Ridere per non piangere

Uno dei più celebrati aforismi tra quelli usciti dalla geniale e laboriosissima fabbrica di Ennio Flaiano, satireggiava il rapporto che una consistente parte di noi italiani intrattiene con il potere e col successo: “L’italiano è sempre il primo a correre in soccorso del vincitore”.  Chi ha qualche annetto in più che gli grava sul groppone, ha ormai immagazzinato provviste di cinismo in quantità più che sufficienti per comprendere quanta parte di verità si celi all’interno di quel brillante calembour. Per contrasto concettuale, l’immagine della solitudine del potente, dell’uomo al comando, prigioniero di uno scrigno dorato di responsabilità tanto pesanti da distanziarlo da tutti, è un cliché abbastanza consolidato che vanta anche alti esempi letterari. Chi non ricorda la meravigliosa descrizione che nella “Marcia di Radetzky” Joseph Roth faceva del deserto umano nel quale viveva l’Imperatore Francesco Giuseppe, straniato dal dovere di regnare e rassegnato a rapportarsi davvero solo con se stesso? Quale delle due letture contrastanti sull’appeal esercitato dal potere suona dunque più vicina al vero?

La risposta che mi sembra più convincente, e che tra l’altro non prevede chissà quali lambiccamenti di cervello, è semplice: la regola della solitudine di chi si trova in una situazione di forza e di privilegio potrà pure valere in tutto il resto del mondo, Isole Tonga incluse, ma sicuramente non funziona qui da noi. In Italia, in virtù del soccorso che si porta correndo al vincitore, chiunque abbia un briciolo di potere si trova addosso un tale esercito di amici, parenti e pseudoparenti da non temere minimamente la solitudine, disperando anzi di recuperarne un pochino perfino nel momento in cui la fisiologia canta e l’organismo si dedica ad attività per le quali si bramerebbe il minimo sindacale di intimità.

Naturalmente questa regola ha la sua ferrea controprova nel moto contrario, veloce ed oceanico, col quale le folle abbandonano chi ha perduto il proprio potere e i privilegi che ne derivano. Chi ti si proclamava forsennatamente amico, versava rose sul tuo cammino e ti stordiva coi suoi tonanti: “Ciao bello!” mentre tu ti domandavi chi accidenti egli fosse, nel caso malaugurato di una tua caduta in disgrazia, nel giro di un istante ti classifica come fattore allergenico e se, nonostante l’improvvisa cura nel farlo, non riesce proprio ad evitarti, lamenta lacrimazione agli occhi e pruriti al centro della schiena, i più difficili da raggiungere e placare con una decisa grattata. E la parentela? Parliamone. E’ fenomeno ben noto agli studiosi che la parentela ti cresce addosso in modo incontrollabile nell’età d’oro del tuo successo. I confini delle tue consanguineità si dilatano al punto di comprendere un numero di umanoidi paragonabile a quello di duecento famiglie allargate. So di casi in cui il vincente del momento ha avuto l’opportunità di conoscere personalmente almeno tre cugini di tredicesimo grado e si è anche accorto di avere otto nonni in attività, tutti materni.

Inutile aggiungere che una significativa variazione in senso negativo del tuo status socioeconomico solitamente ha l’effetto di una vera e propria strage familiare. Dopo che la tua recente ininfluenza politica, il killer familiare più efferato che esista, avrà falcidiato la folla dei tuoi parenti tu, ormai reietto, ti troverai senza famiglia come l’eroe del romanzo di Malot, a percorrere a piedi strade terrose in compagnia di cani ammaestrati e scimmie sapienti, fermandoti di tanto in tanto per deprimenti quanto necessarie esibizioni. Perché bisogna pur sfamarsi quando il caviale vien meno, no?

Non ho potuto non attardarmi in tali amare riflessioni in questi giorni in cui la nostra città ha assistito inerte alla caduta vertiginosa di un suo figlio di successo, un uomo da essa amato di passione pluriennale, un povero strapotente che folgorato da improvvisa e beffarda malasorte, è stato falciato prima da un attrezzo da giardinaggio e poi dalla mano adunca della giustizia. Un impressionante silenzio ha subito avvolto l’ex onorevole, colpito da immediato disconoscimento di paternità da parte del suo stesso humus. Dismesso dai suoi sodali nelle belle maggioranze che furono e sbianchettato perfino dal suo partito, blindato in un mutismo che avrebbe fatto apparire come insopportabili logorroici il Buster Keaton dei primi film o Marcel Marseau in scena. “Tesoriere del partito? Mah… Boh, più che altro si occupava delle collette sociali: raccoglieva i soldi per i salatini e le pizzette, sia quelle all’olio che quelle al pomodoro, che si consumavano durante le riunioni….”.

Non bastando al disgraziato questo genere di delusioni, anche la stampa locale, che ne aveva ospitato avida gesta e opinioni per svariati anni, per il suo caso ha rispolverato quasi al completo il genere giornalistico inventato e perfezionato proprio qui a Latina: la CIP, ovvero la Coraggiosa Inchiesta a Posteriori. Si tratta di uno scatenarsi improvviso, a partire solo ed esclusivamente dal momento in cui arriva la notizia ufficiale di indagini in corso o di rinvii a giudizio, di una gragnuola di pubblicazioni di fatti inerenti all’attività investigativa, provenienti da conferenze stampa o da brandelli di indiscrezioni quotidiane fatte filtrare, come si dice, dagli inquirenti. La CIP, se si volesse proprio cercare il pelo nell’uovo, ha il solo limite di non essere stata fatta prima, nel momento in cui le figure oggetto delle attenzioni giudiziarie erano nel pieno del loro potere, di non essere partita allora, anche nei casi in cui dalle attività successivamente inquisite, provenisse un odorino paragonabile a quello del pasto di una comunità di avvoltoi. Il giornalista specializzato in questa peculiare forma di inchiesta ricorda un po’ quei metereologi televisivi che invece di fare le previsioni del clima per i giorni successivi curano le “Constatazioni del tempo” e si presentano dinanzi alla telecamera dicendo: ” Gentili telespettatori buongiorno, eccovi le… MA PORCACCIA LA MISERIA, STA PIOVENDO!! Sta a vedere che mi saltano gli Open di Bocce a Zagarolo Nord!”.

La parabola discendente del nostro sfortunato eroe, come si vede, non trova alcun freno una volta che si è messo in moto il suo generalizzato disconoscimento. Nel frattempo hanno dimenticato il nome del neoreietto anche quelle migliaia di nostri concittadini che già dal suo primissimo candidarsi quel nome lo avevano scritto in massa sulla scheda, e perfino quelli di loro che poco prima di recarsi al seggio andavano a consumare al bar il cappuccino e il cornetto da lui generosamente offerti quale viatico per la loro oculata scelta di voto. Un suo elettore turbopentito, uno che ha preteso l’anonimato, l’altro giorno ha avuto l’impudenza di osservare che la marmellata dentro la brioche elettorale di otto anni fa, era un po’ stantia e che questo avrebbe dovuto aprirgli gli occhi. E non basta ancora: da alcuni pettegolezzi carcerari sembrerebbe perfino che un celebre detenuto, dal soprannome che ricorda un ballo di sala, abbia fatto sapere di non gradire, perché lesivi della sua onorabilità, eventuali accostamenti della sua persona a quella dell’uomo politico in disgrazia, attualmente custodito in regime di degenza cautelare: ” Ci siamo frequentati appena un migliaio di volte – ha precisato il malvivente – sempre e solo in occasione delle Elezioni degli Organismi Direttivi del Club delle Giovani Marmotte, ma lui in fondo era uno delle tantissime persone presenti e, tra l’altro, non gli è nemmeno mai riuscito di diventare Gran Mogol”. L’ultimo colpo, particolarmente vigliacco, è arrivato col comunicato di una nota fabbrica di macchine agricole, documento in cui si smentiva che fosse stata una delle motozappe da loro prodotta a ferire l’ex parlamentare. “ Non se la sarebbe cavata con tanto poco: le nostre motozappe fanno di meglio”, questo lo slogan inventato per l’occasione, un esecrabile espediente pubblicitario di cattivissimo gusto.

Insomma, ricapitolando la materia, abbiamo un nuovo figlio di nessuno, un alieno che ha attraversato la città espugnandola contro la nostra volontà e  senza che ce ne accorgessimo. “Vae Victis”, dicevano i latini, già prevedendo  Latina. Vista la velocità con cui si muove l’ondata dell’oblio, tra qualche giorno Latina avrà dimenticato del tutto l’uomo travolgente che essa stessa portò ad accaparrarsi ruoli e onori crescenti. Ne avrà dimenticato nome, professione e cariche pubbliche ricoperte. Ancora un po’ di tempo e questa città avrà dimenticato anche di chiamarsi Latina. In fondo questo non è troppo insolito: succede un giorno sì e l’altro pure.

 


 

 

 

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