Nina Berberova e la sostanza dello stile

Aveva dieci anni più di me, e, naturalmente, non lo nascondeva, perché è bella e io no. […] Lei si muove, parla e canta con grande sicurezza […]; sembra sprigionare una specie di calore, una scintilla – divina o diabolica –, non esita mai tra il sì e il no. Io mi sento, a volte, fasciata da una bruma d’incertezza, di indifferenza, di noia, nella quale mi dibatto come un insetto notturno si dibatte nella luce del sole, prima di accecarsi o paralizzarsi.

Molti anni fa mi ritrovai per le mani un libretto, un romanzo, che subito, non saprei dire cosa in particolare mi desse quell’impressione, forse la copertina, mi trasmise la convinzione che fosse qualcosa di elegante, di letterariamente prezioso, e che valesse la pena di leggerlo.
Capita spesso che l’istinto del lettore produca ottime conseguenze, non è sempre detto, naturalmente, ma di questo fenomeno, nel corso della mia vita di divoratore di libri, ho avuto svariatissime conferme.

Così fu anche nel caso di quel romanzo breve, “L’accompagnatrice”, scritto da Nina Berberova, che si rivelò appunto un piccolo capolavoro.
E’ la storia di una ragazza cresciuta in un contesto sfavorevole, figlia illegittima di una relazione di sua madre, insegnante di pianoforte, con un suo allievo.
La nascita della bambina con la conseguente scoperta del rapporto illecito che l’aveva fatta venire al mondo, aveva provocato una generale riprovazione sociale: alla donna non era rimasto che un solo allievo ed una esistenza di miseria.
Sonia, quella bambina, che nel frattempo impara a suonare il pianoforte, cresce dunque in una povertà  a cui poco giova il decoro.
La ragazza trova impiego come accompagnatrice della sfolgorante cantante Marija Nikolaevna, presentandosi nella sua casa nel durissimo inverno pietroburghese del 1919.
In quell’ambiente perfettamente riscaldato, in tutti i sensi, Sonia incontra una realtà distantissima dalla propria, un contesto in cui vivrà ma dal quale, solo per le sue difficoltà interiori e non certo per il trattamento affettuoso che riceve, si sentirà sempre respinta.

Una giovanissima Nina Berberova

Lei, incolore più che brutta, e priva di una personalità spiccata, misurerà con l’invidia repressa tutta la distanza che la separa da Marija, grandissima cantante e donna di enorme successo, un essere  che sembra incarnare l’apice di ogni perfezione.
Non starò qui a dire come si svilupperà in seguito le trama di questo breve romanzo, lasciando a voi il piacere di scoprirlo, sta di fatto però che l’opera mi colpì moltissimo perché alla grande pulizia e raffinatezza della scrittura corrispondeva una notevolissima capacità di analisi psicologica dei personaggi.
Solo una grande scrittrice poteva riuscire a fare della figura scialba di un’accompagnatrice, una donna di secondo piano dunque, la protagonista indiscussa e forte di un romanzo e solo una grande scrittrice poteva esprimere contemporaneamente tanto stile e tanta sostanza letteraria. Naturalmente leggere “L’accompagnatrice” mi spinse ad approfondire i rapporti con l’opera della Berberova, ed altre felici letture di suoi libri, confermarono le ottime impressioni di quella prima e fortunata esperienza. Ecco qualche nota per conoscerla meglio, invitandovi a frequentarla in veste di lettori, certo che non ve ne pentireste.  

Nina Berberova all’età di 23 anni

Nina nacque nel 1901 a San Pietroburgo da una famiglia di un certo rilievo: suo padre Nikolaj Ivanovic Berberov, era infatti funzionario del Ministero delle Finanze.
La giovane, avviata da buoni studi ad interessi culturali e letterari, ad appena ventuno anni, preoccupata dall’atteggiamento dei soviet verso gli intellettuali, molti dei quali venivano ritenuti nemici del neonato regime bolscevico, si allontanò dalla madrepatria.
I casi di Esenin e di Majakovskij le rimasero sempre impressi e la separazione psicologica ed intellettuale dalla Rivoluzione Russa non avrebbe potuto essere più netta in lei, vista anche la provenienza familiare che potremmo definire oggi liberal.

Nina Berberova


Così la scrittrice, molti anni dopo, descrisse il rapporto con le sue origini:

“Io appartengo a quella categoria di persone per le quali la casa in cui sono nate e cresciute non è mai diventata il simbolo della protezione, del fascino e della solidità della vita; anzi la sua distruzione mi ha portato una gioia immensa. Io non ho né “tombe di famiglia”, né i resti di una casa distrutta, nel cui ricordo trovare conforto nei momenti difficili…” 

In un primo momento, quello immediatamente successivo alla fuga dall’Unione Sovietica, la Berberova e suo marito di allora, il poeta e critico letterario Vladislav Khodasevich, soggiornarono nella villa dell’amico Maksim Gor’kij a Sorrento, in Italia, per poi trasferirsi a Berlino.

Maksim Gor’kij

Durante il periodo trascorso nella città tedesca, la scrittrice si dedicò ad un audace saggio su Ciajkovskij, pubblicato poi col titolo de “Il ragazzo di vetro”, primo lavoro nel quale si accennava all’omosessualità del musicista.
Nina Berberova infine, come molti altri esuli russi, si stabilì a Parigi, città da sempre accogliente nei confronti di dissidenti di ogni provenienza, ed in particolare nei confronti degli intellettuali.

Nina Berberova e suo marito Vladislav Khodasevich nella villa di Gor’kij a Sorrento

Vivrà in Francia per un lunghissimo periodo di tempo, conoscendovi la sua migliore stagione letteraria e vivendo in quel paese i tempi durissimi del secondo conflitto mondiale e quelli dell’occupazione tedesca.
Agli anni francesi appartengono alcuni dei migliori racconti che la Berberova, grande interprete del testo letterario breve, raccolse nel volume dal titolo “Le feste di Billancourt”.
Nel 1950 si trasferì negli Stati Uniti affermandosi come scrittrice e insegnando prima alla Yale University, poi a quella di Princeton.
Tra le maggiori opere da lei scritte vanno ricordati i romanzi brevi “Il giunco mormorante”; “Il lacché e la puttana”; “Roquenval”; “Il male nero”; “La resurrezione di Mozart” e tanti altri ancora. In tutte queste opere si ritrova la mano leggera ed incisiva vista all’opera ne “L’accompagnatrice”, che si dimostra capace di fondere stile e sostanza psicologica e letteraria nel delineare il gioco dei rapporti tra i protagonisti delle sue storie.
La Berberova ha anche pubblicato libri di poesia.

Nina Berberova in una delle immagini tratte dalla sua auotobiografia “Il corsivo è mio”

La sua opera maggiore tuttavia, è il lungo racconto autobiografico che venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1957, col titolo de “Il corsivo e mio” dal quale si ricava l’impressione che il distacco della scrittrice dalla Russia non sia stato mai completo e che la Berberova abbia in sostanza dato voce alla malinconia degli esuli transfughi dalla Rivoluzione, costretti a prenderne le distanze senza mai adattarsi davvero alla vita nei paesi di approdo.

Nina Berberova è morta nel settembre del 1993 a Filadelfia, in conseguenza di una caduta. Tornò una sola volta nella sua madrepatria descrivendo così quell’esperienza in un’intervista:

“Nel 1989 sono tornata in Russia per la prima volta dal 1922. Che squallore, che tristezza. Casa dei miei a Leningrado grigia, sporca, fumosa. Ho fatto un giro, poi via. Mi stupivano le ragazzine, a Mosca e a Leningrado. Si facevano vicine vicine e mi volevano toccare, come fossi Madonna. Perché secondo lei?”. 

E l’intervistatrice le rispose: “Signora, le ragazzine volevano toccarla perché lei ha toccato la Achmatova, Blok, ha conosciuto Gorkij ed è stata l’amante del poeta Vladislav Chodasevic.
Volevano carezzare la vecchia Russia, la Santa Madre, la Storia, il Secolo che ci scivola da sotto i piedi”.

Nina Berberova fotografata da Sophie Bassouls/Sygma nel 1989

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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