Una nuova Europa?

La crisi economica post virus, che ha costretto a dare spazio ad una politica di espansione della spesa, forse ci riconsegnerà un’Europa come non l’abbiamo mai conosciuta.
Non più l’Europa della troika, del controllo dei parametri di bilancio, ma un’Europa che sostiene e coordina i piani nazionali di sviluppo.
È stato significativo, in questo senso, il discorso della Presidente Ursula von der Leyen al Parlamento europeo per la presentazione del Recovery Fund:

“L’Europa è una storia di generazioni. E ogni generazione di europei ha la propria storia. [la prima] … ha fondato la nostra Unione. La successiva [ha raggiunto] …la prosperità e la libertà …facendo uscire i nostri fratelli e sorelle dal grande freddo e accogliendoli qui nel cuore della nostra Unione. …tutte le cose buone che abbiamo realizzato sono in pericolo…un’economia in difficoltà in una parte dell’Europa indebolisce un’economia forte in un’altra. …È il momento dell’Europa…”

Ursula von der Leyen

I 750 miliardi di Euro del programma, aggiunti a quelli già in stanziati, portano l’investimento europeo a 2400 miliardi di Euro.
Nell’insieme un piano straordinario che ha tre assi fondamentali:

  1. La costruzione del green deal europeo con la ristrutturazione delle infrastrutture, l’aumento del consumo energetico rinnovabile, l’uso di trasporti più puliti
  2. Il rafforzamento del mercato unico europeo in modo compatibile con l’era digitale
  3. L’inclusività di un’economia che non lasci indietro nessuno, attraverso il potenziamento dell’indennità di disoccupazione, l’attuazione di salari minimi equi, la lotta al lavoro nero e all’evasione fiscale.

Direbbe Kean Loach: “non solo pane, ma anche rose”…

È un piano per una nuova Europa?

Tutto lascia credere di sì. A cominciare dal cambio di pelle della Commissione, la quale passerebbe dal sorvegliare che siano rispettati i vincoli di bilancio, al verificare lo stato di avanzamento del progetto europeo. Come ha ben esplicitato Sassoli, il presidente del Parlamento Europeo,

“non più un’Europa che pone condizioni, ma un’Europa che accerta la coerenza delle scelte fatte dai governi: gli Stati nazionali indicheranno le proprie priorità e l’Ue si limiterà a constatare che siano in linea con le politiche europee”.

David Maria Sassoli, attuale Presidente del Parlamento Europeo

La parola passa ora ai Capi di Stato e di Governo per l’approvazione del progetto, resa complicata dalla clausola dell’unanimità che concede spazi di manovra e ricatti a tutti.

A questo si aggiunga che ogni governo, a prescindere dalla tribù di appartenenza del proprio paese (vedi nostro articolo), dovrà fare i conti con il consenso interno esasperato dal disagio sociale.
Il nodo più difficile da sciogliere sarà sicuramente quello del reperimento delle risorse.
Oltre al fondo europeo finanziato dagli Stati, si ricorrerà all’emissione di bond garantiti dalla tripla A dell’economia europea e a nuove tasse previste nell’ordine di circa 70 miliardi, cioè neppure il 3% dell’investimento complessivo: un piccolo contributo, certo, ma altamente significativo sul piano politico. Occorre infatti ricordare che le politiche fiscali non sono di competenza dell’Unione e che qualche paese ha costruito le proprie fortune anche sul ribasso delle aliquote, diventando una sorta di Isole Cayman nel cuore dell’Europa.

Le Isole Cayman

C’è infine da tener conto dei paesi che si avvantaggiano di una politica salariale al ribasso per diventare meta di dislocazioni industriali.
Comunque, in qualche modo se ne verrà fuori, seppur con qualche correzione, non tale c’è da augurarsi da compromettere la finalità del progetto.
Dopo toccherà ai singoli paesi promuovere piani per accedere ai fondi che saranno erogati a tranche, per stati di avanzamento.

E qui entrano in gioco le singole politiche nazionali e i loro protagonisti: i partiti, le associazioni datoriali e sindacali. Per stare al nostro paese, in Italia si vede purtroppo un grande impegno a piantare bandierine, piuttosto che a sfidarsi sul fare.
Flat tax, Mes, contratti nazionali o aziendali, giustizialismo e garantismo sono tutte battaglie ideologiche che annebbiano la vista.

Abbiamo, invece, bisogno d’idee fra loro compatibili e di aggiustare la macchina Stato.

Una macchina che ha assoluto bisogno che si mettano mano a tre elementi fondamentali: all’innalzamento del livello dell’istruzione e della ricerca con una maggiore integrazione con la fase aziendale; alla capacità di spendere i finanziamenti senza derogare dalle regole e dai percorsi pattuiti; a una riforma della giustizia civile che consenta di dare certezze di giudizio in materia di investimenti.

Occorre fare presto, perché in ballo c’è il futuro del paese.

La speranza è che i soggetti decisori si sfidino su questo terreno, anziché essere tentati di cavalcare e magari aizzare il disagio sociale.

Farlo sarebbe una mossa miope, che permetterebbe di lucrare, forse, qualche vantaggio in termini di consenso, ma al prezzo del crollo dell’Italia.

Marcello Ciccarelli, in pensione, attivo solo cerebralmente. Una volta docente e amministratore. Ancora appassionato di matematica e politica.

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