianamente ne perdeva una quantità non misurabile, come se, mai rassegnata alla fame, si fosse ingegnata a produrre olio in proprio.
In quella stretta striscia di asfalto Taruffi, che non ravvisò alcuna traccia di cimici spia, si inguazzò in compenso di ogni genere di sostanza oleosa in putrefazione, peggiorando ulteriormente il suo già imbattibile tasso di puteolenza.
Quando infine si tirò su, spandendo un lezzo insopportabile, incontrò lo sguardo attonito della bella Trudy, mentre nei palazzi circostanti si chiudevano le finestre tenute aperte fin dal primo mattino per cambiare l’aria nei tanti appartamenti.

La Taruffimobile

Si generò un vocìo generale: tra i diversi piani e balconi degli edifici ci si andava interrogando freneticamente sull’origine del disgustoso odore che aveva invaso la strada: mille chiacchiere spaventate e concitate, trasportarono per la città quelle domande e la relativa preoccupazione.
“Perché fanno tutte ‘ste ciance questi qua?”, si chiese Marzio guardando la plurimascherata Trudi.
Poi, dopo aver teso le orecchie per carpire qualche brandello di conversazione, scuotendo la testa irritato, aggiunse: “Questi fessi dicono che ci deve esser stata una nube tossica, causata forse dalla vicina fabbrica di mortadelle al letame! Sono totalmente scemi: io che pure stavo fuori, in terra, non ho sentito alcun puzzo: fanno presto oggi a decollare le psicosi collettive..”
Così concluse, poi, dopo un paio di botti tremendi, l’Anglia riuscì a partire, così lui pestò ben bene l’acceleratore per non arrivare tardi alla riunione.
Quando infine, fortunosamente, e generando allarmi in ogni zona della città, i membri della tribù Tarallo ebbero tutti raggiunto la meta, Benny Syracuse li interrogò uno per uno, chiedendo lumi sulla situazione della sicurezza nelle rispettive zone di abitazione.
Mentirono tutti, naturalmente, nascondendo o minimizzando i casini provocati.
La più reticente fu ovviamente Mata Hari, avvezza a raccontare frottole, la cui uscita dall’abitazione presa in affitto col sagrestano Ducco, al contrario di ciò che la prudenza avrebbe consigliato, era stata a dir poco sensazionale.

Il sobrio vestito di Mata

In una cittadina di provincia non capita tutti i giorni, infatti, di veder scendere in strada una bella donna, fasciata da succinti abiti da odalisca, che, ballando soavemente, va a piazzarsi dentro un’utilitaria in compagnia di un tizio con la bocca a becco d’anatra.

Ducco, tizio con la bocca a becco d’anatra

Inutile dire che quello spettacolo aveva addensato una piccola folla di curiosi, eccitando gli animi dei soggetti più sporcaccioni e provocando i loro commenti irriferibili.
Il volitivo Capo della Sicurezza, terminata quella fase interlocutoria, mise tutti al corrente del fatto di avere avviato senza indugio un servizio di sorveglianza nel campo nemico, mandando uno dei suoi uomini a spiare le mosse del viscido Frangiflutti.
Il “guaglione” aveva già preso servizio e in quel preciso momento stava razzolando nei pressi della sede del Fogliaccio, pronto a riferire ogni spostamento del repellente Direttore.
La rapidità di azione di Benny Syracuse era destinata ad avere ben presto un riscontro forte sul famoso giornalista locale.
Il temperamento di quest’ultimo, infatti, condizionato da una connaturata vigliaccheria, si era sempre distinto per uno spiccato senso della convenienza personale, un motore della potenza di un fuoribordo che nel corso della sua vita lo aveva spinto ad azioni sotterranee e poco lodevoli, comportamenti utilitaristici e tattici che avevano seminato di cadaveri il suo percorso.
Frangiflutti quindi, proprio in ragione della sua cattiva coscienza, tendeva costantemente a vedere nemici dappertutto.

Quella stessa mattina si era stressato nell’istruire i due nuovi arrivati, i rimpiazzi di Taruffi e Tarallo, che, manco a dirlo, gli erano stati raccomandati dal risorto Monsignor Luis Verafé.
Non ci aveva messo molto a scoprire che De Sordis e Flosci possedevano l’intelligenza e la prontezza di un lichene, ma non era in grado di opporsi al volere del potente gesuita, verso il quale aveva accumulato svariati debiti professionali.

De Sordis e Flosci

Tanto per fargli fare qualcosa, aveva affidato loro la vecchia inchiesta sui “sassariani”, ovvero sulla piccola setta di individui che, ispirandosi al regime alimentare degli struzzi, avevano deciso di nutrirsi esclusivamente di un mix di diverse pietre e ciottoli.
Stressato dall’imbecillità di novellini così maltrattati da Madre Natura, aveva deciso infine di prendere aria, di fare cioè uno stacco scendendo a prendere il caffè nel bar sotto la redazione.
Aveva appena fatto in tempo ad uscire dal portone che subito si paralizzò, orrificato: mescolato tra la folla che, pur dotata dei dispositivi di protezione antivirus, si accalcava insensatamente sotto i portici, notò un essere umano dalla faccia molto poco gradevole, un tipo che pareva evaso da epoche lontane.

Era infatti vestito come si usava nell’America degli anni Trenta/Quaranta: tutto in lui era coerente con quella iconografia, tranne un dettaglio.
Non era visibile alcuna arma da fuoco, ma quel volto da killer, tranquillo e deciso, ne presupponeva per forza il possesso: era indubbiamente una faccia da arsenale bellico.
E mentre le gambe stavano per proporgli le loro dimissioni, Frangiflutti vide emergere nella sua testa mille domande impazzite: quel gangster era li per lui? E in tal caso, chi lo mandava?
Terrorizzato, il Direttore del Fogliaccio rinunciò al caffè, rientrando di corsa nel portone, mentre gli riaffiorava alla mente il brutto ricordo del minaccioso biglietto speditogli dalla Loggia massonica deviata.
Joe Spinazza, che lo aveva visto sparire alla velocità di una cazzata, sogghignò compiaciuto.

Joe

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

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