Uno stato individuale e collettivo.
Uno stato che nei nostri momenti più bui si è fatto Stato.
E’ una condizione che nella storia dell’umanità, impedendo la trasmissione della conoscenza, ha reso debole la memoria del passato e incrinato le difese dei popoli, ha favorito le più odiose disparità, consentito le peggiori discriminazioni ed i peggiori abusi, indotto l’accettazione prona dell’inaccettabile.
Ha sempre permesso a pochi di dominare quasi tutto e quasi tutti.
Chi sa, comanda, infatti.
L’ignoranza disperde la memoria e con essa i frutti dell’esperienza: provarsi a vincerla con l’istruzione obbligatoria per tutti, mettendo così forti difese culturali a disposizione delle comunità, è stata forse la migliore idea mai germogliata negli esseri umani.
Memoria magistra vitae.
Avere memoria, fare un buon uso dell’esperienza, è stato il propellente per un miglioramento impressionante della vita di centinaia di milioni di persone.
La cultura, figlia prediletta della memoria, si è rivelata insomma motore primo del progresso, ma ogni progresso, frutto della fatica di generazioni, non si può dare per scontato.
Il sonno della cultura, quindi, anche un suo semplice pisolino, genera mostri perché fa assopire anche la ragione.
Ogni volta che nelle collettività, qualsiasi collettività, la memoria si è indebolita e l’ignoranza non è stata più sufficientemente combattuta, sono rifioriti, immancabili, fenomeni usuali quanto devastanti: intolleranza, guerre, genocidi, ingiustizia sociale, uso e abuso della follia e dell’odio a fini di potere.
Troppe cose oggi, in Italia e altrove, hanno il sapore di un nuovo cedimento all’ignoranza.
A volte allibiti, nel costume quotidiano di noi tutti, vittime più che dominatori di una tecnologia che nasconde più che svelare, assistiamo a fatti che hanno una natura maligna e squallida insieme, cose piccole e grandi che pensavamo e speravamo fossero state bandite per sempre dalle nostre società, solo in teoria ammaestrate da orrori passati e recenti.
Cosa è successo alla memoria di tutti?
Qualcosa evidentemente l’ha guastata, così, visto che una volta all’anno la evochiamo per non disperdere il ricordo del più industriale, disumano e distruttivo genocidio della storia, vorrei che la Giornata della Memoria fosse messa in relazione con la piena consapevolezza della potenza dell’ignoranza, con la coscienza che si stanno perdendo ancora una volta le nostre difese collettive, quelle la cui mancanza da sempre rende praticabili le peggiori avventure.
E le disavventure nelle quali con troppa frequenza noi italiani, come altri popoli del resto, incappiamo, sono i frutti avvelenati di una normalità inconsapevole, ignara, e per questo malata.
Da noi, quella culturale, è la debolezza fatale, ciò che fa sì che fisiologia e patologia stiano tra loro in rapporto inverso a quello che dovrebbe essere, rovesciate nella percezione della maggioranza.
Noi italiani infatti, finiamo per considerare assolutamente normali cose che altrove sarebbero considerate inammissibili, poi tocca alla filosofia diffusa del “così fan tutti”, rendere fisiologici nella percezione i fenomeni patologici.
In casa nostra, al contrario, vedere qualcosa di ben fatto, che so, un concorso non truccato, un politico onesto, un posto di lavoro assegnato per merito, desta enorme sorpresa, infinito stupore, come se fosse proprio quel tipo di cose ad essere anomalo o indebito.
Così il nostro da tempo si dimostra un paese che non è in grado di crescere, anche economicamente, perchè in realtà non possiede forti fattori culturali che glielo permettano.
Non a caso in Italia la memoria è corta e si ha gran cura di accorciarla ma, al contrario di ciò che accade con le piante, la potatura della memoria fa danno grave agli uomini.
Ma non a tutti.
Da sempre il peggior potere, in ogni luogo del mondo, vede nella cultura un nemico mortale, e fa ciò che può per indebolirla.
L’ignoranza è il datore di lavoro delle classi dirigenti mediocri, pessime o corrotte, la loro assicurazione per una vita eterna.
Da noi il rovesciamento percettivo al quale si accennava, favorito dall’ignoranza crescente, dà frutti succosi, assopendo la coscienza di tutti, sia rispetto alle spicciole cose del quotidiano, che alle questioni più generali, quelle che il potere presenta come noiose, trascurabili.
Così si studia meno, si parla meno, e male, si guarda troppo e si pensa poco.
Si ignora quasi tutto, e così tutto, anche quello che sarebbe velenoso, diventa facilmente potabile.
Scherzi della memoria.
Ho appena visto celebrare con accenti nostalgici un personaggio che è tra i maggiori responsabili della nostra situazione attuale, fautore a suo tempo di uno smottamento culturale, civile e politico che ci ha portati dove siamo oggi.
Negli anni del suo fulgore il debito pubblico raddoppiò senza portare vantaggi che non fossero chimere, spots che ancora stiamo pagando carissimi.
Col moltiplicarsi vertiginoso dei debiti che avrebbero gravato sul nostro futuro, si finanziò più che altro un’immane sistema di furti.
All’interno del suo partito c’era chi, rara eccezione di coscienza, diceva “Il convento è povero ma i frati sono ricchi”.
Nel messaggio che si propalava in quell’Italia, drogata da fanfaluche da megalomani e rapinata sistematicamente, il senso etico veniva definito sprezzantemente “moralismo”, “cattocomunismo”, ed il vecchio “così fan tutti”, arrivava ad essere strombazzato con arroganza in Parlamento.
Tutto dimenticato, tutto metabolizzato.
Ho sentito addirittura, e senza pudore, chiamare “esilio” una latitanza, la via imboccata per sfuggire a condanne per fatti molto gravi.
Sono fatti, non pareri.
Scherzi della memoria, scherzi con conseguenze gravi.
Alcune gravissime.
Tra le forme di patologia sociale più dipendenti da difetti di memoria e di cultura, forme che stanno facendosi nuovamente vistose nel nostro menù nazionale, non possono ovviamente mancare il razzismo, il classismo, il sovranismo e tutte le discriminazioni che immancabilmente ne derivano.
Non c’è davvero bisogno di citare un fatto o un altro in particolare, che dia testimonianza di questa deriva: basta guardarsi attorno, ascoltare da un lato i discorsi di chi queste tendenze le alimenta e le sfrutta per suo tornaconto, ma anche quelli di gente qualunque, quella che si incontra per caso in strada o che strilla sui social, le parole di quelli che, insomma, ci cascano.
Da noi si possono avere quaranta mogli, mille amanti, tremila accuse per furto, ma se si invoca la Madonna e si individuano e si indicano alla folla dei poveracci come nemici, si è certi di beccarsi l’applauso di chi non ha mai letto una riga che non fosse quella di un giornale sportivo.
E nel difetto della memoria, per moltissimi rientra anche la smemoratezza del verbo cristiano, l’incoerenza nei confronti di una fede religiosa che si è certi di professare.
“Perché la Segre deve girare con la scorta?…
L’ebreo è la vittima classica della storia. Forse sono stati dei ragazzini a minacciare Liliana, per ignoranza, per stupidità. Ma ricordo anche la storia della mensa di Lodi, quando esclusero quei bambini…
E la donna di Padova, intervistata sui migranti all’uscita della chiesa, diceva “che affoghino tutti!”.
E’ cominciata così la deportazione”
(Edith Bruck, sopravvissuta ad una deportazione ad Auschwitz da bambina, in una recentissima intervista a Repubblica)
Occorre ricordare a tutti che accanto ai nuovi razzismi, quelli cioè “di moda”, resiste imperterrito il pregiudizio antiebraico, nutrito da secoli di falsi storici, di vecchia ostilità, religiosa, rimasta viva nella mentalità, nel costume, e perfino nel linguaggio.
Un linguaggio spesso sciatto, infarcito di epiteti stupidi, da ignoranti, e di luoghi comuni spacciati per verità accertate.
Una tale persistenza non ha bisogno di essere verificata, perché vedere nell’ebreo un ricco e sordido personaggio, impegnato ad arricchirsi e a tessere eterne trame, è, per così dire, un “classico”, un evergreen dell’ignoranza tronfia e della stupidità, che possiamo notare ogni giorno.
Dovremmo però sapere, quanto questo blocco della memoria, della conoscenza e della cultura, sia stato letale e disumano, e occorre ribadire con forza quanto ancora possa esserlo.
E visto che la memoria è conoscenza tramandata, individuale e collettiva, essa rappresenta in sostanza uno dei più efficaci strumenti culturali di difesa.
E di ottime difese abbiamo un maledetto bisogno perché bastano poche generazioni smemorate ed ignoranti a rendere possibili nuove barbarie.
Troppi segni indicano che gli anticorpi culturali che ci hanno inoculato gli esiti tragici di Fascismo e Nazismo e della Seconda Guerra Mondiale, stanno svanendo.
Molti sostengono quindi che celebrare la Giornata della Memoria sia inutile, un rito vuoto. Lo si dice, non a caso, anche dell’Otto Marzo.
Io, al contrario, penso che, mentre, uno dopo l’altro, muoiono gli ultimi sopravvissuti della Shoah, sia ancora più necessario non distrarsi e, con la memoria, rilanciare la cultura, il suo prodotto più bello ed utile.
Mi piace pensare dunque che si possa vivere la Giornata della Memoria col dolore di un ricordo che non può perdersi, ma senza retorica.
La nostra deve essere memoria attiva, va usata quotidianamente, a casa, nei luoghi di lavoro, nel tempo libero, in fila alle poste.
Deve appunto farsi cultura, e migliorarci.
La si dovrebbe vivere ogni giorno, renderla muscolosa, come se si andasse in palestra ad allenare la nostra civiltà.
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.