Con estremo piacere, da questa settimana la nostra Rivista ospiterà una interessante rubrica bimensile, curata da Fausto Bonifacio, un esperto particolarmente competente in merito, rubrica che riteniamo possa essere anche intrigante.
La maggioranza di noi vive la propria vita dando per scontate moltissime delle cose che ci circondano, ma che in realtà ignora: ad esempio, tutti guidano le automobili ma pochi ne conoscono il funzionamento o la complessità delle parti che le compongono.
Così accade per la chimica, parte assolutamente integrante della nostra vita quotidiana, un ingrediente del quale, tuttavia, naturale che sia, oppure prodotto in laboratorio, ignoriamo quasi sempre la presenza e le funzioni.
La nuova rubrica ci svelerà quanto la chimica permei la nostra vita di tutti i giorni, e si può scommettere che tante delle notizie che ci fornirà avranno l’effetto di vere e proprie rivelazioni.
Cominciamo dalla definizione di chimica (dalla Enciclopedia Treccani):
CHIMICA s.f. – Scienza che studia le proprietà , la composizione, l’identificazione, la preparazione e il modo di reagire delle sostanze, sia naturali sia artificiali.
La Chimica è una scienza sperimentale, di conseguenza utilizza il metodo scientifico (iniziatore di tale metodo fu il grande scienziato G. Galilei).
Purtroppo il nostro è un paese ascientifico se non proprio antiscientifico.
Sostanzialmente la classe dirigente italiana è da sempre composta soprattutto di studiosi -quando hanno studiato- umanisti.
Secondo Luigi Russo, autore del volume “La rivoluzione dimenticata”:
“Il dato attuale della comunità scientifica italiana si può sintetizzare nella mancanza di una comunità scientifica nazionale e nell’assenza di una classe dirigente che sia composta da scienziati o che sia connessa alla ricerca scientifica”
Manca totalmente il metodo scientifico, il che significa una incapacità di fondo di valutare correttamente le dimensioni dei fenomeni che ci riguardano.
Siamo, quindi, in una situazione di carenza culturale, o meglio, di distorsione culturale, situazione che privilegia la cultura umanistica trascurando quella scientifica.
Da diversi anni la CHIMICA ha acquisito un’accezione negativa e l’aggettivo “chimico” è diventato sinonimo di “pericoloso”, ”tossico”, ”nemico della natura”, ”antiecologico”, ”sporco” etc…..
Eppure nel primo dopoguerra l’Italia raggiunse, in poco tempo, posizioni di avanguardia nella CHIMICA.
La rapida industrializzazione fu enormemente gradita agli italiani che videro rapidamente aumentare i propri redditi, ridurre la disoccupazione e raggiungere condizioni di vita impensabili fino a qualche anno prima.
Gli anni sessanta videro un grande successo della CHIMICA.
Giulio Natta, al Politecnico di Milano, sviluppò un nuovo metodo di sintesi del polipropilene (MOPLEN) che originerà una vera rivoluzione nella vita quotidiana degli italiani.
Seguiranno poi le fibre tessili, che ebbero un enorme impatto sociale, nuovi farmaci che consentirono di debellare diffuse malattie, fertilizzanti, antiparassitari, detersivi, gomme e centinaia di altri prodotti.
Tutto ciò contribuì a migliorare le condizioni di vita degli italiani.
L’ondata di entusiasmo era però destinata a ridimensionarsi.
Era il 10 luglio 1976 quando nell’impianto di produzione di 2,4,5-triclorofenolo presso l’industria ICMESA, filiale italiana della svizzera GIVAUDAN-HOFFMANN-LA ROCHE, situata nel comune di Seveso (22 Km. da Milano) si sviluppò una forte esplosione causando la fuoriuscita di una nube tossica di 2,3,7,8-tetracloro-para-diossina (TCDD), comunemente chiamata “diossina”, che causò gravi problemi respiratori a circa 240 persone residenti in quattro comuni (Seveso, Cesano Maderno, Meda e Desio).
L’impatto emotivo dell’incidente sulla popolazione fu enorme.
Le industrie chimiche cominciarono ad essere viste come una minaccia e non più come portatrici di benessere.
Va ricordato tuttavia, che pochi anni dopo la comunità scientifica dimostrò che quell’incidente fu causato da errori del management e dalla cattiva politica aziendale in termini di sicurezza dei processi chimici industriali.
La diossina, peraltro, è stata poi riconosciuta quale potenziale sostanza cancerogena.
E ancora, il 3 dicembre 1984 accadde un altro terribile incidente nell’antica città indiana di Bhopal.
Nello stabilimento della UNION CARBIDE INDIA (filiale indiana dell’americana UNION CARBIDE produttrice di fitofarmaci) si verificò un incidente che provocò la fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile.
Fu l’incidente industriale più grave di tutti i tempi.
In pochi giorni morirono tra le 7000 e le 10000 persone e ne rimasero intossicate, più o meno gravemente, altre 100000 – 200000.
La tragedia di BHOPAL fu causata principalmente da errori, omissioni, decisioni irresponsabili o superficiali, dalla sottovalutazione dei pericoli, da una non corretta politica industriale ed altro ancora da parte dei gestori di un impianto che, destinato ormai da tempo alla chiusura, era stato quasi completamente abbandonato e privato dei più elementari dispositivi di sicurezza.
Voglio di seguito riportare una frase di una personalità chimica di lungo corso, Giorgio Nebbia, già professore all’Università di Bari, apparsa nel 2011 su “La Chimica e l’Industria” organo della Società Chimica Italiana:
“… la storia degli anni recenti è piena di episodi di danni alla salute e all’ambiente, provocati da industrie e sostanze chimiche, non perché tali sostanze siano chimiche, ma perché sono stati imprudenti e incapaci i produttori, i trasportatori, gli utilizzatori, cioè gli uomini”
Di fronte a incidenti come quello di BHOPAL, ha però senso dare la colpa alla CHIMICA in generale e auspicare che sia eliminata dalla nostra vita?
La CHIMICA rappresenta un tesoro per l’umanità: strumento potentissimo per la conoscenza della natura, inerte o viva che sia, e per il benessere materiale.
Tutto è CHIMICA e ogni fabbricazione comporta una trasformazione chimica.
Senza la CHIMICA, anche se la maggioranza di noi stenta a rendersene conto, la nostra vita sarebbe impossibile: le pagine di un libro che stiamo sfogliando, l’inchiostro con cui sono scritte, il gas all’interno della lampadina che illumina la stanza, il tanto amato cellulare e perfino il nostro sistema nervoso, che ci permette di leggere queste righe, sono fatti di atomi e molecole,
cioè di CHIMICA.
Fausto Bonifacio nasce a Milano nel 1951, si laurea in Chimica Pura nel 1975 e dopo un anno di servizio militare viene assunto, presso un’importante azienda farmaceutica milanese, con la mansione di operatore di laboratorio di ricerca.
Nel 1988 emigra, al contrario, nella città di Frosinone e prende servizio quale direttore della funzione Ricerca e Sviluppo di una nota azienda chimico-farmaceutica operante nel settore della sintesi e produzione di principi attivi .
Nel 1998 viene assunto, con la qualifica di direttore Ricerca e Sviluppo, da una nota azienda chimico-farmaceutica situata nei pressi di Latina e ricopre inoltre lo stesso incarico nella consociata spagnola di tale azienda.
Nel 2004 emigra in toscana presso un’importante azienda chimico-farmaceutica dove ricopre la carica di direttore di stabilimento fino al 2013 quando cessa l’attività lavorativa godendosi poi la meritata pensione.
Attualmente vive e saltuariamente lavora a Latina.