“È più difficile mantenere l’equilibrio della libertà che sopportare il peso della tirannia”
Simón Bolívar nacque il 24 luglio del 1783 a Caracas, in Venezuela, in una famiglia di origine basca. Rimasto orfano di padre a soli due anni, dopo avere perso anche la madre, a nove anni venne affidato insieme con i suoi fratelli a due zii materni.
Frequentò la Escuela Pùblica del Cabildo di Caracas e nel 1799 si trasferì in Spagna per completare la sua formazione militare.
Bolívar era un ammiratore degli ideali delle rivoluzioni americana e francese ed estimatore in particolare delle figure di Jefferson e del filosofo Rousseau.
Ciò che, però, lo differenziava dai rivoluzionari americani era contenuto soprattuto in due punti di vista certo non secondari: in primo luogo Bolívar era un convinto anti-schiavista ed in secondo luogo non credeva nel sistema politico federale che era stato adottato dagli Stati Uniti.
Per tutta la vita egli fu dell’avviso che il Nord America sarebbe diventato una seria minaccia per il continente latino americano e come tante delle vicende successive ebbero a dimostrare, certamente non si sbagliava.
Durante il soggiorno in Spagna, nel 1802, conobbe e sposò Marìa Teresa Rodrìguez, ma la ragazza sfortunatamente morì precocemente l’anno successivo dopo avere contratto la febbre gialla nel corso di un viaggio.
Bolívar, in segno di fedeltà alla memoria della moglie, giurò che non si sarebbe mai più sposato e decise di dedicare tutta la sua vita alla liberazione della propria terra natale.
Nel 1807 fece ritorno in Venezuela, paese in seria crisi a causa delle conseguenze di un tentativo di insurrezione represso nel sangue dagli spagnoli.
Negli anni successivi tra il popolo si diffuse sempre più la convinzione di doversi liberare dal dominio spagnolo e nel 1810 il Municipio di Caracas rifiutò l’autorità del Consiglio di Reggenza spagnolo: si costituì così in Venezuela la prima giunta rivoluzionaria di governo.
Rimasto fuori dalla giunta, Bolívar venne spedito in Gran Bretagna in una missione diplomatica volta ad ottenere la neutralità inglese. La cosa venne concessa dal cancelliere Wellesley, così egli poté rientrare in Venezuela il 5 dicembre, mentre il governo richiamava in patria il generale indipendentista Francisco de Miranda.
Il Venezuela si ritrovò ben presto però, ad essere terreno di una guerra civile, provocata dal fatto che le sue province si erano infatti divise tra quelle che riconoscevano l’autorità della nuova Giunta e quelle che rimanevano fedeli alla Spagna.
La situazione divenne ancor più tesa dopo che un congresso nella capitale riconobbe l’indipendenza del Venezuela il 5 luglio 1811, invitando il popolo al cacciare definitivamente gli spagnoli.
Il 13 agosto del 1811 le truppe del generale Francisco de Miranda sconfissero i ribelli realisti nella città di Valencia.
IL 21 dicembre il Governo fece approvare una Costituzione che Bolívar criticò perché ricalcata troppo sul modello di quella degli Stati Uniti.
Il terremoto del 26 marzo 1812 e la sconfitta dell’inesperto Bolívar per mano dei realisti a Puerto Cabello il 30 giugno, portarono alla caduta della Prima Repubblica.
Quando la Prima Repubblica Venezuelana venne sconfitta, Bolívar si rifugiò a Cartagena des Indias, città che si era dichiarata indipendente un anno prima, unendosi con altre quattro province, per formare le cosiddette Province Unite di Nuova Granada.
È qui che il condottiero stilò il Manifesto di Cartagena, nel quale illustrò la sua idea di quello che doveva essere un grande stato latino-americano di tipo confederale.
Bolivar presentava l’organizzazione del nuovo stato su basi di solidarietà e di uguaglianza delle nazioni partecipanti, di un comune regime democratico e repubblicano, dell’assenza di antagonismo e di una vasta identità d’aspirazioni.
“Io desidero – disse il Libertador – più di tutti gli altri vedere formarsi in America la più grande nazione del mondo, meno per la sua estensione e ricchezza che per la sua libertà e gloria’’.
Bolívar pensava che solo la costruzione di un’unica grande Repubblica sudamericana fosse in grado di scoraggiare qualsiasi intenzione di conquista da parte delle potenze imperialiste, degli Stati Uniti in primis,
raccomandando a Nuova Granada di non commettere gli stessi errori della prima esperienza venezuelana. La esortò alla riconquista di Caracas, e a tal fine chiese ed ottenne di prestare servizio come ufficiale nelle truppe. Con esse risollevò il suo prestigio combattendo i realisti in diverse città lungo la frontiera ed il 28 febbraio 1813 ottenne una grande vittoria contro gli spagnoli a Cúcuta. La guerra terminò con la agognata riconquista di Caracas, città nella quale Bolívar entrò il 6 agosto 1813 in trionfo: due giorni dopo venne ripristinata ufficialmente la Seconda Repubblica del Venezuela.
Ma oltre ai ceti latifondisti, nelle regioni interne la parte rurale della popolazione, i cosiddetti Llaneros, particolarmente celebri per la loro ferocia in battaglia, si schierò contro il governo.
Il generale realista Juan Manuel Cajigal approfittò della situazione per invadere il paese.
Avendo dalla sua parte i Llaneros riuscì a sconfiggere Bolívar che possedeva un esercito insufficientemente equipaggiato. Simón venne arrestato ma riuscì a fuggire, costretto all’esilio a Cartagena.
Allorchè il Re Ferdinando VII tornò sul trono di Spagna, intraprese subito una serie di azioni ostili nei confronti dei rivoluzionari sudamericani, atti che culminarono nell’invio di un esercito comandato dal colonnello Pablo Morillo perché riprendessero le terre perdute.
Morillo una volta in Sudamerica, visto che gran parte del Venezuela era già stato riconquistato, rivolse la sua attenzione verso le Province Unite di Nuova Granada.
Dopo la parentesi dell’esilio, Bolívar era rientrato nei ranghi delle forze armate delle Province Unite. Combatté quindi contro diverse forze realiste e riuscì a conquistare Bogotà nel dicembre 1814, dopo otto mesi di campagna.
Nei mesi successivi però ebbe diversi dissapori con il suo governo e comprese allora di essere divenuto un personaggio scomodo. Sentendosi tradito, l’8 maggio 1815 decise di partire per la Giamaica, mentre, nello stesso anno, Morillo riprese Cartagena e Bogotà.
Arrivato in Giamaica indirizzò a tutti i governi d’Europa, e in particolare alla Gran Bretagna, una lettera in cui chiedeva sostegno alla causa dell’indipendenza sudamericana dalla Spagna, non ottenendo tuttavia alcuna risposta.
Lasciò la Giamaica e si stabilì nella piccola Repubblica di Haiti che aveva appena ottenuto l’indipendenza dalla Francia.
Qui fu accolto dal presidente Alexandre Pétion che concesse ospitalità e rifornimenti a tutti gli esiliati.
Nel 1816, grazie agli aiuti haitiani, Bolívar sbarcò in Venezuela e conquistò Margarita ponendosi a capo dei patrioti coi quali, dopo alterni successi, conquistò Angostura. Nel maggio dello stesso anno proclamò l’abolizione della schiavitù nel Venezuela, convocando quindi il Congresso di Angostura in cui prefigurò i fondamenti della Costituzione confederale sudamericana.
Angostura si rivelò una base eccellente per le successive operazioni e per il commercio grazie agli ottimi collegamenti, soprattutto fluviali.
Dalle precedenti esperienze Simón aveva compreso quale fosse la forza dei ‘llaneros’, così tramite Páez e Piar, suoi alleati militari, iniziò il reclutamento di queste unità. Il motivo del loro cambio di rotta si doveva principalmente al malcontento maturato nei confronti di Morillo che li usava come carne da macello.
Bolívar in tal modo riuscì a riconquistare Caracas e ricevette il titolo di Presidente della repubblica del Venezuela.
Era nata la terza Repubblica.
Il Venezuela, nel suo progetto politico, doveva essere solo la prima tappa: il fine restava la totale sconfitta spagnola.
Un primo ostacolo alla leadership di Bolívar si manifestò durante il Congresillo de Cariaco tra l’8 e il 9 maggio del 1817. In questa sede ci si aspettava una conferma della concessione dei pieni poteri al Libertador, ma una fazione politica del congresso, capeggiata da Madariaga, propose la restaurazione della costituzione del 1811, la stessa che Simón aveva criticato a suo tempo. Provvisoriamente venne nominato un triumvirato composto da Fernando Rodríguez del Toro, Francisco Javier Mayz e Simón Bolívar.
Bolívar si disse avvilito per la piega che stavano prendendo gli eventi, e si convinse che al momento la stabilità dell’esecutivo in Venezuela poteva essere assicurata solo con la forza. Poco dopo i comandanti Urdaneta e de Sucre, fedelissimi di Bolívar, costrinsero il triumvirato a dimettersi.
Verso la metà del 1817 Bolívar si rafforzò nella convinzione che non avrebbe dovuto più permettere a nessuno di contrastare la sua leadership, così sfruttò la sua popolarità per costringere all’esilio Piar, con cui aveva in corso dei dissapori. Inizialmente Bolívar concesse un passaporto al rivale ma in seguito cambiò idea, facendolo arrestare e accusare di tradimento, oltre che di violenza verso la popolazione. Piar fu processato dalla corte marziale e giudicato colpevole e infine, il 16 ottobre, venne giustiziato.
Era nata dunque una dittatura in Venezuela, ma si rivelò una realtà provvisoria perché Bolívar l’aveva concepita solo in via temporanea, un provvedimento di emergenza.
Calmatesi le acque infatti, Bolívar decise che era giunto il momento di passare dalla dittatura ad una forma stabile di democrazia, conferendo al Venezuela un governo permanente ed istituzioni costituzionali.
Nel 1819 Simón decise di indire le elezioni dalle quali si formò il Congresso di Angostura, composto da 26 delegati eletti dalla popolazione.
Il congresso iniziò i propri lavori nel febbraio 1819 e nominò Bolívar Presidente. Il libertador allora pianificò una campagna militare finalizzata alla liberazione di Nuova Granada, roccaforte tornata spagnola da tre anni.
L’esercito realista nella zona era decisamente meglio equipaggiato di quello di Bolívar ma Simón ideò un piano di battaglia volto a sorprendere il nemico: lo attaccò durante la stagione delle piogge, quando le campagne erano allagate e le forze di Morillo impossibilitate a muoversi.
Il percorso scelto prevedeva di passare per le calde e umide pianure della Colombia per poi attraversare il passo andino di ‘Páramo de Pisba’, a quasi 4000 metri di quota.
I soldati dovettero fare i conti con la malaria nella prima parte del viaggio e poi con problemi di congelamento nelle fredde strade di montagna.
Nel luglio 1819 Bolívar completò l’attraversamento delle montagne trovando la zona sguarnita; a quel punto la cavalcata di Bolívar divenne inarrestabile: il 25 sconfisse i nemici e continuò la marcia. Il 7 agosto la maggior parte delle forze realiste si arrese e il 10 egli entrò alla testa del suo esercito a Bogotà, dove fu eletto Presidente della Colombia.
Da Angostura propose allora l’unione dei territori del Venezuela, della Colombia, parte dell’Ecuador e della Nuova Granada in un unico Stato, la Grande Colombia. Anche di questo nuovo organismo fu eletto presidente a grande maggioranza.
Da quel momento in poi Bolívar si dedicò all’organizzazione dei territori liberi.
Suoi ambasciatori raggiunsero il Messico, il Cile, l’Argentina ed esposero i suoi progetti di una grande confederazione di cui la Colombia sarebbe stata il fulcro.
Nei primi anni della sua esistenza, la Grande Colombia contribuì a completare il processo di liberazione di altre province dell’America meridionale: il neo stato poté annettersi finalmente Panama e il resto dell’Ecuador.
Bolívar nel 1822 fu nominato dittatore dai Peruviani e al termine di una campagna difficile e complessa, batté definitivamente gli Spagnoli nel 1824 a Junin.
Nel 1825 si costituì la Repubblica di Bolivia che lo nominò Presidente.
Nonostante fosse nata la Grande Colombia altri politici s’intromisero nei progetti iniziali: nessuno di loro condivideva le aspirazioni del Libertador, spesso solo per poter curare propri interessi particolari o quelli di determinati gruppi economici.
A partire dal 1827, le divisioni interne e le rivalità personali tra i generali e politici provocarono dei conflitti e la fragile confederazione sudamericana sognata da Bolívar si ruppe per sempre.
Vista la fragilità della sua creazione Bolívar richiese che il proprio mandato come presidente fosse ad vitam, con la possibilità di nominare il proprio successore, ma lo fronteggiò la ferma opposizione del vice Francisco Santander.
Allora Bolívar si proclamò dittatore il 27 agosto, abolendo la vicepresidenza. In settembre scampò a un attentato: gli attentatori furono condannati alla fucilazione e il mandante Santander dovette prendere la via dell’esilio.
Il gesto riuscì a sanare la frattura ma la sua fu una vittoria di breve durata in quanto gran parte della classe dirigente della confederazione gli si rivolse ben presto contro, accusandolo di aver tradito gli ideali da lui stesso proclamati.
Frustrato, Bolívar abbandonò il progetto di unificazione e rassegnò le dimissioni da presidente della Grande Colombia il 4 maggio 1830.
Con la celebre frase “Ho arato il mare“, Simón Bolívar sì ritirò dalla scena.
Morì di tubercolosi a soli 46 anni il 17 dicembre dello stesso anno a Santa Marta. La leggenda vuole che mentre stava per spirare dicesse, rivolto al fedele Urdaneta, le sue ultime parole: