Negli anni venti David Hilbert volle dare ai fondamenti della matematica una base solida e rigorosa, un’impresa diventata nota come programma di Hilbert.
Credeva che in linea di principio fosse possibile dimostrare o la verità o la falsità, riguardo qualunque congettura matematica.
È auspicabile che di nessuna congettura si possa dimostrare, allo stesso tempo, che è sia vera sia falsa, altrimenti questa incoerenza dimostrerebbe che c’è qualcosa di sbagliato nella matematica!
Questa idea potrebbe sembrare ovvia, ma in matematica bisogna affermare i concetti con assoluta certezza.
Hilbert voleva una dimostrazione rigorosa.
Nel 1928 formulò l’Entscheidungsproblem.
Anche se suona come uno starnuto, in tedesco significa «problema della decisione»: chiede se esista una procedura, cioè un algoritmo, che può decidere se una data affermazione matematica sia vera o falsa.
Per esempio, della frase «Moltiplicando qualsiasi numero intero per 2 si ottiene un numero pari» si può facilmente dimostrare che è vera, usando logica elementare e aritmetica.
Altre affermazioni sono più dubbie; per esempio,
«Prendiamo un numero intero e compiamo la seguente operazione: se è pari lo dividiamo per 2; se è dispari, lo moltiplichiamo per 3 e aggiungiamo 1; poi ripetiamo il processo. Allora raggiungiamo sempre il numero 1».
Pensateci bene dopo aver fatto qualche tentativo, provate magari a partire dal numero 82 o da qualsiasi altro a vostra scelta, e provate a decidere se l’affermazione è vera o è falsa.
La speranza di Hilbert era che, per quanto difficile fosse un problema, per quanto lontana nel tempo fosse la sua soluzione, vi fosse sempre una risposta a qualunque domanda: se c’è il problema, cerca bene che ci sarà pure la soluzione, e la potrai trovare con la sola ragione.
Hilbert aveva già affermato questa sua convinzione durante un famoso discorso, tenuto al secondo Congresso internazionale dei matematici a Parigi, esprimendo così la propria fiducia che «in matematica non ci sono ignorabimus», in risposta alla tesi enunciata qualche anno prima da Emil Du Bois-Reymond, a sostegno dell’impossibilità insita nell’essere umano di conoscere e di spiegare tutti gli aspetti della realtà: «ignoramus et ignorabimus», è un aforisma latino che significa appunto «ignoriamo e ignoreremo».
Sfortunatamente per Hilbert, le sue speranze sarebbero state infrante molto presto.
Nel 1931 Kurt Gödel ottenne risultati notevoli, oggi noti come teoremi di incompletezza, dimostrando che esistono enunciati matematici ragionevoli circa i numeri interi, che però non possono essere né dimostrati né confutati.
In un certo senso, queste affermazioni sono al di fuori della portata della logica e dell’aritmetica.
E Gödel dimostrò questo enunciato. Se trovate difficile farvene una ragione, siete in ottima compagnia: i teoremi di incompletezza di Gödel scossero profondamente le basi della matematica.
Ecco come farsi un’idea di quello che dimostrò Gödel: se qualcuno dice «Questa frase è una bugia», quella persona sta dicendo la verità o sta mentendo? Se sta dicendo la verità, vuol dire che l’affermazione deve essere una bugia. Se invece sta mentendo, l’affermazione è sincera.
Questo dilemma è noto come paradosso del mentitore.
Malgrado sembri una frase ragionevole, non c’è modo di stabilire se sia vera o falsa.
Gödel riuscì a costruire una versione matematica rigorosa del paradosso, usando l’aritmetica di base.
Il successivo protagonista della storia dell’Entscheidungsproblem è Alan Turing, il grande matematico britannico, considerato il fondatore dell’informatica moderna.
Al grande pubblico è più noto per il suo ruolo nella decrittazione del codice tedesco ENIGMA durante la seconda guerra mondiale, ma tra gli scienziati è conosciuto soprattutto per il suo articolo del 1937, On Computable Numbers, with an Application to the Entscheidungsproblem.
Influenzato dal risultato di Gödel, il giovane Turing diede una risposta negativa all’Entscheidungsproblem di Hilbert, dimostrando che non può esistere un algoritmo generale in grado di decidere se le affermazioni matematiche siano vere o false.
Anche il matematico statunitense Alonzo Church lo dimostrò indipendentemente e prima di Turing ma la dimostrazione di Turing è stata più significativa: spesso, in matematica, una bella e chiara dimostrazione di un risultato si rivela più importante del risultato stesso.
Per risolvere l’Entscheidungsproblem, Turing dovette individuare con precisione che cosa significhi «calcolare» qualcosa.
Oggi pensiamo ai computer come ai dispositivi elettronici che abbiamo sulla scrivania o addirittura in tasca, ma i computer, come li conosciamo oggi, non esistevano nel 1936.
Anzi, «computer» in origine significava una persona che eseguiva calcoli con carta e penna.
D’altronde questo modo per fare i conti, come a scuola, non è matematicamente diverso dai calcoli svolti da un computer attuale: è solo molto più lento e può portare più facilmente a errori.
Turing concepì un computer ideale, che oggi chiamiamo macchina di Turing.
Questo apparato ipotetico non somiglia a un computer moderno, ma può calcolare tutto ciò che può calcolare il più potente dispositivo attuale.
In realtà, qualsiasi problema che possa essere risolto con i calcoli (pure su computer quantistici o su altre macchine del XXXI secolo ancora da inventare) si può calcolare anche su una macchina di Turing, con l’unica differenza che ci si impiegherebbe molto più tempo.
Una macchina di Turing è composta da un nastro infinitamente lungo e da una «testina» in grado di leggere e scrivere un simbolo alla volta sul nastro, e poi di spostarsi di un passo verso destra o verso sinistra lungo il nastro stesso.
L’input per il calcolo sono gli eventuali simboli scritti originariamente sul nastro, e l’output è tutto ciò che ci rimane scritto sopra quando la macchina di Turing smette di funzionare (si ferma).
L’invenzione della macchina di Turing è stata più importante della soluzione dell’Entscheidungsproblem e, offrendo una formulazione precisa e matematicamente rigorosa di ciò che si intende per «svolgere un calcolo», permise a Turing di fondare l’informatica moderna su solide basi.
Avendo costruito il suo immaginario modello matematico di computer, Turing proseguì dimostrando che esiste una domanda semplice circa le macchine di Turing, che nessuna procedura matematica potrà decidere: una macchina in funzione su un dato input si fermerà prima o poi?
La domanda è nota come problema della fermata.
All’epoca, il risultato fu scioccante; oggi i matematici si sono abituati al fatto che qualsiasi congettura su cui lavorano potrebbe essere dimostrabile, confutabile o indecidibile.
Ma è proprio per questa abilità di muoversi con rigore ai confini della conoscenza umana, calcolando l’errore e l’incompletezza o l’indeterminazione delle misure, che la matematica si dimostra ancora la bussola più affidabile per guidare i ricercatori verso le nuove frontiere dell’ignoto.
Dell’irragionevole efficacia della matematica nella descrizione della realtà parleremo però un’altra volta…
Sotto l’eteronimo di Gyro Gearloose si cela un uomo rustico, a volte ruvido, fervido praticante di un libero pensiero, che sconfina in direzioni ostinatamente contrarie all’opinione comune.
Afflitto fin dalla nascita da una forma inguaribile di pensiero debole, simile all’agnosìa, prova a curarla con l’applicazione assidua di scienze dure.
E’ cultore di matematiche che, non capendo appieno, si limita ad amare da dilettante appassionato, sebbene poco ricambiato.
Si consola perlustrando sentieri poco battuti, per campagne e colline dove, tra le rovine del passato, resistono ancora bene l’ulivo e la vite.
la frase “bell’opera di divulgazione” è vera, falsa, indecidibile?
Direi: “troppa grazia”, il bello è nell’occhio di chi guarda 😁