Köln Concert, Keith Jarrett e l’orgoglio della musica… Vera

Era una fredda e piovosa serata quella del 24 gennaio del 1975 a Colonia, e una moltitudine di persone era in fila nell’attesa di poter entrare all’interno del Teatro dell’Opera per assistere ad un concerto di pianoforte di un musicista jazz americano: Keith Jarrett.
Nessuna di quelle 1432 persone che avevano acquistato il biglietto, e che ora stavano strette nei loro cappotti e sotto gli ombrelli in fila, avrebbe mai immaginato che sarebbe stata testimone di un concerto di piano successivamente ritenuto il più famoso nella storia della musica moderna.
Un concerto che sicuramente non nacque sotto una buona stella ma che una stella del jazz, Keith Jarrett, nonostante tutto, fece diventare un Big Bang cosmico nel campo musicale.
Un successo mondiale
Si pensi che la registrazione di quell’evento vendette oltre quattro milioni di copie, divenendo il disco di pianoforte più venduto di tutti i tempi, e che questo successo non si è ancora fermato.

Torniamo un attimo indietro nel tempo perché la storia di questo concerto ha veramente dell’incredibile.
Nella sua carriera di musicista Keith aveva suonato in trii e quartetti, poi era approdato nel gruppo di Miles Davis, il quale gli aveva imposto di suonare il piano elettrico.
Questa cosa a Jarrett non piacque: decise così di abbandonare la Band e di affrontare una nuova avventura in veste di solista con il suo amato piano a coda.

Keith Jarrett

Keith Jarrett era nel bel mezzo di un Tour mondiale da solista che era cominciato il 16 Ottobre del 1974  a Washington D.C. e che si sarebbe concluso il 20 Aprile del 1975 a Waterville, nel Maine, dopo aver toccato anche undici città europee in altrettante tappe.
Con il suo produttore aveva stabilito che, dato il grande impegno necessario per eseguire i concerti caratterizzati da lunghe improvvisazioni, le date sarebbero state sempre a giorni alterni per contemplarne uno di riposo.

Aveva appena terminato un concerto a Losanna quando arrivò la telefonata di Vera Brandes, una giovane organizzatrice di concerti jazz, che annunciava ai due di essere riuscita ad ottenere per il giorno successivo lo spazio per un concerto presso il Teatro dell’Opera di Colonia.
Nonostante la fatica accumulata Keith accettò di buon grado: l’idea di suonare in uno dei più grandi templi della musica europea lo intrigava.
Così, il giorno dopo, di buon ora, si mise in viaggio in automobile, una piccola Renault 4, insieme al  suo manager e produttore Manfred Eicher.
Nei giorni precedenti Keith aveva accusato lancinanti dolori alla schiena, indossava quindi un tutore per alleviare i dolori spinali che gli avevano causato notti insonni nonostante la somministrazione di antidolorifici.
Dopo un viaggio di quasi 600 Km, arrivarono nel pomeriggio a Colonia in Germania.

Lì conobbero Vera Brandes, l’organizzatrice dell’evento, una ragazza di poco più di 17 anni, grande appassionata di Jazz.

Un’immagine recente di Vera Brandes

Questa li raggiunse appena arrivarono in albergo, dicendosi entusiasta perché i biglietti erano andati a ruba: il pubblico dunque sarebbe stato composto da più di 1400 appassionati di jazz.

Gli accordi presi con l’organizzazione prevedevano la presenza di un pianoforte a coda da concerto Imperial Bösendorfer 290 di nove piedi (290cm. circa appunto)

pianoforte a coda da concerto Imperial Bösendorfer 290

In tarda serata Jarrett e Eicher si recarono al Teatro per un sopralluogo e si resero immediatamente conto che sul palco del Teatro dell’Opera non troneggiava l’Imperial 290 ma uno della stessa marca ma molto più piccolo: un Bösendorfer Baby Grand.
Oltretutto lo strumento era quello usato per le prove del coro del Teatro, non era accordato, aveva il pedale di sostegno bloccato e alcuni tasti neri che non funzionavano.

Keith Jarrett, è risaputo, è un noto perfezionista, maniacalmente meticoloso riguardo agli strumenti da usare in concerto.

I due rimasero interdetti, provarono a suonare alcune note e poi rimasero in silenzio.
Dopo una rapida consultazione Manfred si avvicinò alla imbarazzatissima Vera e le disse:

“Questo piccolo piano potrebbe andar bene per suonare in un bar. Se non trovi un nuovo pianoforte Keith annullerà il concerto”.

Keith si voltò e si incamminò verso la macchina per fare ritorno in albergo.

Vera Brades, presa dalla disperazione e vedendo crollare il sogno del grande evento che era riuscita a organizzare, corse verso la Renault 4 e, attraverso il finestrino aperto, sotto la pioggia, cercò di convincere il musicista a tenere il suo concerto malgrado tutto, e che avrebbe cercato in ogni modo di far trovare un piano degno di Jarrett.

Keith, forse intenerito da questa ragazza, ormai zuppa di pioggia, dopo lunghissimi momenti di silenzio le disse:

“Lo faccio solo per te, non lo dimenticare, mai.”

Vera si precipitò a cercare un pianoforte più performante.
Trovò il piano che voleva Jarrett ma non riusciva a reperire il mezzo per portarlo al teatro.
Iniziò a telefonare a tutti gli amici musicisti che le vennero in mente per cercare di risolvere la disperata situazione, e chiese loro di aiutarla ad andare a prendere lo strumento per poi spingerlo per le strade di Colonia fino a destinazione.
Il tecnico accordatore le disse però che l’idea era pazzesca: il piano, se fosse stato trascinato per strada sotto la pioggia, sarebbe arrivato in pessimo stato.

Lo strumento oramai non si poteva più cambiare, si decise così di cercare di rimettere a posto, per quanto fosse stato possibile, il Baby Grand.
Un gruppo di tecnici e musicisti lo accordarono al meglio e cercarono di ripristinare i tasti non funzionanti.
Alla fine riuscirono a renderlo appena accettabile per chi non avesse un buon orecchio musicale.

Nel frattempo Keith Jarrett era tornato in albergo e aveva provato a riposare senza riuscirci. Fu portato quindi in un ristorante italiano per la cena, ma nel locale faceva un caldo infernale, il cibo non era buono, secondo quanto affermato dallo stesso pianista, ed il tempo per mangiare era scarso. In effetti il musicista fu servito per ultimo, così dovette cenare in fretta e furia e, sudatissimo, rientrare velocemente verso l’Opera. 

Nel tragitto verso il teatro Jarrett stava per addormentarsi, era molto stanco e provato. Riuscì a rilassarsi solo dietro le quinte, proprio in quel momento magico che precede di pochi attimi l’esecuzione.

Come disse poi nella sua biografia, un attimo prima pensò:

“Finalmente ora entro in scena col pianoforte e al diavolo tutto il resto!”.

Alle 23,30 si sedette sullo sgabello, a dire il vero in maniera piuttosto scomposta, e suonò le prime note.

Un silenzio profondo calò sulla platea.
Vera Brandes col cuore che le stava scoppiando dalla gioia, non riusciva a stare ferma e vagava per il teatro per poterlo guardare ed ascoltare da ogni angolo mentre le note, all’inizio incerte, cominciavano a sgorgare come da una sorgente, inebriando di magia gli spettatori che si resero tutti conto, in quel momento, di vivere qualcosa di magnifico.

Il primo pezzo era un’improvvisazione di 26 minuti che cominciava un po’ in sordina, come se l’artista stesse studiando lo strumento, per poi lanciarsi in cascate di note dal sapore blues, folk e classico.

Nel corso dell’esecuzione del secondo lunghissimo brano, della durata di 48 minuti, Jarrett aveva ormai capito bene i limiti dello strumento, adeguando quindi la sua improvvisazione alle carenze del piano.

Gli ascoltatori rimasero ipnotizzati da questa eruttiva vena artistica: le capacità solistiche e di improvvisazione di questo grande artista sono notoriamente straordinarie.

Anche ascoltando il vinile che riproduce il concerto si viene rapiti e ipnotizzati dalla musica di Jarrett. Si ritorna con i piedi sulla terra solo quando il braccio del giradischi si alza ed il disco si arresta.

Riguardo a questo grandissimo evento musicale, vengono in mente due considerazioni che ne possono spiegare la magia

Da una parte ci sono le caratteristiche tecniche del pianoforte impiegato, che era uno strumento assolutamente inadeguato all’ambiente nel quale era stato collocato.
La sua cassa armonica, infatti, era notevolmente inferiore a quella del piano richiesto dal musicista: le note basse così non avevano la stessa grande profondità e le note alte risuonavano metallicamente.
Keith infatti indugiò molto sulle note medie, picchiando con gran forza sui tasti, eseguendo ritmi ripetitivi ed ipnotici con la mano sinistra accompagnati dal battere sul palco col piede e, a volte, dalla sua voce, rinunciando spesso alla sonorità a favore del ritmo.

Questo rese quello di Köln un concerto unico, decisamente differente da tutti gli altri per i quali aveva avuto a disposizione strumenti all’altezza della situazione.

Keith Jarrett

La seconda considerazione riguarda lo spirito con il quale il grande musicista affrontò l’evento.

Nessuno avrebbe trovato niente da ridire se Keith avesse annullato il concerto: lo strumento che era stato concordato non era stato fatto trovare dall’organizzazione e questo per un grande pianista è la conditio sine qua non per esibirsi.
Nessuno si sarebbe sorpreso se il musicista si fosse adirato con la diciassettenne Vera Brandes, “artefice” e responsabile della disorganizzazione e di tutto quello che ne era scaturito.

Sorprendentemente invece Jarrett, noto per avere un carattere difficile, mettendo da parte la stanchezza, i disagi, le sofferenze fisiche e le frustrazioni, decise di tenere ugualmente il concerto adeguandosi alle avversità incontrate.

Quella sera del 24 gennaio del 1975 un uomo scrisse una pagina di musica che rimase e rimarrà nel cuore di tutti gli amanti della musica.

Quel giorno un grandissimo musicista salì sul palco riuscendo ad emozionare non solo le 1432 persone presenti ma anche i tantissimi che nel tempo hanno provato quasi le stesse emozioni ascoltando la splendida registrazione dell’evento.
Una felicità universale che fu il risultato del sogno di felicità personale ostinatamente inseguita, quella della giovanissima…

Vera Brandes naturalmente

Nato lo scorso millennio in quel luogo che, anche da Jovanotti, è definito l’ombelico del Mondo, Klaus Troföbien alias Carlo De Santis è ritenuto un vero cultore ed esperto di filosofia e costume degli anni 70/80.
È un ardente tifoso della squadra di calcio della Roma, ma non di questa odierna semiamericana e magari presto cinese, ma di quella di Bruno Conti, Ancellotti, Di Bartolomei, di quella Roma insomma che allo stadio ti teneva 90 minuti in piedi e 15 minuti seduto; è inoltre un collezionista seriale di oggetti vintage che vanno dalle cartoline alle pipe, dalle lamette da barba ai dischi in vinile.
I suoi interessi sono la musica pop rock blues psichedelica anni ’70/’80, la fotografia, la cultura hippie, i viaggi, la moto, il micromondo circostante.
Grazie ad una sua fantasmagorica visione è nata Latina Città Aperta, della quale è il padre, il meccanico e il trovarobe.
Politicamente è stato sempre schierato contro.
Spiritualmente, umilmente, si colloca come seguace di Shakty Yoni, space wisper di Radio Gnome Invisible.
Odia rimanere chiuso nell’ascensore.
Da qui la spiegazione del suo eteronimo.
Un pensiero criticabile ma libero, una mente aperta a 359 gradi.
Ma su quel grado è intransigente.

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