In gergo giornalistico il coccodrillo è un articolo pronto all’uso, scritto per onorare la scomparsa di un personaggio non appena giunga la notizia della sua dipartita. Viene conservato nell’archivio della redazione, aggiornato alla bisogna e viene anche definito articolo commemorativo.
Sono convinta che anche per la Poesia come genere letterario, di coccodrilli belli e pronti ve ne siano numerosi, tutti a nuotare nelle acque immote di un non specificato archivio lacustre, luogo talmente affollato da far presagire che questa sia una morte ampliamente annunciata.
Ebbene anche io mi sono domandata più e più volte, riguardo a questa scomparsa considerata ormai imminente, se non fosse il caso di confezionare il mio coccodrillo, proprio per non trovarmi impreparata nel momento in cui l’annuncio fosse dato in maniera ufficiale, tra lacrime di circostanza e una più o meno ostentata costernazione. Un contegno di quelli che servono a mascherare l’imbarazzante condizione di quando ci si trova a chiedersi, non senza discrezione, chi effettivamente sia passato a miglior vita, chi sia colui del quale tutti ora, ovviamente solo dopo la sua morte, parlano così bene. Una persona così nota e benvoluta che scoprire di averne ignorata l’esistenza sino a quel momento fatidico, ci pare talmente sconveniente da farci sentire subito la necessità di correre ai ripari. Occorre dunque conoscerlo a posteriori, e in fretta, per poter entrare anche noi di diritto nel coro dei compiangenti, dei contriti e dei costernati e deporre il nostro mazzo di fiori alla memoria.
Devo ammetterlo, poi mi sono anche chiesta se tutto ciò non porti iella. Non sono superstiziosa, ma la domanda è sorta spontanea…
Forse perchè, come alcuni sostengono, tutto questo parlare della morte della Poesia, non fa che allungarle la vita, perché la Poesia è impalpabile, materia connaturata all’esistenza umana, perché i poeti pullulano… Certo la Poesia non è cosa che pulluli quanto i poeti, ma tant’è: questo accanimento terapeutico, questo continuo massaggio cardiaco che tanti le praticano, con il continuo ricorso a rime, a versi sciolti, a figure retoriche, onomatopeiche e quant’altro, non fa che prolungarne la sopravvivenza, addirittura ringiovanendone il vigore. Succede un po’ come per il famoso Barone Lamberto del racconto di Gianni Rodari che al solo pronunciarne il nome ininterrottamente, tornava indietro negli anni e ringiovaniva sino all’età di un lattante.
Ecco, forse sarebbe meglio non esagerare, con tutto il rispetto per i lattanti, sia inteso: che la Poesia abbia lunga vita, che si eterni e che sopravviva agli stentati spazi che in questo mondo le si lasciano, come spiragli per chi non ha tempo più per niente, non può che essere un fatto positivo. Oggi del resto, il ruolo dei poeti non è più quello di una volta quando il mondo si cambiava anche grazie alla Poesia e i poeti, temuti dai regimi, venivano mandati al confino. Ora invece è la Poesia a vivere un po’ confinata.
Cambiano i tempi è vero, ma la Poesia non muore perché è connaturata alla natura umana. Come ebbe a dire Virginia Woolf: “niente muore davvero, se non lo lasci morire”. Virginia pubblicò “Lettere ad un giovane poeta” per rispondere al venticinquenne John Lehmann, che nutriva aspirazioni poetiche e che nel 1931 le aveva posta la domanda precisa: «Mi scriva e mi dica dove sta andando la poesia, o se è morta». A rispondergli seguirono due lettere piene di consigli , anzi anche con alcuni rimproveri che la Woolf gli rivolse. Molti ovviamente erano gli spunti interessanti tra i quali una definizione di quanto grandi siano la forza ed il valore riposti nella lettura.
«… leggere, lo sai, è un po’ come aprire una porta e lasciarsi invadere da orde di barbari che ti aggrediscono da ogni parte, e ti ritrovi tempestata di calci e pugni, sbatacchiata, graffiata, denudata, lanciata in aria fino a perdere conoscenza, e poi di nuovo riacciuffata, accecata, presa a pugni, sensazioni piacevolissime per chi legge (non c’è niente di peggio che aprire la porta e trovare che fuori non c’è nessuno) – ebbene, tutto ciò mi fa pensare che il poeta in realtà goda di ottima salute».
Insomma la Poesia, come l’Arte, è qualcosa che non può morire, al massimo può essere fatta male e forse, anzi probabilmente, si dovrebbe leggerla di più, lasciandosi piacevolmente sopraffare.
La Poesia resta un porto franco, un rifugio e una via di fuga, il luogo del dire e del sentire. Luoghi del genere non possono sparire dalla geografia del genere umano finché l’umanità sopravviverà …
E allora no, lo ribadisco, nessun coccodrillo per la Poesia!
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale