Quale futuro per i giovani? -prima parte-

I giovani, i loro bisogni, le loro potenzialità non riescono a divenire il tema intorno al quale riorganizzare gli scenari della nostra società.
Essi sembrano acquisire solo rilevanza negativa, come nella recente pandemia, quando sono stati classificati come incoscienti untori.
Eppure, a proposito di pandemia, sono coloro che più ne hanno subito le conseguenze sia per privazioni nel presente, sia per le prospettive nel futuro.

Sono i loro luoghi di ritrovo ad essere, oggi vietati o limitati; ed è il loro futuro ad essere compromesso per l’aumento della disoccupazione e per l’incertezza della ripresa della scuola.
Cioè, la fabbrica di futuro, come è stato detto con una bella definizione.
E non si tratta solo di un’immagine suggestiva, dato che la merce che produce è fondamentale per lo sviluppo economico del paese.

Soprattutto da quando l’economia si è polarizzata intorno a due fasi con diverso valore aggiunto: la progettazione e la fabbricazione.
Per competere sulla progettazione è necessaria la conoscenza.
Per la fabbricazione il basso costo di manodopera. In Europa abbiamo, ai due estremi, la Svezia e l’Ungheria, dove oltretutto i bassi salari, per essere mantenuti nel tempo, sono accompagnati da una restrizione dei diritti. 

L’Italia si è differenziata territorialmente, con il Sud votato a un’immigrazione volutamente tenuta irregolare per allarmare e per contenere i costi del lavoro. Il nord riesce ancora a competere su settori quali il lusso e la meccanica di precisione, che però si stanno restringendo anche a causa dei pochi investimenti nel campo dell’istruzione. Dove la spesa negli ultimi vent’anni non ha mai superato il 7 %, del bilancio, dato che ci relega all’ultimo posto fra i 37 paesi dell’OCSE. 

Che la progettazione abbia poco futuro lo evidenzia l’esodo di giovani con qualifiche accademiche elevate: 60.000 nel 2018 e 200.000 nel quinquennio 2013-2018. (fonte: istat-ocse)

Come si è arrivati a questa condizione così pregiudizievole per la nostra economia? Tutto ha inizio alla fine degli anni ottanta, quando ci si è posti il problema di una riforma post-gentiliana dell’istruzione che rispondesse alle sfide della nuova organizzazione del lavoro.
Il modello da imitare, il toyotismo creato nelle fabbriche giapponesi, richiedeva un addetto alla produzione dotato di versatilità, capace di lavorare in team e in grado di intervenire anche nella progettazione.
Un modello, come è facile intuire, che mandava in soffitta la gerarchia della catena di montaggio, quel ford-taylorismo dei “Tempi moderni” di Charlie Chaplin.

La parola d’ordine che guidò quelle riforme fu licealizzazione.
Intendendo con ciò l’innalzamento per tutti della cultura di base prima di passare alla fase professionale. Questo attraverso un potenziamento delle discipline, tipicamente liceali, ritenute più funzionali allo sviluppo delle capacità richieste. L’obiettivo era di dare agli studenti una maggiore capacità di astrazione, che li mettesse poi in grado di intervenire su più versanti occupazionali continuamente mutevoli. Tanto per dare un’idea: si creò il liceo tecnologico al posto dell’istituto tecnico inserendo una materia come la filosofia. 

Un simile progetto di riforma scolastica fu politicamente unitario e condiviso anche dalla Confindustria. Alla fine degli anni ottanta spicca quale interprete l’on. Falcucci; a metà anni novanta si impose la figura di Lombardi, già vicepresidente della Confindustria con delega all’istruzione; poi, fu la volta di Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro con i governi Prodi-D’Alema. Il prodotto più visibile di questo impegno è stata la riforma dei programmi, che prese il nome dal sottosegretario Brocca. 

Beniamino Brocca

Gli anni duemila portarono a un netto cambio di strategia riformatrice, con le tre I (impresa, informatica, inglese) del governo Berlusconi e l’alternanza scuola-lavoro della Buona scuola del governo Renzi.
L’idea era in questo caso di porre l’occupazione quale fine dell’istruzione. 
Education-to-employment per usare le parole che il dottor Colao ha usato nel piano appena presentato al governo. In pedagogia il termine di riferimento diventa competenza: competenza del fare in contrapposizione alla conoscenza fine a sè stessa. In concreto, si tratta di dare priorità nei percorsi didattici alle potenzialità applicative della disciplina.

Un paio di esempi aiutano a chiarire.                           

  • Nell’insegnamento della matematica diventa prioritario individuare le possibili applicazioni di una formula, piuttosto che le dimostrazioni che ne hanno convalidato la sua generalizzazione.
  • In Informatica si preferisce esplorare le applicazioni di un algoritmo, piuttosto che studiare la struttura interna dello stesso algoritmo. 

Si tratta di una pedagogia che aiuta ad orientarsi nell’uso dei dispositivi digitali, ma che indebolisce la comprensione della complessità e della comunicazione. Come del resto certificano i risultati della recente indagine Ocse-Pisa del 2019: il 20% dei nostri giovani della fascia 16/29 ha minime capacità di comprensione di un testo, mentre il 30% ha competenze matematiche vicine allo zero. 

Risultati che aiutano a comprendere anche perché la disoccupazione giovanile è salita al 50%, invalidando la strategia che vuole questo insegnamento più favorevole per l’occupazione.  
E per il futuro?
Non resta che aspettare, per poter prendere in esame le proposte per rilanciare l’economia del dopo Covid-19.  

Continua…

Marcello Ciccarelli, in pensione, attivo solo cerebralmente. Una volta docente e amministratore. Ancora appassionato di matematica e politica.

Un commento su “Quale futuro per i giovani? -prima parte-

  1. Caro Professore, non leggo tutto,ma ho capito il concetto di cui parla. Il Covid19 e’ stato il grimaldello per sfasciare la Cultura italiana,l’industria media piccola e grande. Tempi durissimi ci attendono. I giovani scappano all’estero, come voglio fare io stesso. Per fortuna ho una cittadinanza di uno stato ex-jugoslavo, quello al nord che confina con Austria,Italia,Ungheria.E me ne vanto. E giunto il momento fatale di andarmene,ricostruirmi gli ultimi anni di vita fuori dalle palle. L’Italia sta’ in mano a dei delinquenti al Governo. Cosa vogliono perseguire non l’ho capito, e me ne fotto!!!!

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