POSTINTELLIGENTE – Racconti di Piermario De Dominicis #11 “Amo ogni cosa amino gli altri”

Amo ogni cosa amino gli altri

Amo ogni cosa amino gli altri
Ecco il mio tributo d’amore all’umanità.
Da ragazzo, e mi pare ancora ieri, presi sul serio i consigli di mamma e papà su come dovessi esplicare i miei doveri di giovane e buon cristiano.
Ho prestato ascolto a tutti i loro suggerimenti, anche quando la mia precoce perspicacia intuiva le contraddizioni.
Dovevo al prossimo un patrimonio di affetto e qualche soldino ai poveri.
I poveri li conoscevo bene. Li incontravo nel giorno di festa lungo la strada che portava alla chiesa.
Erano tre o quattro, avevano un aspetto inoffensivo e bonario e tutto sommato sembravano tipi in gamba.

La distanza che intercorreva tra l’uno e l’altro di essi era immutabile come le benedizioni che lanciavano al mio indirizzo, con un che di sornione, allorché li beneficiavo, squassato da un intimo fremito di bontà.
Durante la messa adornavano la mia veste di piccolo fervente di un ardore così ben interpretato che spesso mi commuoveva. Sentivo sguardi ammirati e sorrisi di mesto compiacimento sui miei gesti, semplici e puri.
D’altro canto, nella vita quotidiana, la povertà mi veniva rappresentata come un mostro sporco, osceno e degradante e senza sosta mi si raccomandava di esorcizzarla andando ad occupare con ogni mezzo quel posto elevato che la società stava predisponendo per me. Con ogni mezzo.
Ed io annotavo tutto, la mia furbizia mi annichiliva, era davvero esagerata per un ragazzetto. Di ciascuna predica ritenevo prontamente il succo sbucciando la scorza che l’avvolgeva. Ama il povero ma frequenta il ricco. Portai a termine gli studi liceali simulando difficoltà e sforzi scolastici che ero ben lungi dal patire. Alla fine di quest’ultimo viaggio apparivo assai mutato. Occhiali scuri circondati da crine spesso e spiovente, parole dure e secche mi uscivano di bocca. Le mie azioni sapevano di amara ironia ed aspre erano le mie sentenze.
Ero un leader per una decina tra fedeli e devote che si modellavano sulle mie fogge e sul mio esempio. Ciò mi permise tra l’altro di scoprire le dolcezze del sesso.
Nessuno, anche stavolta, poteva dirsi più puro di me.
Frequentavo le case di due autentici metalmeccanici, ordinarie fino al soffocamento ed al cospetto delle loro famiglie ammirate teorizzavo, teorizzavo, teorizzavo. In assenza dei compagni operai ne catechizzavo le figlie, strappandole ad una concezione dei rapporti interpersonali troppo angusta e borghese.
Amori proletari; stupende sensazioni di potenza. Sarebbe stato magnifico continuare così in eterno, senonché i proletari andarono a farsi benedire. Spariti, cacciati via dalla storia con un solo soffio.
Qualche anno dopo, mentre mi trovavo nel mezzo delle fatiche universitarie, non so chi decise che bisognava dipingersi la faccia e creare.
Fu una faticaccia ben compensata: pitturato come un Cheyenne facevo un figurone. Il calumet passava fumante di mano in mano, di bocca in bocca ed io, perforando il bagliore guizzante del fuoco del bivacco, scrutavo con occhi umidi e decisi il viso acceso di qualche ragazzetta emozionata da questa Immensa, Colossale, Liberatoria Avventura.
Durò poco tuttavia.
Alcuni disgraziati che fortunatamente conoscevo appena ma che salutavo con calore, finirono stecchiti. Altri ne vennero fuori con l’anima strizzata e candeggiata a dovere, altri ancora sono a tutt’oggi in galera.
Io mi laureai.
Grande fu la gioia dei genitori e parenti. Molti vitelli vennero sacrificati in onore del figliol prodigo, e molti e molti assegni.
Lasciai la sala fitta del cicaleccio esultante degli ospiti e seguii mio zio. Con fare solenne egli mi condusse per mano fin nel suo studio, l’immobile e silenzioso motore degli affari di famiglia.
Era un vasto, austero sancta sanctorum, buio di pratiche a riposo.
Mi si spalancò davanti un mondo di avvocatura, di affari a ciclo continuo, di giacche fruscianti e di ville splendenti, di aperitivi e di bisbigliati adulteri.
Per anni ho corso come un invasato fra questi elementi, sono stati il mio sangue, la mia linfa, la mia anima.
In politica mi dichiaravo riformista e riformatore, stanco di ogni statico moralismo e pronto ad una equa concretezza. Il mio yuppismo suonava originale perfino agli amici americani.
Ora ve lo posso dire: ho quasi cinquant’anni e sono stato il più esatto ed implacabile dei ladri.
Ho cosparso la mia vita di sottrazione.
Da sei mesi mia moglie è scappata con il giardiniere. Non ne soffro affatto perché ho ben altro per la mente. Un bisogno che da qualche tempo sento levarsi alto in me, di disintossicare lo spirito, di scoprire ciò che si nasconde nelle facoltà dell’uomo al di là dei sensi.
Chi mi aiuta e mi guida in questa ricerca, una persona illuminata, si stupisce della mia umiltà e della mia fede. Alle sedute prendono parte molti dei miei colleghi, rubizzi e incanutiti, ma anche alcune diafane, bellissime fanciulle.
L’atmosfera che si crea è di tale penetrante suggestione che sento l’Assoluto che è in me (solo ora mi accorgo di averlo) sprigionarsi nell’Universo come se si riversasse nel suo naturale alveo.
Vengo preso da una sorta di sonno ipnotico, scandito dalle misteriose cantilene orientali che ho imparato a pronunciare e dalla voce del maestro che mi giunge da ovattate lontananze.
Ci giurerei, ho trovato l’approdo; ogni purezza in me è ormai autentica. Purtroppo, trovandomi appena all’inizio del mio cammino, sono ancora un po’ confuso e quando capita che dei profani mi chiedano qualcosa a riguardo, a volte rispondo che sono un buddista, altre che sono scintoista, altre Hare Krishna, Saibabista, Bagwanista, animista, Osiridista e perfino Samurai.
Amo ogni cosa amino gli altri.
Sayonara.

Piermario De Dominicis

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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