“Sogni di sogni”, i viaggi onirici di Antonio Tabucchi

Nel 1992, un libretto di appena novantasei pagine svelò alcuni sogni impossibili da conoscere. Si trattava apparentemente di un lotto di sogni di provenienza furtiva, sottratti cioè ai loro legittimi proprietari.
L’accusa di appropriazione indebita, che venne formulata in un primo tempo, si rivelò però infondata, venendo a cadere del tutto.
Ad una lettura più attenta, infatti, quelli riportati nel libro, più che veri e propri sogni potevano essere considerate ipotesi immaginarie di sogni sognati da altri.
Il ladro che orchestrò questo suggestivo prelievo onirico era lo scrittore Antonio Tabucchi, disposto a divulgare il  patrimonio più segreto e impalpabile di venti personaggi storici a lui cari.  

Antonio Tabucchi

Ogni capitolo del libro, che nell’intestazione riporta il nome di un illustre sognatore, qualificandolo, ne racconta poi il sogno, e questo raffinato gioco intellettuale si ripete per venti capitoli, corrispondenti ad altrettanti sogni. 

Nel parterre de roi schierato da Tabucchi, sfilano uno dopo l’altro, nelle vesti di produttori di visioni oniriche, giganti come Ovidio, definito poeta e cortigiano,  Apuleio, scrittore e mago, Cecco Angiolieri, poeta e bestemmiatore, Samuel T. Coleridge, poeta e oppiomane, e così via, fino a concludere, significativamente,  col sogno di Sigmund Freud, ovvero quello del più celebre interprete dei sogni altrui. Questo ultimo capitolo, culmine del libro, rappresenta la chiosa ideale per un’opera fatta di sogni, dedicato com’è, proprio all’uomo che nella vita si era più applicato nella loro traduzione psicologica. Tabucchi, quasi a punirne l’impudenza per essere penetrato in un recesso così intimo, nel racconto del suo sogno lo trasforma in Dora, una delle sue pazienti più famose per essere state da lui descritte nei “Casi clinici”, capovolgendo i rispettivi ruoli.

Sigmund Freud posa per il suo busto

Nell’avvicinarsi a questo libricino particolare viene spontaneo chiedersi:

perché sognare i loro sogni?

Mi sono risposta che raccontarne la vita, scrivere venti biografie, sarebbe stato ricalcare i passi di un percorso fin troppo conosciuto. La dimensione onirica, invece, consente alla narrazione di addentrarsi nell’intima evocazione che solo il sogno può offrire, mostrando la parte sconosciuta di noi, quella che a volte si intuisce appena ed altre invece si palesa come uno squarcio improvviso, un lampo nell’uniformità del cielo.

La miglior risposta alla nostra domanda, però, ce le fornisce direttamente l’autore.

“Io le biografie riesco a leggerle solo se sono romanzate o rivissute, ma anche così preferisco inventare ipotetici sogni, confessò Tabucchi in una intervista su La Repubblica.
“Con i sogni ho preso una vacanza da me stesso. Altre voci, altre stanze. Ma è una vacanza che vado frequentando da tempo, perché il libro è stato cominciato anni fa, quando lo promisi all’ editore Sellerio. Fa sempre bene prendere una vacanza da se stessi, disseta e disintossica”.

Conosciamo la brevità dei sogni, la loro natura di affacci sul nostro inconscio, pennellate con le quali tentiamo di descriverci. Per Tabucchi sono tratti fugaci di penna, scalfitture nella pagina che risvegliano mondi, diversità, intuizioni, e lo fanno con la naturalezza con cui si attraversa l’illogicità col passo certo della logica inconfutabile. Non esiste nulla di più permissivo dei sogni, nulla che ci garantisca altrettanta, illimitata, libertà.

All’epoca della pubblicazione del libro, lo scrittore ebbe ovviamente occasione di esprimersi più volte a riguardo, di rispondere a diverse domande e di spiegare il senso di questa narrazione, tanto originale da apparire quasi eccentrica. 

“La letteratura che nel mio libro si celebra e si omaggia è certo fatta del sogno di un altro, perché sono tutti scrittori o artisti che hanno inventato, che hanno creato. E io in questo libro intendo rendere grazie a tutti coloro che hanno creato qualcosa dal niente. In più il mio libro è fatto di sogni altrui, ho cioè sognato di sognare.

Cosa sognava Ovidio? Cosa sognava Stevenson?

Diceva Pessoa: il poeta è un fingitore, finge così completamente che arriva a fingere che è dolore il dolore che davvero sente. Parafrasandolo, si può dire che anche lo scrittore è un fingitore, che finge così completamente che arriva a fingere che sia il sogno di un altro il sogno che davvero sente”.

La fascinazione dei sogni, il mistero che in essi si cela, la possibilità di fingere senza mentire: in quale dimensione siamo altrettanto veri?
Quanta verità c’è in un sogno? E quanta finzione c’è nella realtà?

“Gli antichi credevano che il sogno provenisse dall’ Olimpo o dagli Inferi, dal dio Hypnos. Cosa sono i sogni? Associazioni sconosciute? Misteriosi messaggi? Visioni altre? Non lo saprei dire, così come non saprei dire cosa è davvero l’ arte. Credo però che bisogna avere rispetto per il sogno, non pretendere di sistematizzarlo o di decifrarlo come un messaggio in codice.
Questo mi pare presuntuoso e volgare, così come forse è presuntuosa e volgare una spiegazione totalizzante dell’arte”.

Nella suggestiva evocazione che Tabucchi fa del sogno di Leopardi, poeta e lunatico, Giacomo si addormenta tra due materassi per vincere il gran freddo.
Alla fine del sogno crede di essere morto, ma sarà Silvia, una delle sue più dolci interlocutrici poetiche a rassicurarlo: sei solo addormentato e stai sognando la luna.

Giacomo Leopardi

Se vi tenta l’idea di intraprendere questo strano, affascinante viaggio onirico, attraverso i sogni di sogni di Antonio Tabucchi, cercate questo libro e troverete un taccuino di appunti presi fortunosamente negli istanti tra veglia e sonno, o forse tra sonno e veglia.

Ma questo non lo sappiamo e non lo sapremo, anche perché 

saperlo non ci sarebbe di alcuna utilità.

 

 

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