Il circo del potere

Vero è che le cose del mondo sono gestite da chi ha il potere economico/politico e che oggi un pensatore libero, un intellettuale, una voce civile impegnata, non è più assordante come poteva essere un tempo in cui era persino temuta.
Questa è l’epoca del rumore rumore rumore e ancora rumore creato solo per fare silenzio, è l’epoca del tutto, troppo, in poco spazio/tempo per riempire svuotando ogni cosa, tempo di una libertà che si fa sopruso sui deboli. E allora questo impegno morale civile, questa visione oltre il “rumore”, oltre il “pieno” di tutto quanto è stato svuotato (parole, idealità, valore) fatica ad aprirsi un varco, uno spiraglio che vinca il senso di inutilità, che non senta mai vano il gesto e la parola, che resti fuori dal circo.
Certo è che per questo ci vuole coraggio. Ma il coraggio uno se non ce l’ha non può darselo da solo – frase di manzoniana memoria – e per opporsi, marcare la differenza, cambiare il linguaggio, tornare ai contenuti e uscire dal circo ne occorre davvero tanto. Bisogna saper accettare di percorrere anche la strada più difficile, pagando il prezzo di rinunciare alla comoda scorciatoia, al barattare l’utile col dilettevole servendosi della giustificazione che così facendo si potrà essere utili di rimando, per realizzare quel bene che nell’accezione comune viene declinato in maniera ogni volta personale, senza ragionare mai davvero insieme su cosa sia.
In fondo il potere è come l’anello magico che Smeagol de “Il signore degli anelli” chiama “il mio tesoro”, e in troppi vogliono indossarlo anche barattando una parte di sè, raccontandosi che la scelta è necessaria a ricondurre quel potere nel mondo virtuoso, dove tornare a se stessi, convinti che tutto sia sotto controllo. Ma il potere non è un docile agnellino disposto a lasciarsi guidare, al contrario una volta che ci siamo perduti non ci sarà potere che si lascerà facilmente domare.


Il metodo è sostanza, indulgo in questa riflessione specie quando penso ad un mondo che ha drammaticamente ristretto gli orizzonti, dove i giovani avrebbero bisogno di validi esempi ma non ne trovano e perciò si riducono sovente a dovere imparare a restare in equilibrio nel cerchio di un circo mediatico.
La rivoluzione non paga se, come canta Gaber, abbiamo sdoganato una nuova morale, che ha reso lecito ogni tornaconto personale.
Vivo perciò una condizione di profonda sfiducia dovuta a una consapevolezza maturata in questi anni; libertà è partecipazione ma anche e soprattutto scegliere di non partecipare quando la narrazione prevale sulla sostanza e ti accorgi che le parole perdono significato negli slogan. Esiste una onestà intellettuale e una lucida coscienza che non si può eludere o aggirare, questo vuole dire essere presenti a se stessi. Probabilmente è ciò che sta nelle minoranze silenti o in quei netti No di rifiuto che oppongono il coraggio di una coerenza logica, scomoda e troppe volte in solitudine, aspettando che i cicli finiscano e si ritorni al punto di partenza, come nel gioco dell’oca.
Se è vero che toccando il fondo inizierà la risalita, mi chiedo quanto manchi a questo fondo o se piuttosto non si stia continuando a scavare. Una volta smascherata la realtà non puoi che constatare, e in questo Pirandello è stato un maestro, che sotto una maschera ne coesiste un’altra e sotto sicuramente ce ne sta un’altra ancora: il volto è oramai stratificato di maschere, e non è detto che questa politica oramai ridotta all’omologazione di un metodo, resa incapace di produrre una visione, che non sa entrare nelle vite della gente, tanto meno ridestare coscienze assuefatte, non sia diventata solo un altro precipizio dove restare intrappolati. Saremo cioè talmente omologati che l’avvicendamento al Governo di questo o di quello sarà alla stregua di un cambio della guardia, una parata in pompa magna con tutti i crismi della democrazia, una celebrazione fatta per lasciare tutto com’era, o giù di lì.

Il cambio della guardia al Quirinale

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

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