Gli studenti chiedono un esame di maturità che tenga conto delle difficoltà che hanno dovuto sopportare in questi due anni di una didattica dimezzata.
Come dar loro torto?
Le invettive relative al loro scarso desiderio di studiare mi appaiono un retaggio di pregiudizi. Scagli la prima pietra chi, da studente, non ha mai cercato una scappatoia qualsiasi pur di evitare o ‘ammorbidire’ un esame.
Ma se le proteste sono umanamente comprensibili, si capisce meno l’intenzione del governo di tacitare le proteste con la semplificazione della valutazione. In questo il ministro Bianchi sembra essere in perfetta continuità con chi l’ha preceduto, cioè la Ministra Azzolina quando affrontò il ricorso alla Dad (didattica a Distanza) con la promessa della promozione per tutti.
Tuttavia, non solo il Governo, ma anche i partiti preferiscono ‘comprendere le ragioni degli studenti’, anziché offrire soluzioni al problema. Ma, qual è, appunto, questo problema? Ritenere che sia la possibilità di superare o meno l’esame, o la promozione all’anno successivo è un falso problema. La questione è superata da un pezzo: sono anni che l’esame di maturità è superato da oltre il 90% degli studenti. Non parliamo poi delle difficoltà che sono frapposte alla richiesta del docente di far studiare, oltre la chiusura dell’anno scolastico una disciplina, o magari solo una sola sua parte.
In realtà, la grande questione riguardante la formazione gli studenti è l’ulteriore abbassamento della qualità e della quantità dell’apprendimento, dovuto alla pandemia, che, per altro, ha solo peggiorato la situazione di una scuola che già perseguiva l’egualitarismo al ribasso, dei “saperi minimi”. Nessuno pare chiedersi come faranno questi studenti a sostenere gli esami universitari o a mostrare le loro competenze professionali.
Non mi risulta che gli esami universitari non ritengano quali prerequisiti l’intero programma della scuola secondaria, ma nemmeno che i vari test che permettono l’accesso alle Facoltà a numero chiuse siano stati rivisti in funzione di programmi ridotti.
E come faranno coloro i quali non dispongono delle risorse economiche o culturali di un ambiente che possa permettere loro di recuperare il gap formativo? Non è questa una di quelle questioni sociali evocate anche dal Presidente della Repubblica nel suo discorso per l’insediamento?
Purtroppo, i suoi richiami rischiano di rimanere inascoltati. La direzione presa pare essere solo quella di seguire la richiesta degli studenti, paradossalmente appoggiata anche dall’associazione presidi, quella cioè di certificare il mancato livello di apprendimento. Perché sia ben chiaro che ottenere un esame ‘ridotto’, non significherebbe altro che questo: la certificazione che una generazione ha ottenuto uno “sconto” nella valutazione di quanto ha avuto modo di apprendere.
Esiste un modo differente di affrontare la questione e sembra inverosimile che nessuno vi abbia fatto cenno: basterebbe recuperare, con un aumento dell’orario scolastico, il gap formativo causato dalla pandemia.
Il Ministero dell’Istruzione potrebbe disporre un piano straordinario di recupero, che poi sarebbero le scuole a gestire autonomamente. E l’esame dovrebbe prevedere lo stesso accertamento delle competenze annuali che si faceva negli anni passati. Una soluzione semplice e funzionale.
Ovviamente, si tratterebbe di un pannicello caldo, perché ben altri sarebbero gli interventi necessari alla nostra scuola per recuperare quella funzione di ascensore sociale che sembra aver perduto. Ma così operando almeno non aumenteremmo la gravità della disuguaglianza sociale alla quale anche la scuola sembra voler contribuire.
Marcello Ciccarelli, in pensione, attivo solo cerebralmente. Una volta docente e amministratore. Ancora appassionato di matematica e politica.