AMNESIE

Nello studio del Prof. Samuele Cervellenstein, l’eminente psicologo, i rumori  della strada, altrove percepiti in tutta la loro sguaiatezza, giungevano attutiti, quasi al di sotto della soglia di percettibilità, smorzati come se fossero passati al vaglio di una spessa sordina.
Non si era evidentemente badato a spese nel lavoro di coibentazione di quelle pareti. Patané, il suo collega neurologo forense, da sempre incapace di nascondere una buona dose di invidia nei suoi confronti, gli diceva, scherzando ma non troppo, che il suo sancta sanctorum era certamente il terminal occulto di tutti gli omicidi bianchi della provincia e che decine di corpi di persone assassinate e date per scomparse fasciavano le intercapedini dei muri, garantendo la quiete metafisica del suo studio: una quiete sovrannaturale, l’eco di un eterno riposo… 

Cervellenstein, sprofondato in una poltrona così comoda da poter essere definita quasi affettuosa, fissava accigliato un fascio di appunti.
La tendina candida che ricadeva spiovendo dalla finestra, si muoveva appena, carezzevole, al soffio lieve di un filo d’aria proveniente dalla griglia del condizionatore, silenziosissimo anch’esso.
Il tribunale aveva affidato all’illustre psicologo la perizia sulle condizioni mentali di un celebre detenuto, l’ex potentissimo Natale Tiscirto. In realtà l’uomo non si trovava in carcere, ma da già un bel po’ di tempo era degente nella Clinica Mater Agricola, una struttura specializzata nella cura di traumi provocati agli arti inferiori da motozappe di marca Bertoccetti, modello 202E.

L’insidiosa motozappa Bertoccetti 202E

 

I magistrati giudicavano ormai più che congruo il periodo trascorso in convalescenza dall’inquisito, concessogli in seguito allo spettacolare incidente di giardinaggio di cui era  rimasto vittima.
A dirla tutta però, quello dei termini scaduti del ricovero non era l’unico problema che riguardasse quel caso: parecchie ombre si addensavano anche sulla ricostruzione del fatto.
Alcuni parenti del soggetto, Hilda Cacace e Dominick Ciaccià, cugini di secondo grado residenti ad Ottawa, Canada, che per un caso fortuitissimo erano presenti nel giardino dell’imputato al momento del sinistro, avevano testimoniato che la motozappa, giusto una Bertoccetti 202E, sostava sorniona sul ramo di uno  splendido arbusto, una Hippomane Mancinella, e avevano aggiunto che al passaggio del povero Tiscirto sul bel prato sottostante, l’infida macchina si sarebbe deliberatamente lasciata cadere dall’albero, gettandosi su di lui con un tremendo rombo catarroso e causandogli una seria ferita al polpaccio.
Era un taglio netto, sostennero i due, simile a quello che viene provocato da uno Shaving Shack, il famoso rasoio a mano, uno dei migliori della categoria. 

Hippomane Mancinella

Più di un giudice in Procura aveva manifestato perplessità sulla veridicità di queste testimonianze, che suonavano fin troppo dettagliate.

Erano dubbi suffragati anche dal racconto dell’imputato stesso, che ignorando ciò che era stato detto dai cugini, aveva fornito una versione dell’incidente del tutto dissonante da quella dei già citati parenti:

«Ero nel parco che circonda “Windsor Pickett”, la mia villa fuori città.
Tutti, qui a Lit… pardon, a Latina, conoscono bene le mie fissazioni: il calcio, le voulge, cioè le antiche alabarde svizzere del XVI secolo, e infine la campagna. Nel profondo della mia anima mi sono sempre sentito vicino alla terra quanto un vero coltivatore, e sempre ho trovato il modo di assecondare questa mia passione nonostante i mille impegni.
Adoro la campagna, tutte le campagne, ogni tipo di campagna: dalla campagna del Dorset alla Campagna di Russia, dalla campagna pontina alla campagna acquisti, dalla campagna delle Fiandre alla campagna elettorale, di cui, lo dico senza falsa modestia, insieme a quel brutto arnese del Senatore Strattone, io sono uno dei maggiori coltivatori nazionali.

Quel pomeriggio avevo appena terminato la potatura di alcuni rami del mio Gingko calandricus sinensis, sì, proprio quella pianta cinese che in inverno perde le foglie facendo tappeti dorati, e mi preparavo a compiere la stessa operazione sul mio Fagus tripus podis, il faggio tripode, quando mi sono ricordato che da almeno quindici giorni non facevo la manutenzione alla motozappa.
Mi sono messo allora a pulire la mia Bertoccetti 202E, credendola scarica, ma mentre la strofinavo per lucidarla, dall’attrezzo è partito accidentalmente un colpo che mi ha colpito alla gamba dando inizio ad un periodo di sofferenze inenarrabili.
Non potevo certo immaginare che ad appena quindici secondi dall’incidente, la polizia, dimostrando scarso buon gusto, avrebbe fatto irruzione in casa mia per arrestarmi in base ad accuse incomprensibili».

Cervellenstein alzò per un momento gli occhi dalle carte. Un’espressione ilare illuminò per qualche secondo i suoi lineamenti, solitamente austeri.
Il Professore ridacchiò e scivolando in frenetici colpi di tosse mormorò:

“Ma che minchiate! Che minchiate!”.

 

 

Scorse in avanti di alcune pagine il fascicolo:
Tiscirto era accusato di una serie infinita di reati, crimini che andavano dall’associazione a delinquere di stampo pontino, esercitata in concorso con notissimi ignoti, fino al tentato omicidio, tramite praline al cioccolato, nei confronti di un funzionario pubblico, incorruttibile ma diabetico. In molti caddero assieme a lui, vedendo terminare improvvisamente il loro dubbio cursus onorum.
Altri, i soci occulti, tornarono a frequentare ambienti angusti che già conoscevano bene. Un terremoto.
A quel punto la nomenclatura politica cittadina residuale, uno sparuto gruppo di individui sufficientemente scaltri da non lasciare troppa cancelleria in giro e da non farsi beccare con le mazzette nel becco, aveva cominciato a fischiettare con aria innocente, scrutando immaginari puntini nel cielo.
Fischiettavano fin dal momento in cui Tiscirto ed altri ex amministratori si erano sentiti premere sulle spalle le forti mani della legge. I furbacchioni lasciarono volentieri la scena della cronaca nera all’ex sodale e agli ex amici assessori e sindaci raggiunti da quei provvedimenti dolorosi, si misero d’accordo coi valvassini di alcuni media per favorire una bella amnesia tattica, e ripresero come se nulla fosse le proprie trame.

Lo psicologo non poté trattenersi dal pensare che quel voluminoso pacco di carte, e la realtà che esse raccontavano, decenni e decenni di delinquenza comune e politica, di corruzione e di acrobatici abusi amministrativi, tutte cosucce risalenti ad appena una trentina di anni, sembravano già sepolte, dimenticate in fretta da una cittadinanza talmente abituata a singhiozzare di nostalgia per il suo passato remoto, da rimuovere velocemente, e con un bel sorriso stampato in faccia, il ricordo di una pletora di fattacci più recenti.
Il Professore passò a verificare, come gli era stato del resto chiesto dal Tribunale, la fondatezza dei pareri clinici che avrebbero dovuto giustificare la richiesta di trattenere l’imputato nella clinica Mater Agricola ancora per una ventina di anni, anziché filare in cella. I periti a discarico invocavano, con ricchezza di modulazioni emotive,  le perduranti ed intensissime sofferenze psicologiche del degente. 

Per il Prof. Cervellenstein la lettura delle conclusioni di quei colleghi, accluse al fascicolo a sostegno della permanenza di Natale Tiscirto in clinica, fu una vera botta di vita: non ricordava di aver riso di più in vita sua!
Quelle dei fantomatici dottori che si erano prestati al coraggioso tentativo, erano affermazioni esilaranti che tradivano una fantasia scatenata e testimoniavano  una conoscenza delle Scienze Psicologiche dello stesso tipo che potrebbe  vantare una tellina.
Lo scienziato prese dal taschino un fazzoletto dal candore abbacinante e si asciugò – ancora gorgogliava mezze risatine – le lacrime di ilarità che gli avevano inondato il volto. Non fece in tempo a riprendere la sua analisi che la sua segretaria, Lorelei Wagonlit, bussò con discrezione alla porta ed entrò.

Natale Tiscirto nella Clinica Mater Agricola

“Scusi Professore, ma abbiamo un caso urgente: so che la Signora non è nella lista degli appuntamenti, ma mi è parsa essere una  emergenza. Credo… Temo… Insomma, forse ci troviamo di fronte a reiterati maltrattamenti: mi dica lei cosa intende fare.”

Cervellenstein si bloccò per un intero minuto, allibito perché nel frattempo, perfino nel silenzio imperforabile del suo studio, erano arrivati forti rumori esterni.
Un motore, sì, era un motore, no anzi, molti motori potenti che producevano un fracasso da far tremare i muri. Elicotteri forse? Sì, sì, senz’altro elicotteri.
Non era una cosa normale: quasi sicuramente doveva essere in corso qualche importante operazione di polizia. Sbirciò in fretta l’iphone e lesse, in tempo reale, di una retata contro un clan malavitoso assai conosciuto. Insieme al consueto cocktail di imputazioni classiche, erano oggetto di indagine anche “reati elettorali”, commessi da individui non ancora precisati.
Chissà quale degli innamorati appassionati di Littoria l’aveva ancora una volta violata? 

“Mah, – si disse – mi pare di essere diventato quel disgraziato di Tarallo che ha l’ossessione di Littoria/Latina e del passato mai digerito e mai rimosso”.

“Che facciamo allora Professò?”. Lorelei lo riportò a terra.

“Fa’ passare pure quella Signora”.

Una donna piuttosto in carne avanzò. Nonostante fosse truccata pesantemente, era pallidissima e aveva un’aria incerta, smarrita.
Un curioso cappello, sufficientemente alto da sembrare una sorta di torre, un po’ stropicciato, le sormontava la testa. La signora si muoveva male: l’impressione che se ne ricavava era che movimenti veloci le provocassero dolori lancinanti, intensi come quelli causati da solenni bastonature. Un’ombra bluastra le circondava un occhio e anche sugli zigomi stazionavano un paio di lividi. L’assistente la fece accomodare sulla poltroncina, giusto di fronte allo Psicologo.

“Cosa le è successo Signora, chi le ha causato quelle ecchimosi?”.

“Non lo ricordo Professore, e mi dispero. Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare bene… a ricostruire. Con la memoria non vado indietro, o almeno, non ce la faccio a spingermi con chiarezza oltre gli ultimi anni. Intravedo pochissimo in quel buio ”.

La donna si torceva le mani disperatamente: “Immagini che futuro posso aspettarmi se non recupero in fretta i miei ricordi, fossero pure quelli brutti. Ho solo l’impressione, ma è una cosa vaga, non una traccia precisa, che mi abbiano ridotto così dei tizi che mi chiamavano con un altro nome, non col mio: mi davano un nome da vecchia e ho anche la sensazione che fossero  proprio quelli che più dicevano di amarmi”.   

“Mmmhh… – rifletteva Cervellenstein – Ecco qua, è un caso da manuale: la donna brutalizzata per chissà quanto tempo da disgraziati che le si mostravano innamorati, e le prevedibili conseguenze delle torture subite. L’effetto quasi immancabile di uno shock psicofisico forte e prolungato come questo, non può essere che la classicissima Amnesia Traumatica Selettiva”.

“Tranquilla, stia tranquilla, – sentiva di dover essere premuroso – un po’ per volta arriveremo a ricordare tutto, signora… Signora…?”

“Latina. Mi pare di ricordare che gli amici mi chiamassero Latina, e solo con quel nome. Se lei vuol essermi davvero amico, Professore, mi chiami così”.

“LATINA!!??”

Cervellenstein ebbe uno scatto involontario, una specie di reazione elettrica. Gesticolò come un pupazzo fuori controllo, impallidendo, e si trovò quasi sbalzato via dalla sua carezzevole poltrona.
I fogli del fascicolo gli erano caduti di mano e svolazzavano, allegri come coriandoli, verso il pavimento. 

“Sto sognando anch’io, – pensò confusamente, e di colpo si scoprì sudato – avrei davanti la personificazione di una città!!??”

Latina si era portata la mano al viso, spaventata. Il sangue le era affluito alla testa ed il volto, da cereo che appariva, mostrava ora diffuse chiazze di rossore intenso.

“Mi perdoni Professore… Io non so… non volevo… mi scusi….” Si interruppe, addolorata, con la voce che le si spezzava. Sembrava sul punto di scoppiare in pianti.

“Calma, può succedere: forse ho lavorato troppo – si disse Cervellenstein, che teneva gli occhi chiusi – o forse ho concesso troppe sedute a quel pazzo di Tarallo e lui per ringraziamento mi ha rifilato un transfert!”.
E alzò lo sguardo di colpo, per controllare se la dolente apparizione fosse ancora lì, davanti a lui………..

 

 

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