Il Novecento retrò di Robert Nathan

Nessuno di noi può onestamente dire di avere un rapporto normale con la morte e col nulla che essa rappresenta, nessuno di noi viventi è davvero in grado di concepire, rappresentarsi compiutamente, e quindi accettare, una condizione opposta al vivere.
La nostra fine è dunque “naturalmente innaturale” e dalla nostra estraneità alla morte e dalla paura che ne scaturisce derivano le credenze religiose, ovvero l’assicurazione sulla vita pagata sulla terra con la fede e riscattata con l’eternità.
Le sole rappresentazioni dell’aldilà sono in effetti religiose, quelle che cioè stabiliscono un possibile contratto tra noi e il post mortem.
E’ un tipo di assicurazione che contrarrei volentieri se potessi, ma avendo frequentato l’aldilà personalmente, ho potuto constatare che al premio pagato non corrispondono in realtà i vantaggi che ci siamo promessi.
Non è tutto, però.
So da tempo che possiamo opporre all’artiglio ladrone della morte il nostro immaginario e le eterne consolazioni della bellezza, di tutte le bellezze di cui riusciamo ad impadronirci.
E’ la nostra medicina più efficace e migliore contro l’impossibilità della vita in tanti momenti, ma prova ad esserlo pure contro le conseguenze della morte.
Anche nell’arte, infatti, ne abbiamo infiniti esempi, si riesce spesso a sfuggirle, rappresentando essa moltissime e diverse forme di immortalità.
E forse non è stato per caso che cinque o sei anni fa mi è capitato in mano un libro tra i primissimi, stampati da quella che era allora una nuova casa editrice, le Edizioni di Atlantide.
Si trattava di un romanzo di Robert Nathan: ” Ritratto di Jennie “.

Non sapevo nulla dell’autore che, pressoché sconosciuto in Italia, aveva fama invece di essere uno dei maggiori romanzieri americani del Novecento.
Da questo libro del 1940, fu tratto un film con Jennifer Jones e Joseph Cotten, che nelle note di copertina del libro l’estensore giudica riuscito quanto l’opera letteraria.
Il romanzo, elegantissimo nel suo impianto stilistico retrò, quasi da classico ottocentesco, racconta la storia d’amore tra un pittore appassionato e bohémien ed una ragazza che gli si era presentata improvvisamente da bambina che, vestita in modo antiquato, stava giocando a campana in un parco cittadino, e che divenuta con innaturale velocità una giovane donna, avrebbe continuato a portarsi dietro qualcosa di misterioso che sembrava provenire da un altro tempo.
Tra New York, Parigi e le mutevoli coste del New England, pronte a donare sia l’incanto di giorni di perla che l’incubo cieco degli uragani, tra una posa e l’altra di Jennie per il ritratto che Eben Adams, il pittore, le stava facendo, lo scrittore tratteggia il nascere di un amore così forte da sfidare il tempo e la morte.
La cura e la pulizia della prosa di Nathan, di una dolce ed elegante compostezza classica, ben rese da una traduzione felice, mi hanno fornito uno dei risarcimenti in bellezza di cui parlavo in precedenza.
Una piccola grande compensazione.
Non so quanto sia reperibile oggi questo libro, credo comunque che non dovrebbe essere un’operazione troppo impervia il procurarselo, dato che, pubblicato non molti anni fa, è stato ristampato più volte, ma se sono riuscito a stuzzicare la vostra curiosità, credo sia il caso di soddisfarla anche con brevi note sul suo autore.

Robert Nathan

Robert Nathan nacque a New York nel 1894 da una famiglia ebrea. Il padre era un grossista di giocattoli e la madre faceva la contabile.
Compì la sua formazione studiando negli Stati Uniti, ma frequentando anche scuole private in Svizzera.
Iscrittosi all’Università di Harvard, fu compagno di classe di E.E. Cummings e fece da editor per l’Harvard Monthly, periodico sul quale pubblicò i suoi primi lavori letterari, delle raccolte di poesie e brevi racconti.
Non terminò gli studi universitari, ed essendosi sposato giovanissimo, dovette cominciare a lavorare, senza mai perdere di vista, però, le sue ambizioni di scrittore.
Di temperamento piuttosto eclettico, in quel periodo tentò di divenire un buon violoncellista, ma contemporaneamente si misurò con la boxe, in qualità di peso leggero e venne anche nominato capitano di un team universitario di scherma.
Lasciato il college senza aver conseguito alcun titolo di studio, si dedicò completamente alla scrittura e, dopo inizi difficili ed una stroncatura del suo primo romanzo, “Peter Kindred”, ad opera della critica, raggiunse il successo negli anni Venti.
Lo stesso Scott Fitzgerald lo citò come una delle sue fonti di ispirazione.
Da quel momento in poi la sua notorietà crebbe, permettendogli ampiamente di vivere del suo mestiere, anche perché il suo lavoro si espanse anche in campi diversi da quello meramente letterario.
Louis B. Mayer, il celebre produttore, lo assunse infatti come sceneggiatore a Hollywood e dai suoi romanzi vennero tratti svariati film, ed in seguito firmò anche svariati copioni per serie televisive.
La sua opera complessiva risulta composta infine da almeno cinquanta volumi di romanzi, poesie e sceneggiature e da questo complesso di lavori derivò la sua reputazione di maestro della “fantasia satirica”.
Altri autori, oltre al già citato Fitzgerald, ammisero di guardare a Nathan come ad un loro riferimento letterario, e tra questi Irving Stone e Irving Wallace.
Sposatosi ben sette volte, trascorse gli ultimi quindici anni con l’ultima delle sue mogli, l’attrice inglese Anna Lee, spegnendosi a Los Angeles nel 1985.

Anna Lee

Come si è detto il corpo della sua produzione è stato molto nutrito ed eterogeneo e non molte delle sue opere sono state tradotte da noi, ma sei di queste sono reperibili in versione italiana perchè meritoriamente pubblicate dalle Edizioni di Atlantide.Tra i lavori che possiamo quindi leggere nella nostra lingua, oltre al meraviglioso “Ritratto di Jennie”, ci sono altri cinque romanzi di Nathan: “Clementine”; “Nina”; “Così l’amore ritorna”; “Viaggio incantato” e “Viaggio sul fiume”, tutte opere in cui la realtà quotidiana di personaggi concreti ma inclini ad abbandonarsi ai sogni, incappa in altrettante incursioni di mistero e fantasia.
Leggendo la prosa elegante e retrò di Nathan davvero si stenta ad inquadrarla nella nervosa cornice delle opere novecentesche, nelle quali l’inserzione del mistero è spesso una mera questione di produzione industriale di fantasia al servizio di generi letterari di immediato smercio.


Mr Mathews, che era abituato ad avere a che fare con Miss Spinney, proseguì.
“Non so cosa abbiano le donne oggi ” fece sospirando. ” Secondo me, hanno perso qualcosa che prima avevano – qualcosa fuori del tempo, appunto, che le faceva appartenere a ogni epoca. Qualcosa di eterno – lo trovi in tutte le grandi opere, da Leonardo a Sargent. Ha mai fatto caso a quanto sembrano più vive e reali quelle donne morte da secoli rispetto agli uomini? Gli uomini sono andati – finiti; non ne rimane uno, se non forse qualcuno di quelli di Holbein, che puoi immaginarti di incontrare qui, ora.
Ma le donne – potresti incontrarle ovunque. Monna Lisa, o Madame X…ogni giorno, ovunque”.
Mi guardò con fare accusatorio. ” Il ritratto oggi “, disse come se fosse tutta colpa mia ” è radicato nel presente come le patate”.

Da ” Ritratto di Jennie ” di Robert Nathan

Anna Lee e Robert Nathan

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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