“Cuore, o cuore, sballottato da insolubili dolori,
rialzati, resisti contro chi ti tratta male, opponi
il petto, piazzato accanto alle tane dei nemici
con tenaciaː e, se vinci, non ti rallegrare assai,
o, se perdi, non crollare, messoti a lutto in casa,
ma rallegrati per i beni e per i mali soffri
non troppoː ammetti come questo ritmo è della vita”.
Sembrano scritti oggi questi versi che invitano a reggere gli urti della vita indicando all’istintivo cuore la via della saggezza.
Noi abitatori del presente e purtroppo poco studiosi del passato, siamo infatti portati a credere che quasi ogni cosa di quelle che ci stanno attorno, materiali o meno che siano, nasca e viva con noi, che ci sia insomma contemporanea. Naturalmente non è così e nonostante le prove giornaliere che abbiamo dell’ingegno umano, di quello che inventa e produce, come pure quelle dell’umana stoltezza, non ci rendiamo pienamente conto che molto di ciò che ci circonda ci preesiste, fu inventato o composto in epoche precedenti al nostro presente.
Questo ovviamente vale per la poesia, nata si può dire con l’uomo, e vale quindi anche per il frammento poetico appena citato, che suona così moderno ma che venne scritto da Archiloco, un poeta greco nato probabilmente intorno al 680 a.c.
I miei ricordi liceali, vivissimi per quanto attiene ai miei compagni di classe e alle nostre imprese adolescenziali, si presentano molto più sfumati, ahimè, riguardo al contenuto degli studi fatti, che, povero e confuso, mi ritrovo in testa indistinti, come se formassero un misero bolo, intrecciato di nozioni sparse, tutte riguardanti le materie umanistiche, tra l’altro, senza sopravvivenza alcuna di quelle scientifiche.
Una cosa tuttavia ricordo con certezza: questo poeta antico aveva in qualche modo colpito la mia mente svagata di ragazzetto, mi era parso un tipo non comune, in grado appunto di parlare sia alla mente che a quel cuore a cui dedicava il frammento citato inizialmente.
Un poeta con le sue qualità, che dalla sua posizione remota nel tempo riesce a parlare ai nostri contemporanei, trasmettendogli suggestioni ed idee, andrebbe senz’altro conosciuto meglio.
Archiloco, secondo la tradizione, sarebbe nato a Paro, isolano quindi delle Cicladi, da un padre di origini nobili, Telesicle, e da una madre di tutt’altra condizione, forse una schiava tracia.
Suo nonno, o forse era il bisnonno, non è molto chiaro, si chiamava Tellis, e alla fine dell’Ottavo secolo Avanti Cristo, avrebbe avuto un importante ruolo religioso: fu infatti tra coloro che parteciparono al trasferimento del culto di Demetra a Taso e venne per questo motivo raffigurato da Polignoto di Taso accanto a Cleobea, la sacerdotessa che volle portare la dea in quell’isola.
Che Archiloco sia vissuto effettivamente tra il 680 a.c. ed il 645 a.c. è indirettamente dimostrato dalla allusione che egli stesso fa, in un suo frammento poetico, ad una eclissi di sole avvenuta probabilmente il 6 aprile del 648 a.c., evento che sconvolse i popoli del Mar Egeo ed alla quale il poeta assistette stando appunto a Taso, l’isola già nominata, divenuta colonia di Paro.
Sappiamo che Archiloco ebbe dei fratelli ed una famosa elegia di commosso commiato dal cognato, morto in un naufragio, ci rivela anche l’esistenza di una sua sorella.
Si tramanda che lasciò la natia Paro presto, annoiato dalla vita che vi si conduceva, tediato al punto che in un suo componimento invitava i suoi conoscenti a fare altrettanto.
A Paro, della quale tanto si lamentava, visse tuttavia una prima avventura amorosa, amando una fanciulla di nome Neobule:
“Oh, se potessi toccare la mano di Neobule”,
scrive in un frammento che al di la della impressione romantica che possiamo trarne, non è poi così innocente, perché “toccare la mano” nella letteratura greca era un’espressione che indicava i preliminari dell’amplesso, definito altrove dallo stesso Archiloco “la cosa divina”.
La storia con Neobule non ebbe comunque un esito felice: sembra infatti che la ragazza gli fosse promessa in sposa ma che suo padre, Licambe, avesse cambiato idea all’ultimo momento, negandogli le nozze e meritandosi pesantissimi versi di ritorsione da parte del mancato genero.
Scarpanto, Creta, Lesbo, l’Eubea, il Ponto: molti furono i luoghi visitati dal poeta nel corso della sua vita, una vita sicuramente movimentata.
Come lui stesso afferma in alcuni frammenti, fu soldato mercenario con i Pari nel corso del movimento progressivo della colonizzazione ellenica che li portò a conquistare l’isola di Taso combattendo contro i barbari continentali e le colonie rivali. Archiloco prese parte a queste guerre cantandole coi suoi versi e soccombendo infine, come narra la tradizione, in un combattimento contro gli abitanti di Nasso, ucciso da un tal Calonda.
Archiloco è ritenuto l’inventore del giambo, uno dei piedi metrici della poesia, ma anche se con ogni probabilità questo verso fu usato già in epoca precedente, è certo che fu davvero lui il primo a utilizzarlo su larga scala, e venne per questo preso a modello da molti e celebri poeti successivi, come Saffo, Alceo e Anacreonte tra i greci, e Catullo e Orazio tra i latini.
L’uso di ritmi giambici e trocaici in effetti rendeva i versi più vicini alla lingua viva, a quella parlata nelle processioni, e si dimostrava quindi più adatto alla sensibilità di Archiloco, che può essere ritenuto anche il creatore della prima strofa (epodo), che risulta dall’accoppiare un verso semplice o composto, con uno generalmente più breve.
Che può dirsi invece della poetica di Archiloco, alla luce dei pochi frammenti che ci sono pervenuti?
La tradizione di lui ha fornito un ritratto particolare dipingendolo come litigioso, individualista, trasgressivo e anticonformista.
Suo tipico espediente tematico era l’affidare le sue opinioni più nette e scomode ad una “persona loquens”, un personaggio terzo all’uopo inventato, evitando così, preventivamente, danni di tipo ritorsivo.
Fu anche il primo poeta della letteratura occidentale a rappresentare l’amore come tormento, anche se in verità, ne rappresentò tutti i registri possibili: quello della tenerezza, della bellezza, della disillusione e della rabbia per l’amore deluso, quello della sensualità e quello dell’erotismo, che in alcuni suoi frammenti raggiunse vette di realismo così crudo da provocare i rimproveri dei contemporanei e di alcuni suoi critici appena posteriori.
Come poeta elegiaco evitò al contrario ogni oscenità pescando ispirazione per lo più da temi autobiografici, mentre le sue invettive, se pure andarono a colpire aspetti che lui considerava deformi della sua contemporaneità, lo fecero con uno spirito in cui la dissacrazione aveva un intento più costruttivo che distruttivo.
Non solo irridente, dunque, fu Archiloco, ma propugnatore anche di valori positivi come la modestia, la lealtà, l’amicizia, l’amore e la misura.
Misura che si rintraccia anche nella saggia filosofia sottesa ad uno dei suoi frammenti più conosciuti, in cui il rammarico di aver perso lo scudo in combattimento, non gli provoca tormenti da onor militaresco umiliato, ma semplicemente il sano proposito di procurarsene un altro, altrettanto buono:
“Qualcuno de Saii si fa bello del mio scudo, arma perfetta
che io abbandonai a malincuore presso un cespuglio;
però mi sono salvato. Che me ne importa dello scudo?
Al diavolo: ne rimedierò subito un’altro, e anche meglio.”
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.