Fu la vetrina di una libreria che non esiste più da moltissimo tempo a rimandarmi per la prima volta dai suoi scaffali il nome di Heinrich Böll. Avevo diciassette anni e da almeno dodici ero un lettore insaziabile ed onnivoro. La copertina di uno dei libri esposti mi incuriosì, si trattava del romanzo di uno scrittore a me sconosciuto, dal cognome tronco e schioccante che suonava tedesco: Böll. Più che il titolo, già stimolante, “Opinioni di un clown”, mi colpì la copertina di quell’edizione Mondadori: riproduceva uno degli sferzanti dipinti di George Grosz, il pittore e disegnatore satirico che tra le due guerre aveva denunciato con le sue opere grottesche, cariche di un sarcasmo feroce, la Germania che stava nascendo dalle angustie socioeconomiche lasciate in eredità dalla sconfitta epocale nella Prima Guerra Mondiale.
I soggetti prediletti dei suoi quadri e dei suoi disegni erano le colonne di una società terribilmente squilibrata. Erano capitalisti dai volti rubizzi e porcini, fieri e ritti nei cortili delle loro fabbriche dai possenti camini fumanti o lascivi e ributtanti mentre in qualche bordello artigliavano prostitute un po’ flaccide; erano generali dal ghigno metallico, spietato ed ottuso, pastori e preti dall’aria beota che alzavano benedicenti le mani verso truppe armate, in procinto di sedare violentemente dimostrazioni di diseredati, di mutilati di guerra, di operai. Tutti personaggi che incarnavano le tremende disuguaglianze sociali e le tragiche pulsioni che stavano conducendo la Germania verso il tunnel senza uscita del nazismo.
Conoscevo Grosz e il suo universo artistico, calato fino in fondo nella realtà di Weimar e del primo affermarsi di Hitler, lo sapevo artista sarcastico ed impegnato, un disegnatore eccelso che naturalmente fu costretto a fuggire negli Stati Uniti, mentre le sue opere venivano esposte dal regime nazista nella famosa “Rassegna dell’Arte degenerata”.
Quel giorno di tanti anni fa, fermo ad osservare la vetrina della libreria, pensai che se una delle sue opere era stata usata per rappresentare emblematicamente il libro, ebbene questo fatto poteva essere considerato indirettamente un buon suggerimento di lettura. Entrai, acquistai il romanzo e feci bene. “Opinioni di un clown” fu uno dei libri della mia vita, uno dei più amati, uno dei pochi che ho riletto più volte, il primo che lessi di un autore del quale ebbi successivamente a conoscere l’intera opera narrativa.
Ma chi era Heinrich Böll? Era un renano, nato a Colonia nel 1917, ottavo figlio della famiglia, cattolica, pacifista e progressista di un falegname, un ambiente, quello delle sue origini, che lo influenzò decisivamente, portandolo quasi naturalmente ad opporsi al nazismo, fino al suo rifiuto, negli anni Trenta, di iscriversi alla Gioventù Nazista.
Si diplomò al Liceo Umanistico e dal 1937 lavorò come apprendista in una libreria di Bonn, interrompendo l’apprendistato l’anno successivo per dedicarsi ai suoi primi scritti. Coerentemente con l’accendersi dell’interesse per la letteratura si iscrisse nel 1939 alla Facoltà di Germanistica di Colonia. La sua avventura universitaria venne però drammaticamente e precocemente interrotta dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, provocato dalla rampante follia nazista. Böll si ritrovò aggregato all’esercito tedesco iniziando un duro itinerario bellico che lo portò a combattere, senza fede alcuna negli obiettivi e nel destino di quella Germania, in Francia, Romania, Ungheria e Russia, ad essere più volte ferito ed infine a disertare. Rientrato clandestinamente in Germania nel 1944, l’anno seguente venne fatto prigioniero dalle truppe americane e confinato in un campo di detenzione fino al Settembre del 1945. Nel dopoguerra si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Colonia cominciando nel 1947 la carriera di scrittore con la pubblicazione su riviste e giornali dei suoi primi racconti. è nel 1949, con l’uscita di “Il treno era in orario”, che inizia il suo percorso di romanziere.
Sarà la prima di una nutrita serie di opere con le quali lo scrittore si liberò progressivamente dei suoi ricordi di guerra, libri nei quali la descrizione dell’orrore, della fatica, dell’assurdo peregrinare e del destino finale che un conflitto di quella portata scarica su chi è costretto a combatterlo, si stempera spesso nell’interrogativo esistenziale, nella fede e contemporaneamente nel rimprovero a Dio.
La sua produzione di quel primo periodo sarà definita, non casualmente, “Letteratura delle macerie”, e del peregrinare, aggiungerei: delle 146 pagine dell’edizione originale tedesca de “Il treno era in orario”, ben 82 riguardano il viaggio in treno, che può essere dunque considerato a pieno titolo il quarto protagonista della storia, accanto alle figure di Andreas e dei suoi commilitoni.
La sua narrativa scarna, capace di amplificare l’effetto emozionale della narrazione fece si che Böll venisse premiato dal Gruppo 47, una associazione di scrittori che attraverso la ricerca di nuovi talenti cercava di riabilitare le sorti della letteratura tedesca dopo gli anni del nazismo. Ai primi romanzi ne seguirono molti altri, ambientati nella Germania postbellica che in quegli anni seguiti alla catastrofe tentò di rimuoverne dalla memoria le cause, le conseguenze e le responsabilità.
“Dov’eri Adamo”; “Casa senza custode”; “E non disse nemmeno una parola”: ogni libro definiva più precisamente le caratteristiche stilistiche e tematiche di uno scrittore portato ad assumere il ruolo di memoria e coscienza del suo paese. “Opinioni di un clown” è forse l’opera maggiormente emblematica di una tale funzione, rivelando senza reticenze la rimozione, avvenuta sia a livello politico che etico, del nazismo, rimozione che fu caratteristica del secondo dopoguerra tedesco. Il romanzo, denso in egual misura di sferzante ironia e di sofferenza morale, spiegò quel fenomeno collettivo molto più efficacemente di quanto avrebbero potuto farlo montagne di saggi storici. Nel libro compaiono tutti insieme gli altri elementi contenutistici che compongono l’universo narrativo e filosofico di Böll: la critica all’autorità politica, a quella economica e a quella religiosa che lui, cattolico anarchico, accusava di conformismo, di opportunismo e di mancanza di coraggio, oltre che di una passata parziale compromissione col nazismo.
La Germania del miracolo economico gli sembra orientata a seppellire sotto la coltre del rinato benessere la memoria e le responsabilità del passato e questa tendenza alla denuncia anticonformista gli procurerà per tutto il resto della sua vita l’implacabile inimicizia dei conservatori tedeschi. Così pure tiepida, sarà la difesa nei suoi confronti da parte della SPD, il partito socialdemocratico da lui appoggiato ma contemporaneamente accusato di appiattimento politico per il suo schierarsi in favore dell’adesione della Germania Ovest alla Nato e per altre dimostrazioni di mancanza di coerenza politica. Negli anni Settanta a causa dell’invito pubblicamente rivolto da Böll a non far scadere la detenzione dei membri della banda Bader Meinhof in una forma di vendetta persecutoria e disumana, lo scrittore entra nel mirino della grande catena di giornali conservatori Springer e da li in poi viene costantemente tacciato di comunismo. Uno dei suoi romanzi, “L’onore perduto di Katharina Blum” denuncerà con forza i metodi di disinformazione di quei periodici, in particolare del potente quotidiano “Bild Zeitung”. L’uscita nei primi anni Settanta di uno dei suoi capolavori: ”Foto di gruppo con signora”, uno straordinario affresco che attraverso la vita di una donna dalla personalità non comune ripercorre sessant’anni di storia tedesca, aprì la strada alla sua consacrazione definitiva con l’assegnazione nel 1972 del Premio Nobel per la Letteratura.
Se gli onori internazionali non gli hanno procurato un’attenuazione anche minima dell’acredine della stampa conservatrice, Böll non ha mai smesso per il resto della sua esistenza di esercitare il suo ruolo di coscienza, allargandolo semmai negli orizzonti, né di esprimere sempre un pensiero critico indipendente, progressista ed antimilitarista, orientato a sostenere i diritti di qualsiasi popolo oppresso, in Europa come in Sudamerica, in Polonia, in Russia come in Viet Nam. Nel 1976 lui, da sempre cattolico ma con un’impronta anarchica, entrò ufficialmente in polemica con la Chiesa Tedesca, a suo giudizio complice di politiche conservatrici e delle disuguaglianze che esse producevano, rifiutando di pagare le tasse di culto previste in Germania ed uscendo infine dalla sua confessione religiosa. Parallelo alle sue prese di posizione coraggiose e indifferente al prestigio internazionale dello scrittore, l’interesse negativo del potente Gruppo Springer sfiorò, come si è detto, il linciaggio mediatico. Böll tuttavia fu sempre capace di non farsene condizionare. Non era stato lui del resto, molti anni prima, ad inviare con una intenzionale quanto plateale galanteria, un fascio di rose rosse alla donna che aveva schiaffeggiato pubblicamente il Cancelliere Kiesinger per il suo passato nazista?
Heinrich Böll morì nel 1985, lasciando un nutrito corpus di romanzi e di racconti, genere, quest’ultimo, nel quale produsse dei veri e propri capolavori. Alcuni di essi, inclusi nella raccolta: “Racconti satirici ed umoristici”, riescono nella loro asciutta brevità a raccontare pienamente il suo universo narrativo attraverso la riconosciuta cifra letteraria. Tra i suoi romanzi migliori, oltre a quelli citati, vanno ricompresi “Termine di un viaggio di servizio”; ” Biliardo alle nove e mezzo” ed il meraviglioso “E non disse nemmeno una parola”, cui si è fatto già cenno, nel quale i temi dell’amore, della solitudine e del matrimonio, trattati con struggente vena poetica, sfociano nel capitolo finale in uno dei più bei dialoghi della letteratura contemporanea.
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.