Succede di imbattersi in un saggio che, se pure affronta con precisa attenzione ai dati storici e alle fonti il tema attualissimo della “bellezza”, indulge con autenticità in momenti di vero e proprio coinvolgimento emotivo, sfociando nell’intima e privata confessione dell’autrice: Maura Gancitano, filosofa e scrittrice.
Il saggio è “Specchio delle mie brame – la prigione della bellezza”, titolo eloquente che anticipa da subito il tema affrontato: l’analisi di una società in cui non si è affatto liberi, ma da sempre prigionieri di stereotipi legati alla propria immagine e a un concetto di bellezza che, via via mutando attraverso le epoche, ha però sempre condizionato e costretto all’interno di un ruolo sociale, e ci ha reso vittime di un giudizio continuo e oppressivo sul proprio aspetto che, sempre più asfissiante, ha gravato in particolare sul corpo femminile.
Questi condizionamenti, presenti sin dall’educazione nella prima infanzia, hanno costruito la gabbia della bellezza e, oggi più che mai, anche attraverso la pubblicità, prestanza e avvenenza fisica rappresentano un perno su cui far leva, al di là del messaggio che si vuole trasmettere.
Nonostante tutte le conquiste per i diritti, l’emancipazione e le libertà rivendicate, in realtà le donne devono combattere contro uno standard di immagine creato dall’ordine sociale, le cui aspettative fanno sentire molte di loro inadeguate e manchevoli. L’archetipo creato dal mercato ha come obiettivo di indirizzare i consumi delle donne verso quel prodotto che promette loro di diventare come lo stereotipo di bellezza proposta, con il risultato che “potrò finalmente amarmi”, ma in realtà “l’immagine pubblicitaria deruba la donna del suo amore di sé per ciò che lei è, e glielo restituisce al prezzo del prodotto”.
“La pubblicità, scrive la Gancitano, ritrae speranze socialmente condivise, le rende omogenee, le semplifica, le fa diventare contenuti e prodotti, dà loro una forma comprensibile, uno slogan e le trasforma in promessa”.
Il meccanismo psicologico messo in atto dalla pubblicità fa leva sul senso di insoddisfazione e infelicità a cui si propone di dare soluzioni, ma in realtà si vogliono vendere soluzioni a problemi che vengono creati ad hoc; si tratta di suscitare bisogni per vendere prodotti, di rispondere cioè a una sollecitazione che vuole consolare, ammansire o far sentire in colpa, a seconda dei casi, e che solo l’acquisto può pacificare.
Attraverso un percorso che si articola in vari capitoli, l’autrice racconta epoche diverse e diversi standard di immagine di donna, tutti basati sullo sguardo maschile, in quanto la pubblicità è stata inventata dagli uomini e rappresenta la descrizione della realtà dal loro punto di vista, uno sguardo che è sicuramente ancora egemone.
Oggi, in un’epoca in cui dovrebbero prevalere il merito e la competenza, in una società in cui la parità dovrebbe essere lo standard, capita ancora che quando una donna dice qualcosa di valido e interessante, ci sia sempre qualcuno – e non raramente una donna stessa – a criticare come è vestita o come è truccata, a dimostrazione che certi condizionamenti sono in realtà ancora molto presenti ed è ancora difficile liberarsi da un sistema che ha plasmato le donne, condizionandole e facendole sentire vittime della paura di invecchiare o di non corrispondere ai canoni estetici che la moda promuove controllando il corpo femminile.
Leggendo questo saggio si resta colpiti da quelle pagine in cui l’autrice si mette a nudo, svelando momenti di fragilità ed emotività, sulla percezione che lei stessa ha del suo corpo e delle difficoltà che sua figlia, di undici anni, sta affrontando perché è in sovrappeso e ha un fisico non conforme allo standard:
“Questo modo di intendere la presenza del corpo femminile nello spazio pubblico è innanzitutto estetico e decorativo, cioè spogliato del suo valore politico. Prima di essere una cittadina che si muove nello spazio pubblico la donna è percepita come un oggetto da guardare”,
per Maura Gancitano è fondamentale che “gli uomini non vedano il problema della bellezza come qualcosa che riguarda solo le donne, perché il mito della bellezza è un sistema che coinvolge tutti: una questione di classe, di etnia e di controllo sui corpi non conformi”.
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale
Il primo obiettivo di un genitore o comunque di un educatore è quello di costruire la fiducia nei bambini e nei ragazzi, nelle persone. Quindi di credere in se stessi, di farli sentire amati, ben voluti o accettati. L’aspetto esterno va curato per se stessi più che per altri, pur rispettandoli nel parere e nelle aspettative. Il modello economico predominante, sociale, politico si basa sul consumismo, quindi su bisogni falsi ed inesistenti, sul far credere che tutto sia possibile sempre e ovunque, in qualsiasi posto e latitudine, a qualsiasi condizione. Quindi non è solo la pubblicità, ma l’intero ambito della comunicazione al servizio della distruzione consumistica. Il mito della bellezza e della giovinezza sono la base del possesso o del comando o della sopraffazione. Le armi della malavita e della speculazione di ogni genere, anche politico. Il risultato è l’autodistruzione in atto. Sono sempre stato in difficoltà quando mi hanno chiesto se le persone care fossero “belle” considerato che per me lo sono tutte le persone care e quelle che stimo. Non credo sia mancanza di “estetica”, almeno questo è quello che mi dicono, ma della differenza che ho sempre avuto nell’educazione di essere e mai di sembrare o apparire. E’ per questo che alla base della famiglia, quindi dell’educazione e della società va posto l’essere abbandonando l’apparire che diventa tradimento dell’umanità