A una lumaca, di Marianne Moore

A una lumaca

Se la concentrazione è il primo dono dello stile,
tu la possiedi. La contrattilità è una virtù,
così come modestia è una virtù.
Non già l’acquisizione di una cosa qualsiasi
capace di adornare,
o la qualità incidentale che per avventura
si accompagni a qualcosa di ben detto,
non questo apprezziamo nello stile,
ma il principio nascosto:
nell’assenza di piedi, un metodo di conclusioni;
una conoscenza di princìpi,
nel curioso fenomeno della tua antenna occipitale.
Dopo, ti senti un genio. Ti senti felice.

Marianne Moore

Marianne Moore è nata a Saint Louis (Missouri) nel 1887 (morta a New York nel 1972), diresse «The Dial» nel 1925-29, anno in cui la rivista cessò le pubblicazioni. La prima raccolta delle sue Poesie (Poems, 1921) apparve a sua insaputa per iniziativa di R. McAlmon e Hilda Doolittle, sua compagna di studi al Bryn Mawr. Ha scritto poi: Il pangolino e altre poesie (The pangolin and other verse, 1936), Che cosa sono gli anni (What are years, 1941), Cionondimeno (Nevertheless, 1944), Poesie scelte (Collected poems, 1951, con introduzione di Eliot), le successive raccolte scarne ed essenziali furono pubblicate in Tutte le poesie (The complete poems, 1967) mentre postume apparvero Poesie incompiute (Unfinished poems, 1972). Del 1954 è la splendida traduzione delle “Favole” di La Fontaine. Tra gli sperimentalisti nordamericani Moore occupa un posto di rilievo accanto a Stevens e a Williams. Distaccata, ironica, sottilmente intellettuale, incide sulla pagina disegni vertiginosi per grazia e intensità. La “compressione” sintattica del suo verso è legata a un ritmo sillabico aspro e irregolare, giocato sulla sordina delle cadenze di occulte rime interne. I suoi bestiari poetici popolati di animali rari o favolosi (struzzi pavoni basilischi pellicani unicorni) sono resi con imparziale esattezza scientifica e sembrano indicare il fondamento della sua disciplina fantastica: nell’osservare e nel descrivere precisamente è la matrice dell’invenzione.

Fresia Erésia, eteronimo di una poeta la cui identità è sconosciuta. Vive in subaffitto nella di lei soffitta, si ciba di versi sciolti, di tramonti e nuvole di panna. Nasconde le briciole dei tetti sotto la tovaglia e i trucioli di limature di strofe sotto il tappeto. Compone e scompone, mescola le carte, si cimenta e sperimenta.

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