Michele Serveto: la libertà di dissentire

“Considero una cosa grave uccidere degli uomini perché sono in errore su una certa interpretazione scritturale, quando sappiamo che perfino gli eletti possono essere indotti in errore”.

Ancora oggi, molti credono che i roghi degli eretici furono precipui dell’Inquisizione dei ‘cattolicissimi’ re di Spagna nonché di quella romana che culminerà a inizio del XVII secolo col rogo di Giordano Bruno; purtroppo la realtà storica ha preso spesso altre vie. Il 27 ottobre 1553 a Ginevra Michele Serveto fu messo al rogo e Guillaume Farel, esecutore della sentenza di condanna e vicario di Giovanni Calvino, ammonì gli astanti con queste parole:

Serveto è un uomo sapiente che senza dubbio pensava di insegnare la verità, ma è caduto nelle mani del tentatore. . . state attenti che la stessa cosa non accada a voi!”

Chi era Serveto e che aveva fatto per meritare una tal fine?

Miguel Servet y Reves (Michele Serveto) nacque nel settembre del 1511 a Tudela. Suo padre era un notaio, che si trasferì con la famiglia a Villanueva de Sixena, in Aragona, quando Miguel era ancora piccolo; la madre, Catalina Conesa, pare provenisse da una famiglia di ‘conversos’, gli ebrei convertiti.

La sua famiglia era abbastanza agiata e di fede cattolica, tanto che in un primo momento Michele era stato destinato al sacerdozio. Era però un periodo molto particolare per la Spagna: i regnanti Ferdinando e Isabella decisero di garantire l’unità della loro nazione costringendo all’uniformità religiosa con uno spirito di forte intolleranza e, nel 1492, per non aver rinnegato la fede dei loro padri e professato il Cristianesimo, 800.000 Ebrei erano stati banditi dal regno, mentre gli ultimi Mori venivano costretti a scegliere tra abbandonare l’Islam o le loro case.

Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia

In entrambi i casi il dogma della Trinità era un ostacolo insormontabile alla conversione e nel periodo in cui Serveto visse la sua fanciullezza molti eretici furono messi al rogo. L’Inquisizione con i suoi metodi doveva aver notevolmente impressionato il giovane Serveto che, forse proprio per questo, decise di abbandonare l’idea di una carriera ecclesiastica.  

Sin dall’infanzia fu uno studente molto brillante. Secondo un suo biografo, “all’età di 14 anni conosceva già greco, latino ed ebraico e aveva una vasta conoscenza di materie quali filosofia, matematica e teologia”.

Nel 1528, all’età di diciassette anni, fu mandato dal padre a studiare legge all’università di Tolosa, in Francia, ma dopo appena un anno di università, abbandonò gli studi per entrare come paggio al servizio di Juan de Quintana, un francescano confessore personale dell’imperatore Carlo V e con lui partecipò alla Dieta di Augsburg del 1530. Entrò in contatto con gli altri riformatori presenti alla Dieta, la cui dottrina lo interessò a tal punto che abbandonò Quintana nell’autunno per recarsi a Basilea, da Ecolampadio. Il giovane travolse il riformatore svizzero con tali e tanti dubbi, soprattutto sulla Trinità, da fargli perdere la pazienza.
Tentò allora di farsi ricevere da Erasmo da Rotterdam, che allora abitava a Basilea, ma, ricevuto un diniego, si recò a Strasburgo per discutere con i riformatori Bucero e Wolfgang Capito, ma questi ultimi, messi sul preavviso a causa delle sue opinioni potenzialmente eretiche, furono freddini con lui.

Quando Serveto andò a studiare legge a Tolosa, vide per la prima volta una Bibbia completa; probabilmente si trattava della ‘Poliglotta Complutense’, una versione della Bibbia in cui poteva leggere le Scritture nelle lingue originali (ebraico e greco), oltre che nella traduzione in latino e, poiché era severamente vietato leggere la Bibbia, Serveto lo faceva di nascosto.

La prima pagina originale della Bibbia Poliglotta Complutense, raffigurante lo stemma cardinalizio di Cisneros, finanziatore dell’opera.

Lo studio della Bibbia, nonché la degenerazione morale che aveva osservato nel clero spagnolo, fecero vacillare la sua fede cattolica; egli credeva che il messaggio di Cristo non fosse rivolto ai teologi o ai filosofi ma alla gente comune che lo avrebbe compreso e messo in pratica; pertanto, decise di consultare il testo biblico nelle sue lingue originali e di respingere qualsiasi insegnamento in contrasto con le Scritture.
Gli studi compiuti in campo biblico lo portarono alla conclusione che nei primi tre secoli dell’Era Volgare il cristianesimo si era corrotto, così che Costantino e i suoi successori avevano promosso falsi insegnamenti, i quali alla fine portarono ad adottare la Trinità come dottrina ufficiale; queste sue convinzioni lo indussero, all’età di vent’anni, a pubblicare il ‘De Trinitatis erroribus’, che lo fece finire nel mirino dell’Inquisizione.

Nella Bibbia”, scrisse, “non si parla della Trinità… Possiamo conoscere Dio non tramite i nostri boriosi concetti filosofici, ma tramite Cristo”.

De Trinitatis erroribus

Il libro ebbe una certa diffusione e gettò scompiglio anche tra i pensatori protestanti, a partire da Lutero, che lo definì: “un libro abominevolmente malvagio“, sino a Melantone e Bucero, quest’ultimo tuonò dal proprio pulpito che l’autore avrebbe meritato di essere squartato! E proprio in seguito alla pubblicazione di questo libretto tutti i riformatori dell’epoca decisero di rinforzare l’importanza dottrinale della Santa Trinità. La vendita del libro fu proibita a Basilea e Strasburgo e in tutto l’impero.

Michele suscitò però alcune reazioni favorevoli, per esempio in Sebastian Franck, riformatore protestante, che scrisse: “Lo Spagnolo, Serveto, sostiene che in Dio non è che un’unica persona. La Chiesa di Roma ritiene che ci siano tre persone in un solo essere. Io concordo invece con lo Spagnolo”. Tuttavia, né la Chiesa Cattolica né le chiese riformate lo perdonarono mai.

Un anno e mezzo dopo aver pubblicato il ‘De Trinitatis erroribus’, Serveto disse a proposito sia dei cattolici che dei protestanti:

Non concordo e non dissento del tutto né con gli uni né con gli altri. Poiché entrambe le parti mi sembrano avere qualche verità e qualche errore, ma tutti riconoscono gli errori altrui e nessuno i propri”.

Era ormai da solo alla disperata ricerca della verità. Costretto a fuggire dai persecutori, si stabilì a Parigi con lo pseudonimo di Villanovanus, e lì studiò arte e medicina. La sua curiosità in campo scientifico lo spinse a praticare dissezioni di cadaveri per capire il funzionamento del corpo umano, tanto che fu probabilmente il primo europeo a descrivere la circolazione polmonare del sangue, 75 anni prima di William Harvey, e alla fine del XIX secolo, Robert Willis, medico scozzese, scrisse che i suoi studi in questo campo erano da considerarsi eccellenti.
Successivamente scrisse anche il trattato ‘Syruporum universa ratio’, che conteneva copiose nozioni di medicina, tanto che viene considerato un pioniere nel campo della farmacologia e nell’uso di quelle sostanze poi note come vitamine.
Considerata la sua vasta esperienza in così tanti campi dello scibile, uno storico lo ha definito:

“una delle più grandi menti della storia, un uomo che contribuì al sapere universale”.

Michele Serveto

Serveto abbandonò Parigi per recarsi nel 1540 a Vienna invitato dal locale arcivescovo, che lo conosceva fin dai tempi parigini e che lo volle come medico personale. Michele avrebbe potuto trascorrere una tranquilla vita di provincia, tuttavia egli si mise pericolosamente in vista scrivendo un’analisi critica di testi dell’antico Testamento (i Salmi e i Profeti), dove contestò l’interpretazione corrente che alcune frasi del testo profetizzassero la venuta del Cristo. Inoltre si mise in contatto con Calvino per discutere con lui di argomenti dottrinali, spedendogli una trentina di epistole ma la corrispondenza degenerò ben presto in una rissa verbale.

All’inizio del 1553 Serveto per pubblicare i suoi scritti ebbe grandi difficoltà; solo Frellon, un editore amico di Basilea, accettò di stampare in forma anonima la sua opera principale ‘Christianismi restitutio’ (La restaurazione del Cristianesimo), basato sui suoi libri precedenti, ma fu fatale per lui un errore dello stampatore che spedì incautamente una copia del libro a Calvino in persona! Questo errore ebbe come conseguenza che Calvino, avvertì l’arcivescovo di Lione, il cardinale François de Tournon, della presenza a Vienna del noto eretico Michele Serveto, sotto le mentite spoglie del medico Michel de Villeneuve. Calvino aiutò perfino l’inquisitore domenicano Ory, inviando prove documentali della colpevolezza dello spagnolo che venne arrestato, ma che riuscì ad evadere corrompendo le guardie.

Serveto venne quindi condannato in contumacia al rogo ‘in effigie’ con tutti i suoi libri. Egli era ancora libero ma senza un posto dove andare: dopo aver girovagato senza meta per quattro mesi, alla fine decise di emigrare a Napoli, dopo aver sentito dei circoli riformatori fondati da Juan de Valdés.
Ritenne che la via più sicura per lui fosse attraverso la Svizzera, e poi l’Italia settentrionale, e quindi sabato 13 agosto 1553 arrivò a Ginevra per prendere un traghetto per attraversare l’omonimo lago. Purtroppo la domenica a Ginevra tutti dovevano andare per legge alla funzione religiosa: qui fu immediatamente riconosciuto in una chiesa ed arrestato.

Calvino aveva finalmente l’occasione per sbarazzarsi di un pericoloso dissidente che avrebbe potuto essere parte nell’agguerrita opposizione interna rappresentata dal partito dei libertini, molto critico con la gestione calvinista della città.
La legge ginevrina stabiliva che l’accusato e l’accusatore dovessero essere ambedue messi in prigione nell’attesa della sentenza, ma Calvino aggirò questa norma, mandando in galera il suo segretario, Nicolas de la Fontaine, al suo posto.

Giovanni Calvino, pastore di Ginevra

Subito Calvino stesso scese in campo e il processo si rivelò una battaglia persa in partenza per Serveto, contro cui Calvino usò ogni mezzo, coinvolgendo nel giudizio finale anche le chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa.
Ciò nonostante, al processo, Serveto si disse disposto a modificare le proprie tesi a patto che per convincerlo il suo avversario si servisse di argomentazioni basate sulle Scritture, ma Calvino non essendo in grado di sostenere questo confronto, evitò di affrontarlo in tale campo.

Dopo il processo, in cui si difese da solo, Serveto fu condannato al rogo.

Secondo alcuni storici fu l’unico dissidente religioso a essere sia bruciato in effigie dai cattolici che arso vivo dai protestanti. La condanna di Serveto fu eseguita il 27 ottobre 1553 nel rione di Champel. Michele morì con dignità, avendo rifiutato anche l’estremo tentativo di Farel di salvargli la vita, se avesse ammesso per iscritto i suoi errori. Nei suoi scritti Calvino scrisse invece che, di fronte all’estrema condanna, egli fu tutt’altro che impavido… mah!

L’anno successivo però Calvino sostenne il diritto di uccidere gli eretici in un suo trattato, ‘Defensio ortodoxae fidei’, ma fu lungamente criticato ed attaccato per questa decisione, giacché da quel rogo ingiusto, la sua autorità morale era uscita alquanto svilita. L’esecuzione ingiustificata di Serveto suscitò l’indignazione degli intellettuali di tutta Europa e fornì anche un valido argomento ai sostenitori delle libertà civili, i quali affermavano che nessuno doveva essere messo a morte per le proprie idee religiose. Camillo Renato, pensatore italiano, protestò scrivendo:

“Né Dio né il suo spirito hanno incoraggiato un’azione del genere. Cristo non trattava in questo modo coloro che non lo riconoscevano”.

E l’umanista di origini savoiarde Sébastien Castellion scrisse:

Uccidere un uomo non significa difendere una dottrina, significa solo uccidere un uomo”.

Nel 1908 nella città francese di Annemasse, a circa cinque chilometri dal luogo in cui morì Serveto, fu eretto un monumento in suo onore. Un’iscrizione dice:

Michele Serveto, geografo, medico, fisiologo, contribuì al bene dell’umanità con le sue scoperte scientifiche, la sua dedizione ai malati e ai poveri, e la sua indomita indipendenza di pensiero e coscienza. Era un uomo dalle convinzioni granitiche. Sacrificò la propria vita per la causa della verità”.

Il monumento di Serveto a Annemasse

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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