Il più grande mistero nell’esistenza di Piotr Ilic Ciaikovskij riguarda la sua morte, sia in relazione alle sue modalità, sia rispetto alle cause che la provocarono.
Da tempo si è consolidata negli studiosi la certezza che il musicista sia morto suicida alla poco veneranda età di cinquantatré anni.
Le incertezze che permangono sulla sua fine si sostanziano in un solo dubbio: si avvelenò con qualche sostanza venefica specifica oppure, altrettanto volontariamente, bevve l’acqua di San Pietroburgo, infetta in quei giorni per una epidemia di colera?
All’epoca si vociferò di una “giuria di nobili” che lo avrebbe condannato a suicidarsi, ma quest’ultima ipotesi oggi è considerata più che altro una forma di gossip.
Le testimonianze in merito, rilasciate da amici e parenti, si tennero tutte sul vago, lasciando del tutto senza risposta anche l’interrogativo fondamentale:
perché Ciaikovskij si avvelenò?
Sicuramente non per problemi professionali: la sua carriera compositiva era all’apice, era ricco e celebrato in tutto il mondo, persino in America, dove dopo una tournee trionfale, disse di “essere dieci volte più famoso che in Europa”.
La reticenza a diradare i dubbi sulla sua fine da parte di coloro che gli furono più vicini va ricondotta forse, oltre che ad una forma di delicatezza nei confronti della sua omosessualità, anche alla intenzione di nascondere i problemi provocati dal suo carattere difficile nei rapporti col prossimo.
Si pensa che all’epilogo del musicista, avvenuto nel 1893, non sia stata del tutto estranea una storia risalente proprio a quello stesso anno, quando contro di lui fu sporta una denuncia per molestie verso un giovane nobile, anch’egli omosessuale.
Sarebbe stato forse questo il motivo che lo spinse ad autodistruggersi. Come nell’Inghilterra anche nella Russia zarista infatti, l’omosessualità si riscontrava soprattutto tra i giovani che frequentavano i più esclusivi collegi, dove spesso la durezza della disciplina e la vita cameratesca portavano in superficie le tendenze sessuali più represse.
Naturalmente però, quello era un argomento di cui non si poteva né si doveva parlare e la cui realtà, perfino a corte, andava negata con ogni mezzo.
Lo zar in persona, del resto, metteva a tacere ogni pettegolezzo in tal senso, che riguardasse nobili o le persone più in vista nella Russia di allora.
Già per via del suo matrimonio “di convenienza”, celebrato nel 1877, dopo appena pochi giorni di fidanzamento, cosa inaudita a quei tempi, i pettegolezzi e le malignità nei confronti di Ciaikovskij, invece che diradarsi, si erano riaccesi: l’esatto contrario di quel che Piotr aveva sperato. Va detto intanto che la scelta della compagna, che egli sposò avvertendola che non l’avrebbe mai potuta amare, fu decisamente la più infelice possibile.
A quei tempi i matrimoni di facciata erano frequenti in Europa, e venivano utilizzati per celare la natura omosessuale di uno o entrambi i coniugi, ma non fu certo questo il motivo di un esito così sfortunato.
Ciaikovskij piuttosto aveva scelto una donna mitomane e psichicamente instabile, Antonina Ivanovna Milijukova, che solo poco tempo prima gli aveva scritto una lettera in cui lo implorava di incontrarla, minacciando di suicidarsi nel caso di un suo diniego.
Piotr, invece di allarmarsi per un approccio così patologico, pensò che, quasi mandata dal destino, gli fosse stata fornita la soluzione ai suoi problemi sociali. Inutilmente i suoi amici cercarono di convincerlo a lasciar perdere, spiegandogli con ricchezza di dettagli chi fosse la sua futura moglie: Ciaikovskij rimase sordo ad ogni invito alla prudenza e nel luglio del 1877, a Mosca, la prese in sposa.
Da quel giorno non ebbe più pace, soprattutto con se stesso, visto che si scopriva giorno dopo giorno incapace di una qualsiasi relazione matrimoniale, anche di una del tutto platonica.
All’inizio di quel rapporto inusuale, va detto per amor di verità che Antonina, nonostante la freddezza del marito, si mostrò comprensiva.
Ciaikovskij, però, era un uomo viziato, egoista, fin da piccolo capace di scoppiare facilmente in pianto solo per dare dimostrazione di una sua presunta ipersensibilità. Così il musicista non ritenne di fare nei confronti della donna il minimo passo di comprensione.
Anche se lei aveva accettato le condizioni impostele da Piotr, era pur sempre un essere umano che più di altri necessitava di calore ed affetto. Il marito invece spariva per settimane, per mesi, per andare il più lontano possibile da lei, rifugiandosi nella sua dacia in campagna, quasi imputando alla moglie la propria omosessualità, che lui evidentemente viveva nel profondo come una colpa, nonché l’insoddisfazione generale che lo pervadeva.
Si dimostrò insomma quel che era sempre stato, un “bambino di vetro”, come lo aveva definito la sua nutrice, capace di piangere per un’inezia, esibendo la sua sensibilità per essere sempre al centro dell’attenzione, soprattutto in famiglia. Fin dall’infanzia si era infatti manifestato il suo congenito egocentrismo.
Col padre ebbe rapporti più che altro formali, mentre gestì i fratelli e le sorelle a suo esclusivo capriccio, avvicinandosi a loro solo nei momenti di bisogno. Non per caso non disse del suo imminente matrimonio a quella che riteneva la sorella più cara, Sasha, che l’avrebbe forse convinto a desistere. L’unica persona che ebbe sempre cara fu sua madre, cui somigliava nel carattere e che morì di colera nel 1874.
In seguito a questo evento il musicista scrisse:
“Con la sua morte sarò orfano per sempre”.
Da allora ogni donna che entrò nella sua vita fu, più o meno consapevolmente, paragonata ad una madre che era stata sempre mitizzata quale ideale di donna.
Anche Nadejda Von Meck, la sua mecenate, una persona ricchissima e bizzarra, si persuase che fosse necessario che Ciaikovsky venisse viziato affinché non distogliesse le sue forze dalla sua missione di artista.
A tal pro gli riconobbe una rendita vitalizia che per quei tempi era colossale:
seimila rubli!
A riprova di un temperamento estremamente eccitabile, va ricordato che Ciaikovskij, nonostante questa rendita principesca, i suoi cospicui guadagni artistici ed il suo stipendio di insegnante presso il Conservatorio di Mosca, sarà sempre terrorizzato da una miseria che mai ebbe a conoscere. Del resto, in perfetta contraddizione con un simile timore, non rinunciò mai a condurre una vita molto dispendiosa, atta a soddisfare ogni suo capriccio. Paradossalmente, il musicista per tutta l’esistenza si sentì perseguitato dalla sorte.
Che si dovesse poi al mistero che si cela dietro al miracolo artistico o ad una sua insensibilità congenita a tener conto degli altri, fatto sta che fu proprio durante il periodo nero del suo matrimonio e di quella presunta convivenza, che portò a termine tre dei suoi capolavori: l’opera “Oneghin”, il “Concerto per violino” e la “Quarta sinfonia”.
A completare il quadro di una vita complessa ed inusuale, va ricordato anche il suo rapporto con la Von Meck, durato ben quattordici anni, che si espresse solo per via epistolare a causa di una condizione imposta dalla sua mecenate: non avrebbero dovuto mai incontrarsi,
“ Mai e poi mai”.
I due si scambiarono qualcosa come settecentosettantuno lettere! Neppure Balzac avrebbe potuto congegnare per i suoi romanzi un intreccio così complicato!
Alla sua morte, per suicidio, va ribadito, si parlò di malattia, e venne dichiarato il lutto nazionale.
Lo zar Alessandro III°, seguendo dalla finestra le esequie alle quali parteciparono migliaia di cittadini in processione, dichiarò:
“è vero, avevamo un solo Ciaikovskij e se ne è andato”.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.