Sono dei capolavori tra i più misteriosi nei loro significati, più o meno “ermetici”, che il barocco musicale ci abbia lasciato, al pari della più celebre “arte della fuga” di Johann Sebastian Bach.
Le RosenKranzsonaten furono casualmente ritrovate solo nel 1890 nella Bayerische Staatbibliothek di Munchen, in forma manoscritta, stesa probabilmente dall’autore, Biber, che durante la vita, a differenza di come fece per altre sue sonate, non si preoccupò mai di pubblicarle.
Le Sonate del Rosario formano un’affascinante opera ciclica e occupano una posizione unica nella storia del violino, suonato attraverso l’uso di quattordici diverse accordature (scordature).
Le variazioni sono al centro di ogni sonata, sono collegate al ritmo e al metro dei movimenti meditativi, fugati o di danza e si basano su melodie simili a canzoni.
I musicologi tendono a preferire l’ipotesi che Biber le avesse tenute per suo uso personale e che solo più tardi abbia donato il manoscritto all’arcivescovo salisburghese presso cui operava.
A dette sonate seguiva una Passacaglia, unica opera della serie con una accordatura normale del violino.
L’autore del lavoro Heinrich Ignaz Franz von Biber nacque nell’agosto 1644 in Boemia e morì nel 1704 a Salisburgo, capitale dell’Arcivescovado omonimo, presso il quale aveva la carica di Kappellmeister.
Prima di Salisburgo era passato per varie corti, tra le quali Olmutz, e quella dei principi Eggenberg a Graz.
Si deve rammentare che il musicista di corte a quei tempi riceveva il trattamento riservato alla servitù specializzata, anche se si potevano incontrare delle fortunate eccezioni a questa regola: Biber fu una di queste.
Tra le sue opere ci sono varie raccolte di sonate per violino e basso continuo, musica strumentale di vario tipo e brani di musica sacra tra i quali va ricordata la imponente “missa salisburgensis” a 53 voci in cui, secondo le indicazioni dello stesso Biber, i cori, l’orchestra e l’organo andavano disposti nella chiesa in modo tale da realizzare un effetto che può essere ritenuto è il predecessore del suono stereofonico di oggi.
Questa messa ha più voci contrappuntistiche indipendenti di ogni altro pezzo di musica scritta prima del XX secolo!
Biber era noto per la sua bravura come violinista e per la capacità di raggiungere facilmente le ultime posizioni sulla tastiera del violino, cosa quasi impossibile per molti violinisti del suo tempo.
Fu inoltre un maestro nell’impiegare le doppie corde in intricati passaggi polifonici, e nell’esplorare le varie possibilità della “scordatura”, cioè l’accordatura non convenzionale dello strumento che consentiva di ottenere particolari “effetti timbrici”.
La musica di Biber ebbe una grande influenza sui suoi contemporanei, e divenne fonte d’ispirazione per compositori e violinisti in tutt’Europa.
Il musicologo Charles Burney ha definito Biber “il più grande violinista e compositore per violino del XVII secolo”.
La composizione delle “sonate del rosario” fu terminata intorno al 1678, epoca in cui non era molto frequente che un’opera musicale fosse dedicata “ai santi quindici misteri del rosario”.
Certamente la composizione fu incoraggiata dall’ Arcivescovo di Salisburgo, che era un acceso promotore della diffusione della recita dei “misteri mariani” e che era membro della “Confraternita del Rosario”, una struttura probabilmente assai più complessa di quanto possa sembrare dal nome e che aveva delle finalità che forse andavano ben oltre il culto.
Il Rosario, secondo i loro adepti, era una “summa di sapienza mariana”, le cui implicazioni non potevano essere confinate nella semplice devozione ma si applicavano a tutti i campi dell’esistenza e della conoscenza.
Ogni sonata per violino impiegava una intonazione differente dello strumento.
Questo uso della scordatura trasformava il suono del violino: dal senso meditativo delle cinque sonate dei Misteri Gaudiosi (L’Annunciazione etc.) si arrivava al trauma mistico dei cinque Misteri Dolorosi (La Crocifissione etc.), fino alla eterea levità dei cinque Misteri Gloriosi (La Resurrezione etc.).
La riconfigurazione del violino aveva un aspetto anche simbolico: ad esempio le due corde centrali del violino erano incrociate nella sonata della Resurrezione.
Tecnicamente la parte del violino richiede un’abilità eccezionale per l’esecuzione: anche un orecchio non esercitato potrà notare come la scordatura modifichi il suono dello strumento, per esempio attribuendogli ora un riflesso angoscioso, ora un’atmosfera estatica, oppure giubilante nelle sonate finali.
Sono stati fatti alcuni studi sul simbolismo numerico e cabalistico dei tempi delle sonate, e perfino della successione delle note stesse.
Tutto ciò, nelle complesse opere di Biber, ha fatto ipotizzare con una conoscenza profonda dell’autore dei movimenti ermetici della sua epoca come per esempio i Rosacroce.
Infatti secondo lo studioso Davitt Moroney:
‘’le sonate alludevano a un programma letterario e simbolico preciso e talora didascalico’’.
A completare il quadro, già molto complesso, dell’opera, si aggiunge la domanda in merito alla scordatura: a quale scopo Biber usò tale artificio?
Abbiamo già fatto notare che l’espediente tecnico ideato da Biber prevedeva per ogni Sonata una diversa accordatura, ma per comprendere il fine dell’autore andrebbe anche ricordata la barocca “teoria degli affetti” che si basava sull’uso di queste trovate tecnico-musicali per esprimere situazioni e stati d’animo o inviare messaggi più o meno espliciti.
La scelta di Biber fu senza dubbio anche espressiva, in quanto obbligava l’esecutore a mettere a dura prova lo strumento nel sostenere una tensione delle corde, tensione che diveniva via via più accentuata.
Creava nei Misteri una sorta di parallelo con gli avvenimenti sempre più dolenti della vita di Gesù, dal cammino verso il Calvario fino alla trasfigurazione nei movimenti seguenti alla Resurrezione, fino a toccare momenti di autentico tripudio dopo il verificarsi di essa
Quel tripudio che non era solo sonoro, ma anche interiore, ed era conseguente a tutto il percorso delle 15 sonate.
E’ doveroso qui citare ciò che voleva ottenere Biber:
“Se si suonassero con un violino in normale accordatura, i suoni iscritti in partitura non avrebbero alcun senso armonico e melodico, basta invece accordarlo come richiesto ed il “mistero” si svela corretto alle nostre orecchie”
In sostanza al violinista era richiesto un gesto, anzi un salto di fede, confidando che ciò che leggeva come un non senso, in realtà sarebbe suonato sensato, corretto.
Alcune interpretazioni sostengono la possibilità che dietro ogni scordatura sia celata la chiave per decifrare anche un ulteriore testo nascosto, come prevede il metodo di analisi linguistico-numerica utilizzato per la Cabala.
C’è poi chi ha inteso le scordature usate da Biber secondo una visione kepleriana, attribuendo a ognuna di esse il significato simbolico di un’armonia dei pianeti: “un’armonia celeste delle sfere”, che fosse espressione del divino legato ad ogni Mistero collegata all’intero creato.
Dopo la riscoperta di quest’opera, in un primo momento si trascurò il senso e il contenuto spirituale del lavoro nonché le sue finalità, tanto che, fino a pochi decenni fa, le sonate erano invece considerate “una bizzarria della musica a programma del periodo barocco”.
Con un’analisi attenta si sarebbe scoperto che le sonate, pur essendo opera di fede, presentavano situazioni che dovevano indurre a riflettere: in primis, in esse non venne mai usata la forma della cosiddetta “sonata da chiesa”, fatta dal susseguirsi di quattro tempi: lento-vivace-lento-vivace, che sarebbe stata la forma consona alle sonate sacre.
Lo schema delle sonate era invece molto libero ed erano frequenti i movimenti di danza con relative “doubles”, cioè varianti.
C’erano ciaccone e molti movimenti in forma fugata: tutto si poteva pensare tranne che qui non fossimo alla presenza di sonate “profane”.
Non a caso l’autore le eseguiva solo, e in privato, per il suo datore di lavoro.
Lo studio, ancora in atto, per decifrare il contenuto di quest’opera occorrerebbe che si conoscano la retorica, l’iconologia e le concezioni teleologiche del tempo di Biber e occorre anche una certa capacità di astrazione e conoscenza della simbologia numerica della Cabala, proprio come è stato fatto con le contemporanee “Sonate bibliche” del cembalista tedesco Johann Kuhnau.
L’altra stranezza, che colpisce ancora gli studiosi, è che mentre le sonate di Kuhnau furono concepite in ambiente luterano, in cui il fedele aveva libero accesso ai libri sacri, non così era per queste sonate composte “a scopo devozionale”, composte in uno staterello retto da un arcivescovo cattolico, cioè un principe della Chiesa.
Per il Cattolicesimo, infatti, era vietato ai laici l’accesso diretto ai testi sacri.
Per questo si usava sempre il latino e l’unica interpretazione valida di essi era unicamente quella della Chiesa e dei suoi sacerdoti:
Non si voleva che l’esclusiva venisse tolta al clero come aveva fatto Lutero con la sua traduzione della Bibbia in tedesco, e quel divieto durò fino agli inizi del XX secolo.
Le quindici sonate facevano riferimento a fatti della Passione, cose che solo il prete poteva interpretare correttamente secondo il canone cattolico.
I laici, tra cui il compositore stesso, potevano avvalersi solo delle prediche, dei testi esegetici su scritti della Patristica, delle apologie dei Santi, come quelle contenute nella ‘Leggenda aurea’ di Jacopo da Varazze oppure di racconti edificanti provenienti dai vangeli e da scritti apocrifi di varia provenienza.
Biber invece, prima di Bach, Haendel e Telemann, compose una vera e propria ‘’Passione di Cristo’’ solo strumentale, in territorio cattolico e usando forme musicali praticamente profane!
La conseguenza però era che allora tali sonate non avrebbero potuto mai essere eseguite in pubblico in un ambito cattolico: sarebbero state incomprensibili ai più e probabilmente non gradite da una certa parte del clero.
Perciò non fu un caso che Biber non le pubblicò mai e che sul manoscritto fece incidere, per ogni sonata-mistero, una figura che aiutasse a esemplificarne il contenuto al destinatario.
Quel manoscritto venne poi dato in dono all’arcivescovo Max Gangolph con una relativa dedica in latino.
Un alone di mistero avvolge dunque le Sonate del Rosario di Heinrich Ignaz Franz von Biber e ben poco si è potuto finora ricostruire con certezza della loro reale destinazione.
Giunte fino a noi grazie a quell’ unico, prezioso manoscritto, le quindici sonate per violino e basso che compongono la raccolta, seguite dalla passacaglia finale per solo violino, nel testo erano accompagnate da piccole stampe che raffiguravano momenti della vita di Gesù e della Madonna, secondo l’ordine dei Misteri.
Si tratta di un esemplare compendio di Preludi, Allemande, Correnti, Sarabande, Arie, Ciaccone e Variazioni, che lo stesso Biber dichiarò di aver concepito “con grande cura et artifizio”.
Un’imponente quanto insolita opera strumentale che manifestava profondi legami con la sfera spirituale, come l’autore sosteneva nella sua dedica all’arcivescovo Maximilian Gandolph von Khuenburg: “Ho consacrato tutte queste cose in onore dei quindici Misteri Sacri, i quali Voi promuovete con tanto ardore”.
neppure così si riesce tuttavia a svelare l’intimo motivo che mosse il compositore alla creazione, né a rendere più chiara la finalità del ciclo.
Il compito di parlarci resta dunque affidato alla sola musica, che da oltre trecento anni racchiude gelosamente i propri segreti e affascina i più esperti virtuosi dell’archetto.
Peraltro noi dobbiamo solo al caso il ritrovamento di queste sonate.
Furono trovate nel 1890, durante un inventario, in un’antologia manoscritta, estremamente curata graficamente, di musiche di Biber
In quella raccolta, oltre ad esse, vi erano altre opere di vario genere.
Il tempo ha comunque reso onore a questo capolavoro di cui esistono decine di esecuzioni con i più diversi organici di accompagnamento: dall’organo alle equipe di più strumenti.
Solo il violino rimane principale e immaginifico primattore.