Schubert ovvero la musica come diario dell’anima

‘’Pensa a un uomo la cui salute non potrà più ripristinarsi, e che per pura disperazione rende le cose peggiori invece che migliori. Pensa, intendo, a un uomo le cui più luminose speranze sono diventate nulla, per cui amore e amicizia sono diventate una tortura, e di cui l’entusiasmo per la bellezza sta velocemente sparendo; e chiediti se un uomo così non è davvero infelice’

così scriveva Schubert all’amico Leopold Kupelwieser il 31 marzo 1824.

Fu proprio in questo periodo di “mancanza di speranza” che Schubert compose due quartetti: il primo dall’atmosfera malinconica e il secondo invece di ispirazione tragica quasi disperata: a essi si affiancò un anno dopo, l’ultimo quartetto.

Dedicato alla “comune amica” dell’uomo, ossia la Morte, Schubert iniziò questo quartetto nel 1824, dopo essere stato molto male e aver capito che era più vicino alla morte di quanto non volesse credere. Questa consapevolezza comportò un terribile periodo di depressione non indifferente.

Prima va ricordato che nel 1817 Schubert aveva composto il Lied “Der Tod und Das Mädchen” (la morte e la fanciulla) utilizzando versi del poeta Matthias Claudius. Testo e musica accompagnavano qui l’ascoltatore verso l’ignoto e il trascendente e nel Lied il comprensibile terrore della Fanciulla era contrastato dall’implacabile compostezza della Morte, che con dolcezza la convinceva ad addormentarsi tra le sue braccia poiché lei non era venuta per punire ma per dare pace, e così alla paura subentrava una dolce e quieta rassegnazione.

Franz Schubert – Der Tod und das Mädchen (Vorschau Kammerkonzert) | Staatstheater Nürnberg

Sette anni dopo Franz trasferì lo stesso tema e la stessa atmosfera nel suo quartetto più celebre, la cui prima esecuzione privata ebbe luogo soltanto il 1° febbraio 1826, nella casa di Josef Barth, un amico di Schubert.

È probabile che nel frattempo Schubert avesse rivisto più volte il lavoro, la cui prima stesura era stata criticata da Ignaz Schuppanzig, leader del celeberrimo quartetto di Vienna, per la sua difficoltà tecnica ed espressiva.
Il Quartetto in re minore non fu eseguito in pubblico, né dato alle stampe vivente l’autore; la prima pubblicazione, curata da Josef Czerny, si ebbe solo nel 1831.
Occorre ricordare che a quei tempi nel nuovo senso di individualismo, tipico del Romanticismo, contrapposto all’analisi razionale che era stata dell’Illuminismo, l’artista si ritrovava a confrontarsi con i propri sentimenti e con i propri turbamenti.
L’idea della Morte incuriosiva l’artista ma al tempo stesso, e forse in misura maggiore, lo atterriva. L’idea di abbandonare il mondo reale, l’idea di non esistere più, era una paura interiore costante.

Ritratto di Franz Schubert realizzato da Gabor Gabriel Melegh nel 1827
(olio su tavola di legno)

Questo timore e questa disperazione sono palpabili nel quartetto in re minore, dove il primo movimento si apre con un’inquietante tema e attraverso vari sviluppi si chiude in un rassegnato diminuendo.
La presentazione dello scultoreo tema principale, con il violento fortissimo e la strappata dei quattro strumenti ad arco, ci introduce senza preamboli nel clima tragico dell’opera.
Dopo un frammento più cantabile, il motivo iniziale dà vita a un febbrile crescendo passando da uno strumento all’altro per poi spegnersi nel pianissimo finale.
Il secondo movimento è un tema con variazioni basato sul tema dell’omonimo Lied: il ritmo ostinatamente sincopato, il colore scuro delle parti strumentali, ottenuto con una dinamica oscillante tra il piano e il pianissimo, danno al tema una cupa solennità.
Poi lentamente, con l’inizio delle variazioni, come vi fosse un’apertura di sipario, si immagina la scena raffigurante la Morte che viene a prendere la Fanciulla per portarla con sé. Successivamente lampi di luce e fulmini illuminano la scena, ha così inizio una vera tempesta dell’animo: in essa par di vedere la Morte che si rivolge alla Fanciulla, che non vorrebbe starla ad ascoltare.

Un pianissimo improvviso precede un dialogo intensamente lirico tra violino primo e violoncello, mentre gli altri due strumenti proseguono la loro pulsazione ritmica inesorabile. Il dialogo si fa poi più drammatico e con un ampio crescendo che sembrerebbe concludere la variazione, poi improvvisamente la tempesta si placa, rimane in scena un’atmosfera cupa ma stranamente rassicurante, sottolineata dal cambio di atmosfera che vuole rappresentare ancora una volta l’assoluta tranquillità della Morte, che cerca con dolcezza di calmare la fanciulla (dal Lied ‘Non sono cattiva. Dolcemente dormirai fra le mie braccia!’).

Franz Schubert – String Quartet No.14 in D minor, D.810 (Alban Berg Quartett)

Il Quartetto D 810 è costituito da quattro movimenti:

  1. Allegro (Re minore)
  2. Andante con moto (Sol minore)
  3. Scherzo. Allegro molto (Re minore) Trio (Re maggiore)
  4. Presto (Re minore)

Nella variazione successiva il caos lentamente si impadronisce della situazione, la Morte non può concedere alla Fanciulla di far sfiorire la sua sorte segnata dal Fato con l’inesorabile scorrere del tempo e così il disordine diventa padrone della scena, il violoncello continua a proporre il tema, ma gli altri strumenti prendono ognuno strade totalmente diverse, è un terremoto sonoro che smuove la scena: la fretta della Morte potrà essere placata solo dalla Fanciulla, che in uno straziante assolo del primo violino, si rassegna e decide di seguirla, e il movimento si spegne serenamente.
Con lo Scherzo si ritorna alla tonalità d’impianto del quartetto: re minore.
La sezione iniziale è fortemente caratterizzata dal tema sincopato esposto dai violini e dal canto del violoncello. La musica esprime solo inquietudine.

Tutt’altro clima nel Trio: il modo maggiore, la semplicità della linea melodica e la scomparsa delle irregolarità ritmiche che avevano caratterizzato lo Scherzo determinano un’atmosfera di tranquilla serenità, forse unica in tutto il quartetto, viene quindi ripreso lo Scherzo fino al termine.

Un’ultima annotazione: tanto il tema principale dello Scherzo quanto quello del Trio sono derivati dal motivo principale che apriva il primo movimento.
Nel vorticoso movimento conclusivo il tema principale, che domina l’intero brano con il suo ritmo di veloce e spettrale tarantella, pare quasi una danza macabra.
Il finale è perciò pieno di dinamismo vigoroso e di colori bruniti, ed è formato da due temi: il primo vivace e inesorabile e il secondo più disteso e cantabile. Il famoso musicologo Alfred Einstein lo definì ‘la tarantella della morte’.

La novità è rappresentata dall’inserimento, subito dopo il primo tema, di un nuovo episodio a carattere conflittuale tra serenità e amarezza.
Un’improvvisa accelerazione segna uno spostamento verso un’atmosfera meno tesa ma è una illusione; al pianissimo repentino degli strumenti è seguito da un rapido crescendo che ci conduce a una conclusione di disperata tragicità: per Franz non vi è dunque possibilità di consolazione alcuna!

Manoscritto originale del quartetto

Insieme al celebre Quintetto in do maggiore D.956 è questo certamente uno dei capolavori cameristici del musicista viennese e il musicologo Walter Dahms lo giudicò l’anello di congiunzione fra Beethoven e Brahms; infatti la genialità del disegno armonico, l’equilibrio delle sonorità e la varietà dello svolgimento tematico lo ponevano molto al di sopra della produzione quartettistica contemporanea.
Gli ultimi tre quartetti costituirono invece tre differenti espressioni di un comune momento creativo, l’estremo e più maturo lascito schubertiano nel campo del quartetto per archi.


Emancipato dall’influenza dall’esempio beethoveniano, Schubert diede libero corso alla propria sensibilità creativa e anche se Schubert non venne meno al principio classico della ferrea logica della costruzione dialettica tra i temi; tuttavia la rigida tecnica elaborativa lasciò il campo alla sua naturale propensione verso il canto puro e verso lo sguardo introspettivo.

E’ nel titolo del Lied che si annida il senso dell’intero quartetto. In italiano la traduzione è “La morte e la fanciulla”; dunque, sembra tutto lineare: c’è la morte spietata che sottrae la vita a una fanciulla. Destino crudele e senso di ineluttabilità si confrontano. Nella lingua madre di Schubert però diventa tutto molto più poetico e chiaro. La morte, infatti, è ‘Der Tod’, cioè in tedesco è maschile, e questo cambia del tutto la prospettiva: perché la morte, rappresentata come un cavaliere antico, diventa quasi un corteggiatore della fanciulla. E il rapporto tra di loro si avvia a essere non di angoscia, ma di tenerezza e di abbandono, se non di liberazione. Questo è inoltre sottolineato dal fatto che “Mädchen”, la fanciulla, in tedesco non è femminile ma neutro, e in questa lingua molte parole con il suffisso “-chen” sono diminutivi o vezzeggiativi (si pensi un attimo alla ‘donzelletta’ di Leopardi o al pascoliano Fanciullino)

Franz Schubert ritratto da Wilhelm August Rieder -1875-

Questa è una pagina legata al periodo più infelice nella vita del compositore, quando Schubert iniziò a comporla è ancora preda di uno stato di depressione, reso ancora più insopportabile dai problemi di salute causati dalla sifilide, come leggiamo nelle lettere di quel periodo: “Ogni notte quando vado a dormire spero di non svegliarmi più e ogni mattino non fa che ricordarmi l’affanno del giorno precedente. Trascorro così le giornate senza gioia e senza amici, se Schwind non mi facesse ogni tanto visita, portandomi un raggio dei dolci giorni passati”.

Nonostante ciò nell’opera lo stile schubertiano è pieno e completo, la sua ricchezza melodica e i suoi percorsi introspettivi riflettono il pensiero di Schubert sul senso di essere artista in rapporto alle difficoltà della vita.

Caso unico nella storia del quartetto, i quattro movimenti sono scritti tutti in tonalità minore a testimoniare lo stato d’animo tormentato del compositore. Solo forse chi soffre può forse pienamente comprendere i suoni e le parole scritti da Schubert dal suo letto d’infermo che sa che gli resta poco da vivere. Eppure in questo quartetto nella sua complessa bellezza mostra che il compositore non ha mai, neppure per un istante, abbandonato la sua fede assoluta nell’arte.

Un busto di Schubert

Per descrivere la sua situazione diceva Schubert:

Per molti anni ho cantato la mia canzone solitaria. Se cantavo l’amore subito si tramutava in dolore. Se avessi cantato il dolore si sarebbe tramutato in amore. Così ero lacerato fra la gioia e il dolore”.

BIBLIOGRAFIA:

  • Alfred Einstein, Schubert, Milano, Edizioni Accademia, 1978;
  • Anna Rastelli, Amata Vienna. Personaggi, storie e disgressioni fantastiche sulla vita di Franz Schubert, Zecchini Editore, 2005;
  • Hans-Joachim Hinrichsen, Franz Schubert, München, C.H.Beck, 2011;
  • Sergio Sablich, l’altro Schubert, EDT 2002;
  • Luigi della Croce, Franz Schubert: la grande musica strumentale, LIM 2014.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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