La famiglia Camondo; una dinastia sfortunata

                     

In quasi tutte le famiglie si nascondono altrettanti romanzi, alcune di esse producono intere librerie.

Conosciuti come i Rothschild d’Oriente, i Camondo furono una linea familiare di cinque generazioni di finanzieri e mecenati ebrei sefarditi, cacciati dalla Spagna dall’Inquisizione ispanica nel 1492.
Un loro discendente, Moise de Camondo, era un banchiere, appassionato di mobili ed oggetti decorativi francesi del XVIII secolo. Nel 1911, dopo la separazione dalla moglie, fuggita con un nobile italiano, commissionò la costruzione di una casa privata, nel cuore di Parigi, dove poter conservare tutte le sue preziose collezioni.
Dopo la morte di suo figlio Nissim però, avvenuta nella Prima Guerra Mondiale, Moise, straziato dall’ennesimo dolore, decise di donare tutto alla città di Parigi, in onore del figlio e a patto che nulla venisse mai toccato o variato.

Nissim de Camondo

Di questa famiglia giudeo-austro-italo-ottomano-parigina, si può dire che ha avuto una storia complicatissima, tanto che quasi ci si perde a scorrerla per intero.

Il libro di Assouline “Le dernier des Camondo” (Gallimard 1999), si concentrava più che altro sulla vita parigina della famiglia, dopo il loro trasferimento del 1869, ed è tuttora eccellente nel ricostruire il contesto del bel mondo delle ricche dinastie dei banchieri ebrei, i loro affari, i loro intrighi, le loro alleanze, anche matrimoniali, e la passione per il collezionismo d’arte, in cui eccelsero i due cugini Isaac e Moise.

Moise è stato per l’appunto l’ultimo maschio dei Camondo a rimanere in vita, dopo la morte di suo figlio Nissim nella prima guerra mondiale, mentre sua figlia Béatrice fu assassinata ad Auschwitz. Isaac, al contrario, non ebbe figli legittimi.
La collezione di Isaac venne donata al Louvre, quella di Moise, esposta nella sua aristocratica residenza di rue de Monceau 63, divenne il Museo delle Arti decorative.
In questo luogo il tempo sembra essersi fermato e si ha l’impressione che i padroni di casa siano appena usciti, lasciando la dea della malinconia a guardia della loro principesca dimora. È quella la voce che risuona tra le mura del palazzo, evocando il tragico destino degli ultimi Camondo.
Non sarà una visita senza conseguenze: l’Hôtel de Camondo, il nome della casa fatta costruire da Moise, colpisce diritto al cuore.
Ebrei sefarditi, come si è già detto, i Camondo erano originari della penisola iberica. Per sfuggire all’Inquisizione, si rifugiarono in Turchia e verso la fine del XV secolo si trasferirono a Costantinopoli, dove Haïm esercitò l’attività di mercante di pietre preziose, di spezie e di tessuti francesi.
Fuggiti anche dalla città ottomana perché accusati di irregolarità, si rifugiarono a Trieste, allora porto dell’Impero austro-ungarico, come cittadini austriaci, ma dopo qualche anno trascorso in quella città, nell’ultima parte del Settecento, tornarono a Istanbul.
Nel 1802, Isaac Camondo fondò una banca, destinata a diventare una delle più importanti dell’Impero Ottomano, e alla sua morte il comando passò al fratello, Abraham Salomon.

Isaac de Camondo

Abraham-Solomon era il più ricco ebreo di Costantinopoli: lui e i suoi nipoti Abraham-Behor e Nissim, furono anche consiglieri di tre visir, acquisendo grande prestigio sia presso la comunità ebraica che presso quella turca.
Nel diciannovesimo secolo contribuirono alla costruzione del quartiere finanziario di Galata, a Istanbul, e si interessarono fortemente all’urbanistica: il nome “Camondo” fu dato a edifici, terme, scale e persino alla strada dove abitavano.
Il loro mausoleo si trova ancora nel cimitero di Haskoy. Come filantropi, erano desiderosi di modernizzare la loro comunità e consideravano l’istruzione il mezzo principale per raggiungere questo obiettivo.

Il mausoleo della famiglia Camondo a Haskoy

Per questo fondarono una “scuola Camondo”, focalizzata sull’insegnamento del turco e delle lingue straniere.
Sin dagli anni trascorsi a Trieste i Camondo avevano conservato la cittadinanza austriaca, ma ormai si sentivano italiani nel fondo del cuore.

Salomon nacque a Costantinopoli nel 1781, sedici anni prima della fine della Repubblica dI Venezia, la Serenissima, ma la famiglia, nel grande mosaico israelita dell’Impero Ottomano, continuò a considerarsi italiana, nel senso più largo della parola, e poté quindi contare sulla protezione degli Asburgo quando Venezia divenne austriaca, dopo il trattato di Campoformido. Quella città magica rimase sempre per loro motivo di orgoglio e un titolo di nobiltà.
Fu per questo motivo che Salomon sostenne generosamente la causa dell’unità d’Italia e pare che proprio a Salomon si sia rivolto Cavour per ottenere i prestiti necessari per far fronte alle spese belliche causate dalla Seconda Guerra d’Indipendenza.
Gli aiuti più generosi erano giunti in Italia dai suoi uffici di Istanbul prima del conflitto del 1866 ed erano la conferma dell’importanza che Venezia, già divenuta parte del Regno d’Italia in quell’anno, aveva ancora nella memoria i Camondo.
Salomon accolse con gioia la riunificazione operata da Vittorio Emanuele II e il re, per ringraziarlo dell’appoggio morale ed economico, lo nominò conte nel 1867: lui scelse come motto della casata “Fides et Caritas”.

Salomon de Camondo

Quando divenne conte del Regno, Salomon Camondo non era soltanto un grande patriarca ebreo, circondato da uno stuolo di figli e nipoti, ma era anche uno dei finanzieri più ricchi, influenti e rispettati non solo nell’Impero Ottomano ma in tutta Europa: filiali della sua banca erano presenti in quasi ogni capitale.
Pierre Assouline raccontò che i funerali della moglie di Salomon, morta a Istanbul nel 1866, furono uno straordinario tributo pubblico alla famiglia. Quando il corteo funebre arrivò di fronte a una chiesa ortodossa, il pope addirittura ne uscì con un cero in mano e seguì la salma sino al cimitero ebraico di Costantinopoli. Le campane delle chiese suonarono per tutta la durata del percorso.
La famiglia Camondo, come quella dei Rothschild, giunse ad avere immobili in varie importanti capitali europee, ben prevedendo la grande crescita industriale di tutto il XIX secolo.
Arrivati a Parigi nel 1869, la famiglia scelse uno specifico quartiere di Parigi in cui abitare e stabilire le loro attività. Il quartiere eletto è spesso indicato come “la plaine Monceau”, ed il parco che ne occupa il centro, ha una denominazione simile, “Le Parc Monceau”.
Vivevano, appunto, in rue de Monceau, una strada dove il denaro ebraico era un denominatore chiave, i membri della famiglia Camondo si trovarono così di casa nell’aristocrazia ebraica della Parigi del XIX secolo.
I nipoti, Abraham-Behor e Nissim, che coadiuvavano Salomon nella gestione degli affari, avevano deciso di trasferirsi in Francia. È quindi con un passaporto italiano e il titolo di conte, che i tre sbarcarono in una Parigi in cui nobiltà e ricchezza erano un preziosissimo lasciapassare.

Abraham-Behor de Camondo

Divennero i banchieri dell’imperatrice Eugenia, e tra l’altro, ebbero una notevole parte nei finanziamenti per l’apertura del Canale di Suez.  
I rispettivi figli, Isaac e Moise, una volta adulti, si appassionarono all’arte e, oltre che mecenati, divennero importanti collezionisti.
La banca Isaac Camondo & Cie nel frattempo continuava il suo stretto coinvolgimento nello sviluppo economico della Turchia. In Francia unì spesso le forze con la Banque de Paris et des Pays-Bas, partecipando all’emissione di molti titoli di stato.
Isaac raccolse un’importantissima collezione di pittura impressionista, di mobili del XVIII sec., di sculture (Estremo Oriente, Rinascimento, Medioevo); e con il suo testamento nel 1908, non avendo figli, ne fece dono al Museo del Louvre.
Moise era interessato invece ad un periodo storico ben preciso, la seconda metà del XVIII secolo. In particolare, collezionava oggetti di arte decorativa creati dagli anni Sessanta del Settecento fino al periodo prerivoluzionario.
A casa Camondo ci sono alcuni dei più bei mobili ed oggetti d’arte creati durante il regno di Luigi XV e Luigi XVI, come, ad esempio, le sedie del Salon turc di Madame Élisabeth, oltre all’imponente tappeto della Savonnerie che ornava la Grande Galerie du Louvre, e alcuni pezzi del servizio d’argento donato da Caterina la Grande a Orloff, il suo favorito.

Una sala del Museo

Boiseries, dipinti, mobili, tappeti, orologi, lampadari e porcellane arredano con eleganza le stanze, come se davvero ci trovassimo in un vero palazzo settecentesco.
Tra tutte le meraviglie del museo, però, è forse il Cabinet des Porcelaines quello che spicca di più. Moise volle inserire nel progetto del suo palazzo una stanza appositamente attrezzata per esporre i pezzi di alcuni servizi da tavola appartenuti al naturalista Buffon, da lui acquisiti negli anni.
George- Louis-Leclerc, conte di Buffon, oltre che grande naturalista, era anche matematico, biologo, e molte altre cose ancora, ed ebbe l’idea di commissionare ai più famosi artisti della sua epoca un’enciclopedia visuale, dipinta su servizi di porcellana di Sevres.
Al musée Nissim de Camondo si possono ammirare più di trecentocinquanta uccelli rari ed esotici dipinti su altrettanti raffinati pezzi della famosa manifattura.

I curatori del museo definiscono questa piccola stanza delle meraviglie “La voliera di porcellana”, e lo stesso Moise, che amava molto i servizi Buffon, quando era da solo vi si faceva servire i pasti, per accarezzare con gli occhi i suoi tesori.
Per dare una degna dimora alle sue collezioni, nel 1911 chiese all’architetto René Sergent di progettare una casa, un Hôtel particulier ispirato al Petit Trianon di Versailles, ma che fosse provvisto di tutti i più moderni comfort.
Edificato tra il 1911 e il 1914, l’Hôtel de Camondo, sfuggito a ogni trasformazione per volere del suo proprietario, è oggi una preziosa testimonianza del funzionamento di una ricca abitazione privata nella Parigi del primo Novecento.

La facciata dell’Hôtel de Camondo

Moise si spense nel 1935 e l’anno seguente il museo fu aperto al pubblico.
Mai niente fu più lontano del Nissim-de-Camondo dall’idea di museo tradizionale.
Tra le stanze più sorprendenti del museo merita senz’altro una menzione la cucina. Il conte era un amante della buona tavola, per cui dedicò una cura particolare all’allestimento di quello che era considerato il cuore della casa.
Raffinata ed elegante, la cucina ha le pareti ed il soffitto interamente rivestiti di piastrelle bianche, per facilitarne la pulizia. Dotata delle attrezzature più moderne dell’epoca, vantava un monumentale girarrosto e un grande fornello centrale, entrambi in ghisa e acciaio e alimentati a carbone, che dovevano essere mantenuti caldi tutto il giorno.

Uno scorcio della cucina

Due grandi finestre che illuminavano la stanza, ne garantivano anche l’areazione.
Poiché la cucina si trovava proprio sotto la sala da pranzo, Moïse volle che fosse isolata in modo perfetto.
L’architetto pensò allora di inserirla in una sorta di camera stagna di cemento, in modo che gli ospiti dei Camondo non fossero infastiditi da odori o rumori molesti, oppure dall’eccessivo calore.

Il monumentale girarrosto in ghisa

Ma la storia di questo museo, o Hotel, che dir si voglia, è costruita su un oceano di lacrime, quelle che Moise versò per il proprio figlio, a cui sopravvisse.
I due figli di Moise, Nissim e Béatrice, che abitavano con il padre da quando i genitori avevano divorziato nel 1902, lo seguirono nella nuova dimora.
Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, Nissim si arruolò nell’aviazione francese e morì in un combattimento aereo nel 1917.
La scomparsa del figlio gettò il padre nello sconforto, tanto che Moise decise di chiudere la banca e dedicare il resto della sua vita alla gestione e al perfezionanto della sua dimora artistica.
Arrivò quindi ad uscire rarissimamente di casa e siccome morì nel 1935, la sorte gli risparmiò gli ulteriori drammi che avrebbero colpito la sua famiglia.
Le disgrazie, infatti, non erano destinate a cessare per i Camondo: in quanto ebrei, quel che restava della famiglia, venne soppresso nei campi di sterminio.
Béatrice, l’amata figlia di Moise e ultima rimasta della famiglia, morì con il marito e i figli ad Auschwitz durante la Seconda Guerra mondiale.

Béatrice de Camondo nel 1900, pastello di Giovanni Boldini

Alla morte di Moise lo Stato francese era frattanto divenuto proprietario dell’Hotel de Camondo, per creare, come si è già detto, un museo in memoria di Nissim, a patto che nulla all’interno della dimora fosse mai cambiato.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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