L’8 marzo del 1914 Fernando Pessoa compone di getto trenta liriche e le firma con il nome di Alberto Caeiro. Quel giorno ha inizio l’opera di dissociazione del suo io, nasce il suo primo eteronimo, e subito dopo, quello stesso giorno, in una sorta di delirio e spersonalizzazione, egli compone altre poesie con il suo nome e poi altre ancora a seguire, nei giorni successivi, con altri nomi, che non sono affatto pseudonimi, ma altri da sé, personalità distinte, che vivono vita propria, ciascuna con la sua storia, il suo stile, persino il suo segno zodiacale, con i propri credi, ideali, caratteri … la propria irascibilità o indolenza, insofferenza o malinconia, in un continuo gioco di scomposizione e ricomposizione … una sola moltitudine!
Il poeta americano Walt Whitman, del quale è allievo l’eteronimo Alvaro de Campos, aveva scritto di sé stesso: «I am large, I contain multitudes». Ma nel caso di Fernando Pessoa siamo molto oltre, egli raggiunge la disgregazione di sé per ricomporsi in tanti altri da sé tutti capaci di creare a proprio modo. Esiste un fermento di genialità nascosto dietro la sua vita ordinaria di impiegato a Lisbona, un’esistenza dall’apparenza del tutto banale, senza tratti significativi, mentre dentro di sé si moltiplica un intero universo: ”Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso volere d’essere niente. A parte questo ho in me tutti i sogni del mondo” .
E così Pessoa ci ha lasciato “un baule pieno di gente” che Antonio Tabucchi, critico, studioso e traduttore, considerato tra i maggiori conoscitori di questo autore, ha bene interpretato nella sua essenza di un gioco fatto di infinite ipotesi, contenute dentro il baule della biancheria nel quale, otto anni dopo la sua morte, vennero scoperti più di 27 mila testi inediti e sconosciuti, tra poesie, racconti, parti di diario e anche progetti di libri, frammenti di riflessioni e via discorrendo. Questi testi erano per lo più a firma dei suoi eteronimi, alcuni invece firmati proprio da sé stesso, e ancora oggi da quella fonte inesauribile che è il baule di Pessoa, si continua ad attingere per scoprire la complessità di un’opera dalle infinite sfaccettature.
Siamo ben oltre la finzione scenica di un qualsiasi travestimento, come ebbe a dire Antonio Tabucchi … Pessoa attraverso i suoi eteronimi diventa un altro da sé senza cessare di essere sé stesso, ciò è molto oltre i mascheramenti letterario stilistici e qui, mi piace davvero molto l’idea, ci troviamo sul terreno di un gioco aperto a infinite ipotesi … quale zona è più franca dalla realtà se non questa?
A noi di Latina Città Aperta piace questo terreno di gioco … e a voi?