Il dolore dell’abbandono

Non esiste una operazione chirurgica per togliersi un abbandono dal cuore e dalla mente, per quanto ci si possa applicare diffiderei di coloro che con disinvoltura cicatrizzano in fretta.

“Di fronte all’abbandono siamo tutti uguali: nemmeno una testa molto ordinata può reggere alla scoperta di non essere amata”,  

scrive Elena Ferrante scrittrice e autrice tra gli altri del romanzo “I giorni dell’abbandono” dal quale è stato tratto l’omonimo film interpretato da Margherita Buy.

Margherita Buy nel film “I giorni dell’abbandono”

L’abbandono lo vive sempre una parte sola, quella che resta, mentre l’altra si allontana, e non è mai un’esperienza che si possa cancellare con facilità.
Possiamo usare la tecnica dell’oblio o della rassegnazione, farcene una ragione, ma in ogni caso, quale che sia la forma che vogliamo dare all’anestetico, il dolore tornerà a farsi vivo alla prima occasione, basterà uno spunto o una piccola traccia alla memoria per deflagrare dentro di noi, ravvivarsi e rievocare la drammaticità di quel distacco.

Per eludere la cruenta amputazione e tutte le sue conseguenze funeste sul nostro stato psico-fisico potremmo ricorrere a ogni stratagemma, sceglierci un diversivo nell’ostinato e doloroso andare avanti, che non sarà mai propriamente un proseguire ma un estremo tentativo di passare oltre, superando spazio e tempo con l’illusione di approdare a una galassia nuova, inesistente sino a un momento prima e che vorremmo nascesse soltanto per noi, purché lontana, lontanissima… irraggiungibile.

Se siamo stati lasciati dalla persona amata i sintomi derivanti da questa esperienza poi ci cambieranno irreversibilmente, ma soprattutto il solco che questo evento ha prodotto nella fiducia con la quale ci siamo abbandonati a un sentimento, segnerà per sempre lo spartiacque tra noi e l’altro e produrrà una fenditura che non potrà sparire mai del tutto.

Una volta imparato il dolore dell’abbandono e la conseguente disillusione da esso derivante, quella nostra ingenua e commovente primigenia fiducia potrà essere contagiata dalla paura, dal dubbio e dall’istinto di conservazione. 

“Volenti o nolenti  l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito della disperazione e della fatica dell’esistere e del desiderare”.
citazione di Emanuele Trevi, scrittore.

L’Amore perduto è quello che, quando ci abbandona, può lasciare un buco tanto grande da poterci guardare da parte a parte, una inverosimile voragine nella quale persino le stelle possono spegnersi cadendo e la materia viene costantemente attratta, fagocitata con indifferenza. Nulla può colmare quel vuoto, siamo passati dalla disperazione della non accettazione della realtà alla rabbia di non essere in grado di mutare il corso degli eventi; ci sembra che addirittura il tempo si ritragga in questa assenza per comprimersi in essa al punto tale di ritornare con l’intensità del presente, sino a cristallizzarsi nel preciso istante dell’addio.

L’abbandono produce un vuoto che si dilata, pulsa e vive, che continuerà ad essere presente anche ai successivi incontri, nelle storie che verranno, e non ce ne disferemo facilmente.

L’Amore lascia questa rovina pure se si decide di asportarlo o di negarlo, soffocarlo o addirittura farne a meno. Soprattutto se qualcun altro ha deciso per noi e ci ha abbandonati.

Lo scrittore Luis Sepulveda

“Nessuno riesce a legare un tuono, e nessuno riesce ad appropriarsi dei cieli dell’altro nel momento dell’abbandono”,  

scrive l’autore Luis Sepúlveda, e ha perfettamente ragione, non si può comprendere ciò che deflagra dentro chi abbandona e quanto quella scelta possa scatenare in chi viene abbandonato.

Alla fine si impara a convivere con questa mancanza, la vita a volte amputa e ci rende menomati di una parte di noi che poi diventa come un arto fantasma che continua a farsi sentire e a dolere, infine prende a consolare, quasi un prolungamento o un contatto con l’altro che non è stato mai interrotto del tutto.

Ho visto persone farsi compagnia col proprio dolore, probabilmente era il modo per accorgersi di essere ancora in vita, tornare presenti a sé stessi, tanto che non era più neanche un dolore ma un compagno di viaggio col quale parlavano e si confidavano, raccontavano del proprio dolore a quel dolore.

Sono persone che dopo una vita insieme si ritrovano sole,  il distacco della morte anch’esso è un abbandono e in ogni caso si deve riuscire a elaborare un lutto.
I  grandi Amori perduti si riconoscono tra tutti, sono quelli che non hanno mai smesso di crescere nonostante le avversità, perché la terra è un luogo impervio e l’esistenza piena di complicazioni, di luci e ombre, di errori e di perdoni.

Sono questi i casi dei quali vorrei pensare che dopo una perdita sopravviva un segno che non si farà vuoto per sempre ma tornerà ad essere di nuovo Amore, e allora se abbiamo sofferto potremo ritrovare la forza di scalare la nostra solitudine con il coraggio e il desiderio di tornare a guardare il cielo sopra di noi e, malgrado il rimpianto, ritrovare la forza di credere che qualcuno ci ami ancora…

Forse.

 

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

2 commenti su “Il dolore dell’abbandono

  1. mi piace durante questa lettura-meditazione osservare il grandioso pino che ombreggia la mia casa. Espone senza vergogna le ferite della potatura dei rami che lo appesantivano, e sembra protendersi verso il cielo e il volo delle tortore, più libero e forte.

    1. Grazie Claudio,
      la tua è una immagine molto significativa e mi fa piacere ti sia stata suggerita da questa lettura-meditazione. Racchiude in sé una speranza, un senso di libertà e di risveglio che attende solo il giusto richiamo della Vita.

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