
LA PATACCA
di Carlo Pavia
Come promesso la scorsa settimana ecco l’articolo che parla di monete dell’antica Roma aventi per oggetto scene oscene a sfondo sessuale.
Continuando a leggere vi dichiarate consapevoli e consenzienti.
Durante la lezione sulla numismatica romana, che ho tenuto l’8 Febbraio 2017, ad un certo punto ho puntato l’attenzione su una moneta di Cavino particolarmente ben realizzata.

Sul rovescio era un’immagine oscena; non ne ho parlato molto ma ho notato un certo interesse da parte del pubblico soprattutto quando ho precisato che proprio da quella categoria numismatica proviene il termine “patacca”.
Non nascondo un certo imbarazzo e chiedo umilmente scusa per l’argomento trattato.

Normalmente ne parlo esclusivamente ad un pubblico adulto e mai, finora, mi ero azzardato a pubblicarlo.
Visto però che la maggior parte dei miei colleghi si è dimostrata favorevole alla sua trattazione, definendolo comunque argomento pubblico (quantunque vagamente scientifico), ecco di seguito, anche se in forma volutamente ridotta, l’informazione che rotea intorno all’allegata moneta oscena dell’artista.
Sappiamo per certo che nella bottega del padovano Giovanni da Cavino (Padova, 1500 – Padova, 1570) circolavano intere collezioni private di monete antiche; di certo egli ha visto, toccato e duplicato (o modificato) esemplari rarissimi e probabilmente anche unici.
Gli sono capitate anche tante tessere erotiche (come quelle in allegato) da cui avrà tratto spunto per le sue realizzazioni.

Tali tessere, che potevano essere anche in ottone, posseggono un interesse non solo numismatico ma anche storico.
Svetonio le chiamava tessere mummarie e questa definizione può giustificare molto bene anche il fatto che potessero servire come monete. Qualunque fosse l’uso a cui erano legate, appare evidente che dovevano essere necessariamente convertite in denaro dopo l’uso, per poter ritornare in circolazione subito dopo, in pratica come si faceva fino a qualche anno fa con i nostri gettoni telefonici.
Al dritto è sempre rappresentata una scena erotica con personaggi dallo stile artistico un po’ primitivo ma molto delicato. Il contorno è costituito da un cerchio di perline. Le scene sono sempre molto esplicite e l’atto è sempre formato da due persone, un uomo e una donna; non esistono scene di relazioni omosessuali nè promiscue; compaiono anche immagini altamente pornografiche.

In esergo qualche volta compare la lettera S (?). Al rovescio è impresso un numero che va da I a XVIII; finora non sono state rinvenute tessere con numeri più alti (in verità esiste anche un XXV ma si pensa si tratti di un errore di coniazione).

Alcune volte il numero è preceduto dalla lettera A; secondo alcuni studiosi tale lettera significa “asse” e quindi il valore del gettone viene definito dal numero seguente.
Si ricorda che la prestazione sessuale di una prostituta (lupa) costava 2 assi (1 euro) per al massimo 30 minuti.
Ne consegue che dal valore di tale tessera dipendevano la “qualità”, la “ricchezza” e il “virtuosismo” dell’atto sessuale.
Vedo altamente improbabile che una prostituta potesse guadagnare poco più di un denario in mezz’ora (1 denario=16 assi=8 euro) e quindi il mensile di un soldato in un solo giorno; nessun testo antico riporta tale informazione.
Partendo da una identità di zecca e epoca di coniazione, si pensa che siano state coniate sotto l’impero di Augusto e Tiberio.
Le tessere erotiche costituivano il marchio delle abitudini dei lupanari romani.
Spesso venivano date come premio dal datore di lavoro al suo dipendente il quale le consegnava al gestore del lupanare per poter avere diritto alla prestazione sessuale.
Esistevano anche tessere erotiche in piombo e terracotta (sono ancora più rare perché la loro natura non ne consente una buona conservazione nei secoli) così come esistevano i cilindretti per stampi riportanti atti sessuali (in certi casi anche sodomiti) … ma di tutto questo se ne parlerà (forse) più avanti.
… e il nostro Cavino non aveva ancora visto le immagini oscene dei lupanari pompeiani (Pompei sarebbe stata scoperta due secoli dopo)!!! Chissà cosa si sarebbe inventato se solo si fosse trovato di fronte alla scena del “trenino”!

Dalle fonti che hanno trattato gli usi, costumi e tradizioni popolari della Roma del 700 e 800, compresa la Roma Rugantina, apprendiamo che per puro divertimento si usava mettere su una mano di un amico la moneta in questione con il dritto rivolto verso l’alto.
L’amico ne rimaneva ovviamente stupito, trovandosi nella mano un bellissimo sesterzio.
Quindi lo girava e osservandone il contenuto erotico se ne usciva con una espressione tipicamente romana del tipo
“… ma ‘n vedi che patacca”!
Quel “patacca” si riferiva al sesso femminile ma da quel momento una “patacca” divenne sinonimo di tutto ciò che è falso.
Carlo Pavia è l’Archeospeleofotosub (definizione coniata dal giornalista Fabrizio Carboni per un articolo sulla rivista Panorama): archeologo, speleologo, sub e fotografo.
Autore di molti libri sulla Roma antica, fondatore delle riviste “Forma Vrbis” e “Roma e il suo impero”.