“Che ci faccio qui”, lo spaesamento che ci salva

“Che ci faccio qui?”

quante volte ci ha sfiorato questo interrogativo?
Ci siamo sentiti spesso nel posto sbagliato e forse ci siamo chiesti se non fossimo proprio noi quelli sbagliati in una realtà che in fondo ci “spaesava”.
“Che ci faccio qui?” è anche la domanda che dà il titolo a un’opera dello scrittore Bruce Chatwin, una raccolta di esperienze di viaggio e soprattutto di vita, che egli scrisse pochi mesi prima di morire, con l’intento di redigere una sintesi della sua opera, ripercorrendo i temi a lui cari.
In particolare nel libro egli trasmette l’idea fondamentale del viaggio come scoperta, ragione per la quale non diviene mai un cronista distaccato ma un testimone partecipe e attento, soprattutto nella parte dedicata alle interviste con i personaggi diversi che ha incontrato negli ambiti più svariati.
L’incontro diviene emozionante scoperta e testimonianza di vita.

Lo scrittore Bruce Chatwin

“Che ci faccio qui” , stavolta senza punto interrogativo, presupponendo la risposta che ciascuno vivendo ha già dato a sè stesso, è anche il titolo di un programma televisivo condotto dal giornalista Domenico Iannacone.
Andato in onda su Rai 3, dal lunedi al venerdi sino al mese scorso, questo appuntamento è stato ad ogni puntata un vero e proprio concentrato di vita della durata di soli venti minuti, talmente intensi da riuscire a raccontare tutto ciò che in ore di trasmissione, sulle varie reti televisive, neanche viene sfiorato lontanamente.
Il presupposto è ancora una volta un viaggio che va molto oltre l’idea fisica del viaggiare e si snoda proprio attraverso l’incontro con persone diverse, che vivono ambiti molto differenti e che, come nel caso dell’opera dello scrittore Bruce Chatwin, rappresentano un percorso alla scoperta dell’altro.

Il giornalista Domenico Iannacone

Lo spaesamento, che il titolo della trasmissione sottintende, non ha affatto una accezione negativa, così come lo spaesamento che noi tutti a volte proviamo per motivi legati a una condizione e a una sensibilità diverse che ci fanno “differenti”, determinando in noi un senso di estraneità al quale dobbiamo riuscire a dare una “risposta”.
Vorrei cercare di spiegare questo concetto proprio attraverso la finestra che Domenico Iannacone è riuscito ad aprire sul “mondo” degli altri , in quei pochi ma densissimi minuti nei quali intervista persone che vivono in modo “improbabile”, hanno aspirazioni altre che neanche penseresti possibili e affrontano condizioni di vita che delle difficoltà hanno fatto risorsa.
Tutto ciò accade davvero, mentre il nostro presente diffonde modelli di “successo” alimentando ambizioni che, come scie di meteore o fuochi fatui, si consumano rapidamente portandosi via pure l’esaltazione che hanno prodotta e che altrettanto in fretta si rivolge altrove, verso nuove luci, artificiali o artificiose che siano, poco importa.

Venti minuti bastano a Domenico Iannacone, alla partecipata leggerezza con la quale colloquia con le persone, più che intervistarle entra in contatto con loro e si cala nel loro quotidiano, attraversa i loro luoghi, sfiora gli oggetti e incrocia i loro sguardi,
la naturalezza contro l’artificioso, e allora diventiamo noi gli spaesati. Quando lo stupore produce spaesamento sembra di tornare a casa da quei non luoghi che ci travolgono ogni giorno, è come dire a noi stessi:
“Si può fare!”

Sammy Basso durante un viaggio in USA

Così Sammy Basso, protagonita di una delle ultime puntate, ci spaesa subito, lui che pare un extraterrestre e possiede la mente giovane in un corpo vecchio.
Affetto dalla rara Sindrome di Hutchinson-Gilford che lo rende prematuramente vecchio, è dotato di un senso incredibile di autoironia che gli consente di convivere con questo suo aspetto un po’ alieno affontando gli guardi spesso indiscreti della gente o le domande candide e dirette dei bambini, che sono poi quelle che preferisce.
Vive intensamente Sammy, è intimamente mosso da una vivace intelligenza che è la fonte della sua inesauribile curiosità, così coltiva la sua grande passione per la scienza e ha maturato la consapevolezza che il tempo è solo quello che viviamo per come lo viviamo, ma soprattutto nutre la convinzione profonda che l’amore sia la cosa più bella che esista.
Come non dargli ragione?

Domenico Iannacone con Sammy Basso

Non meno riesce a spaesarci, tra le numerose vite raccontate da Iannacone, quella di Letizia Di Iorio; la storia stavolta è diversa, racconta di una giovane donna che decide di fare la sindaca di Pizzone, un paese di trecento anime in Molise, provincia di Isernia.
Un paese “spaesato”.
Lei è divenuta sindaco per caso, quando ha risposto in modo istintivo alla domanda “che ci faccio qui?” con l’impulso di aiutare il suo paese e ha quindi deciso di abbandonare la sua carriera per dedicarsi al bene comune.
Ha fatto tutto da sola, sconsigliata più volte da suo padre, per finire a ricoprire un ruolo che è già difficile in sé ma lo è ancora di più in una amministrazione carente di ogni mezzo, ridotta ai limiti della sopravvivenza, che ha come unico dipendente un vigile tutto fare, quando si ammala lui il Comune dovrebbe chiudere i battenti. 

“Non si deve vivere di politica”,

sostiene Letizia, infatti lei in questi anni è vissuta e continua a vivere per la politica, e lo fa con dedizione e sacrificio, percependo 900 euro come indennità mensile, assolvendo compiti che neanche competono a un sindaco.
A causa della condizione di  particolare solitudine in cui si trova, nell’impossibilità di assumere personale, senza risorse da investire, si sostituisce ad esso ricoprendo i ruoli più disparati, tappando i buchi come può. Ha intenzione di continuare ad assolvere a questo compito per coerenza e dignità fino alla fine del suo mandato,  perché:


“quando la barca sta per affondare il comandante non se ne può andare”. 

Letizia Di Iorio sindaco di Pizzone

Nonostante le scrivanie vuote e le stanze deserte, che sembrano popolate di fantasmi, lei continua a impegnarsi tutto il giorno, pur di ricoprire ruoli diversi e rispondere ad esigenze di ogni genere, tante sono le richieste dei cittadini di Pizzone.
Va avanti contro tutto e tutti, nonostante i consigli ripetuti di andare via, i nemici che si è fatta, gli inviti a lasciare, a non farsi coinvolgere, a pensare alla sua vita e al suo futuro. Lei non molla, e casa sua è diventata una specie di succursale del Comune.

Letizia Di Iorio e Domenico Iannacone

Il cittadino potrebbe dirle:
“Ma chi te lo ha ordinato” e lei spiega

“non si possono fare tutte le cose per i soldi, questo è il male del secolo”.

Parole semplici, che risuonano tanto vere: il male del secolo è questo.
Il mandato di Letizia Di Iorio scadrà nel 2021 ma lei ha già deciso che non lascerà il suo paese:


“Andare via è troppo facile, le cose facili non piacciono a tutti, andarsene è tradire sé stessi”. 


La strada più facile non è sempre la strada giusta e certamente la strada dell’Amore è quella più difficile, ma come dicono i nostri protagonisti  “l’Amore è la cosa più bella che esista”,
e chissà allora che non sia la maggioranza di noi ad essere fuori posto e questo spaesamento non sia invece proprio l’unica risorsa possibile per salvarci tutti.

FORSE.

Questo articolo  è stato pubblicato in un momento particolarmente importante, una coincidenza bella, perché  il Centro Sperimentale di Cinematografia, la più importante istituzione italiana di insegnamento dell’arte cinematografica, questa sera consegnerà i diplomi honoris causa ai protagonisti del cinema e dell’audiovisivo italiani  e  il giornalista Domenico Iannacone riceverà il Diploma in Regia e Reportage

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

Un commento su ““Che ci faccio qui”, lo spaesamento che ci salva

  1. Capita di sentir dire “è una persona di altri tempi, non fa ciò che conviene o per interesse di parte o personale, ma perché è giusto”. In questa società brutalizzata dalla speculazione, l’opportunismo, dall’ignoranza esibita ed esaltata anche a sistema politico o aziendale, l’arrivismo ci sono invece tante persone che conservano o ritrovano l’umanità, la bellezza e l’amore nelle sue varie forme. Queste persone belle, profonde, intense, libere sanno benissimo cosa ci fanno nel loro contesto. Come il germoglio che rinasce in mezzo ai sassi o alle bruciature, il fiore che spunta tra i rovi o nel deserto, il sole che illumina e riscalda, il profumo di un’essenza, i colori dell’alba e del tramonto che rinnovano ogni giornata. L’uccellino melodioso non si chiede cosa ci faccio qui. Semplicemente delizia chi è ancora capace di godere dei rumori naturali, chi sa ritrovare se stesso. Cosa fanno queste persone che sembrano fuori dal contesto? Ci ridanno la speranza della bellezza per la quale ci mancavano occhi per vederla

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