“atte otte ho ceccato i ole, atte otte o giato ale,
a ittà veva ille guaddi i gnavo tagne eddi.
Il io dettino è di tare anto a te,
o te icino ù paura o avrò
e ‘n po’ mbina onnerò”…
Incurante dell’atteggiamento melodrammatico di Don Oronzo, che lo venerava in ginocchio, e dell’irruzione delle altre persone nel suo rifugio malmesso, San Carminio, come se quelli non fossero affatto presenti, continuò ad esercitarsi a cantare “Montagne verdi”, scrutandone con attenzione il testo.
Non fu soddisfatto finchè non ebbe terminato quella parte di canzone nella sua curiosa versione, che pareva tradurne le parole in un idioma stravagante.
“Torna da noi, venerato Santo – gli gridò appassionatamente il parroco quando si accorse di avere finalmente catturato l’attenzione del martire – torna a casa tua, nella tua chiesa, tra i tuoi devoti”.
San Carminio lo fissò con la stessa espressione sbalordita di chi sente ragionare l’On. Gasparri, e mentre un sorriso raggiante gli venne a rischiarare improvviso il volto, agitò il foglietto sotto il naso di Don Oronzo e disse: “Tagne Eddi, Cella Bella: avigliosa!”
“Ma come parla ‘sto santo – proruppe Taruffi che non si teneva più – non si capisce un acca di quello che farfuglia! Cavolo, dico io: un prescelto da Dio dovrebbe farsi capire un po’”.
Tarallo, che nel frattempo aveva continuato a rimuginare per fatti suoi, trovò una spiegazione anche al mistero della strana parlata di San Carminio:
“E’ per via del martirio subito che parla in questo modo, è chiarissimo.
Ho letto qualcosina nel frattempo ed ho scoperto che nel terzo secolo D.C. si trovava a Sidone, in Fenicia, allora governata dal tremendo Petardone da Amrit, ed essendo lui un virtuoso dell’Hydraulis, il cosiddetto “organo ad acqua”, uno strumento romano, era stato inquadrato nel personale di corte in qualità di primo intrattenitore.
Petardone, l’uomo col minor coefficiente di pazienza di tutto l’Impero, era solito amministrare la giustizia in modo ritenuto da molti arbitrario e capriccioso, con punte di vera e propria crudeltà che culminavano nell’affidare i condannati alle cure di Fuffus, Ciccius e Fidus, un terzetto di molossi di mole inusitata, tenuti in precedenza a digiuno per quattro giorni.
Carminio, fino a prima della conversione aveva suonato un repertorio leggero, musichette pop di allora, e si era specializzato nell’eseguire delle cover del Quartetto FiliiPan, del quale Petardone era un fan scatenato.
Un giorno il futuro santo era caduto accidentalmente in una buca che si era aperta sotto i suoi calzari nel tratto periferico della Via Basiliana, da sempre mal lastricata, e vi aveva trovato ricoverata una comunità catacombale che dopo averlo incerottato a dovere, lo aveva ospitato per una settimana.
Il capo di quella gente, Zebedeo da Tiro, lo aveva così introdotto e convertito al cristianesimo.
Rientrato a corte impregnato dalla nuova fede, avrebbe dovuto partecipare al Ludus Musicalis Sidoniensis, una sorte di Festivalbar organizzato dal Consortius delle locande della città, e sponsorizzato da Petardone in persona, che non se ne perdeva un’edizione.
Carminio, all’ultimo momento, decise di cambiare la canzone che avrebbe dovuto eseguire, e al posto di “Feriae Romanae”, dei FiliiPan, cantò “Pastor fidelis”, un motivo imparato nella sua settimana catacombale, e lo interpretò con una nuova, straordinaria passione, accompagnandosi con l’hydraulis.
Petardone non la prese bene, così Carminio, appena sceso dal palco fu trascinato direttamente in un cortile poco distante, luogo in cui alcuni sgherri lo torturarono a lungo con uno strizzalingua prima di consegnarlo a Fuffus, Ciccius e Fidus che non si fecero pregare per trasformarlo nell’unica portata della loro cena.
Capite ora perché Carminio parla cosi? Risente ancora delle conseguenze della tortura con lo strizzalingua!”
“Ah volevo ben dire che non si capisce un accidente di quello che dice, ora è tutto chiaro, poveruomo – così interloquì Taruffi, già pentito del tono polemico adottato qualche istante prima, anche se poi, un po’ impietosamente, aggiunse – certo, anche lui poteva trovare un pezzo un po’ più ruffiano..”.
Don Oronzò, che aveva ascoltato con attenzione religiosa il racconto di Lallo, si asciugò una lacrima prima di rivolgersi, ancora implorante, al santo che, senza curarsene e con una certa puntigliosità, cercò di affrontare la terza strofa della canzone di Marcella Bella:
“I coddo tagne eddi quea sera ei occhi oi,
ando ai etto: “S’ è atto addi, i accoagno e u o uoi”.
nea ebbia e ue paole, a ua toria e a ia toria,
oi el uio enza parlae o ommito co e sul uore”.
“Dio mio che pena mi fa questo sant’uomo” disse Consuelo con i meravigliosi occhi che s’eran fatti lucidi.
“Il punto della questione attuale – la interruppe Tarallo – riguarda chi gli ha insegnato questo pezzo sanremese: deve essere la stessa persona che gli ha fornito alloggio in questa catapecchia, ma chi diavolo sarà stato?”
“Io, sono stato io”.
Queste brevi parole vennero pronunciate da una voce che al terzetto di amici in trasferta a Strappoli di Sotto parve subito di un timbro familiare, cosa che venne confermata dall’apparire di un uomo sulla soglia della bicocca.
“Afid!!?? Che ci fai qui, non dovresti essere a …… in redazione?”
Questo farfugliò Lallo, preso dallo stesso sbalordimento che affiorava in tutti i presenti.
“Avevo terminato il mio pezzo in anticipo ed ho pensato di precedervi di qualche giorno e dare un’occhiata al paese per capire come stavano le cose”.
Il falsario sorrise ai suoi amici avvicinandosi per abbracciarli, ma Marzio, Tarallo e Consuelo erano ancora troppo scossi per rispondere subito a quel gesto di affetto.
“Ma cosa cavolo hai fatto con Carminio in tutti questi giorni – lo interrogò Lallo – e perché va cantando “Montagne Verdi”?”
“Ah quella, dici? Boh, mi è sempre piaciuta, così, visto che lui è un musicista ho provato ad insegnargliela: tra l’altro gli garba assai.. Nel frattempo, già che c’ero ho messo su un piccolo, innocente business: sa fare miracoli, sapete, così l’ho portato un po’ in giro chiedendo un modestissimo obolo per ognuno di essi.
E’ bravo, ne ha fatti almeno una decina, tutti bellini, ma qualcuno anche spettacolare…”
“Ma sei impazzito Afid, ti rendi conto che questo poveraccio è scappato dal suo quadro senza neanche rendersi conto di ciò che faceva? E’ pazzesco, lo stai sfruttando, ma Carminio non capisce bene dove si trova e perché! Stavolta hai davvero esagerato..”
Il falsario non si scompose per nulla al rimprovero di Tarallo e con la consueta sicurezza replicò:
“Macché, lui sapeva benissimo quel che faceva. Ho imparato subito a capirlo, nonostante il problema alla lingua, e mi ha detto che non ne poteva più di stare in quel dipinto a respirare da secoli i fumi delle candele che i fedeli accendono nella sua cappella. Lui dice che è stata anche una questione di salute…
Per quanto riguarda i miracoli, ci ha ripreso subito la mano: gli piace farli e si gasa ad ogni successo: le cose stanno davvero così.
Ha restituito una carnagione da poppante ad un vigile urbano scrofoloso, poi è passato a cose più classiche come far camminare un tizio sulla sedia a rotelle (ora fa l’acrobata, tra l’altro) o far sparire tutti i peli ad una casalinga un po’ scimmiesca.
Qui a Strappoli c’è poi Elvis Triponzio, un assessore all’urbanistica completamente sordo: non sente un accidente, niente di niente, e infatti viene continuamente accusato dai giornali di non ascoltare le segnalazioni e le richieste dei cittadini. L’ho portato qui da Carminio e lui in un amen gli ha restituito l’udito, ma dopo un solo quarto d’ora l’assessore era nuovamente qui ad implorare un nuovo miracolo.
Gli ho chiesto il perchè e lui mi ha raccontato che la prima cosa che gli era capitata di ascoltare una volta guarito dalla sordità, è stato un pezzo messo in onda da una radio locale con tendenze criminali: “E’ qui la fefta” di Jovanotti.
Il poveraccio ne era rimasto sconvolto: è tornato qui a razzo pregando e scongiurando Carminio di restituirgli la sua precedente condizione di sordo, cosa che il santo, benignamente ha fatto, rendendolo felice. E doppia tariffa per noi! Ma, come vedete ragazzi, si tratta solo di opere di bene, no? “
I tre amici rimasero ammutoliti per più di un istante, fino a quando Tarallo, ripresosi dallo stupore, si rivolse nuovamente ad Afid: “Tutto quello che vuoi, disgraziato, ma ora, visto che ci sei entrato in una certa confidenza, devi aiutarci a riportarlo nel quadro”
“Ma… veramente avremmo preso un impegno con due gemelli siamesi, col fianco in comune, che non si sopportano più da un pezzo ed hanno chiesto al santo di separarli: è un caso assai toccante, questi qui non fanno altro che mandarsi di continuo a fare in culo!…”
“Piantala Afid e cerca di collaborare: è tempo che Carminio rientri a casa sua”, e il tono di Lallo non avrebbe potuto essere più perentorio…
Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.
Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti