LIBRI E BICICLETTA: il doppio percorso di Giovanni Scheiwiller

Ricordo benissimo come mi sono imbattuto per la prima volta nei libri pubblicati dalla casa editrice Schewiller: un maniaco bibliofilo, soprattutto se è di temperamento sentimentale, porta indelebile per tutta la vita la memoria di certi incontri.

Per ragioni che non sto a dirvi, ci fu un periodo durante il quale frequentai Napoli con assiduità e regolarità.
Ero ancora abbastanza giovane e quando vi capitai non avevo alcun ricordo di una città in cui ero stato da bambino, trascinato lì dai miei genitori e da tutta una loro combriccola, per la gita di un giorno.


A tanti anni di distanza naturalmente ne fui stregato: quella mistura unica di grandezza e degrado, di miseria e di regalità, di somma bellezza e di sommo abbandono, non poteva non condurre ad un innamoramento fulminante.
Compresi anche che i napoletani, al pari della città, erano anch’essi un frutto di straordinarie contraddizioni che si ricomponevano però in un’armonia strana, senza effetti stridenti.

A un giovanotto come me, nato e cresciuto con un amore viscerale e incrollabile per i libri, Napoli rivelò presto, quasi platealmente, uno dei suoi segreti meglio conosciuti: quella città è uno dei più seduttivi parchi giochi per bibliofili che ci sia in Italia.

Io mi ci persi. 

L’area compresa tra Port’Alba, Piazzetta Bellini e Piazza Dante risuonava dei canti e del suono di pianoforte che dalle finestre del Conservatorio si spandevano tra le vie, e parimenti si aveva quasi l’impressione di sentire il fruscio delle pagine dei libri antichi, sfogliate senza sosta da appassionati bramosi di alleggerirli dalla loro polvere, gli stessi che si attardavano febbrili nelle librerie antiquarie della zona.

Erano parecchie, con gli interni bui e caotici: libri, stampe e altre curiosità cartacee stipavano gli scaffali senza un ordine rintracciabile e questa confusione aveva l’effetto di stuzzicare i bibliofili, certi di imbattersi prima o poi in qualche folgorante sorpresa.
Come un cane da tartufo io mi afferravo ad ogni singola mensola, tirandone fuori ogni volume, cercando di stanare la preda a me destinata.
Le ore passavano veloci in quel modo.

L’interno della libreria Colonnese a Napoli

La mia libreria antiquaria preferita era quella di Gaetano Colonnese e di sua moglie Maria, due persone dalla gentilezza squisita, senza affettazioni: era difficile non avviare con loro una conversazione sul comune oggetto d’amore.
La loro passione, ancor più della non comune competenza, era la forza motrice di quella impresa familiare che, ad aumentare ulteriormente il suo prestigio ai miei occhi, svolgeva anche una parallela attività di casa editrice, pubblicando libri deliziosi di argomento per lo più napoletano.
Nella libreria Colonnese, che si trovava ed è tuttora in Via San Pietro a Maiella, la strada del Conservatorio, sulla quale affacciano molti negozi di strumenti e spartiti, io perdevo letteralmente la nozione del tempo.
Al contrario degli altri negozi di libri antichi, che come ho detto apparivano più caotici, quello era ordinatissimo, i libri ben tenuti e tutt’altro che polverosi.
Io mi allungavo come una molla per vedere i titoli di quelli più in alto e mi piegavo fino quasi a sdraiarmi per decifrare quelli degli scaffali più bassi, che arrivavano fin quasi a terra.

Il tossicchiare discreto di Gaetano Colonnese verso le tredici mi tirava via dalla tranche in cui ero caduto, segnalandomi con gentilezza che era l’ora di chiusura.
Fu proprio negli scaffali posti più in basso, nel settore vicino all’entrata della libreria, che un giorno mi accorsi della presenza di libricini minuscoli, dall’altezza minore di quella di una scatola di cerini.
Eccitatissimo, ne presi subito alcuni per osservarli meglio: erano meravigliosi.
Il primo che mi capitò in mano era scritto dall’umorista Marcello Marchesi, raffinato produttore di battute per storici periodici umoristici italiani, come “Il Bertoldo”, e apprezzato autore e attore di intelligenti trasmissioni di varietà.

Marcello Marchesi

Tutti lo ricordavano come “il signore di mezza età” in una di queste.

Quel piccolissimo miracolo editoriale e tipografico aveva per titolo: “Sancta publicitas” ed era una rassegna di freddure felicissime, corredate in ogni pagina da una specie di litania ininterrotta di preghiere simulate: “Ora pro paganda – Ora pro pilene – Ora pro boscide – Ora pro kofief” e così via.
Scoprii anche che la copertina su un acceso sfondo arancione portava stampato un disegnino di Cesare Zavattini.

Rimasi abbacinato da tanta grazia e guardai subito gli altri libricini.

Trovai piccoli racconti, proverbi di regioni e nazioni, un’antologia di pensieri di Beda il venerabile, poesie ed altro: accostati tutti insieme quei minuscoli gioielli prendevano pochi centimetri di spazio fisico e chilometri di spazio letterario, artistico, intellettuale.

“Sono quelli della Scheiwiller, – mi disse Colonnese, come se fosse ovvio conoscerli – li si trova anche sotto il marchio All’insegna del pesce d’oro”.

Quel giorno segnò l’inizio di una caccia, di una collezione: i libri di quella benemerita casa editrice erano tutti a tiratura limitata e di conseguenza quasi introvabili, ma negli anni, un po’ ovunque fosse possibile, riuscii a scovarne e oggi credo di possederne un centinaio.

Fu inevitabile a quel punto cercare di sapere chi fossero gli esaltati che avevano messo su una impresa così sprezzante delle convenienze spicciole, così puntata su qualità ed originalità: arrivai così a Giovanni Scheiwiller, il fondatore.

Giovanni Scheiwiller con i figli Vanni e Silvano

Era nato a Milano nel 1899, da genitori svizzeri, aveva frequentato le scuole elementari in Italia e il ginnasio in Svizzera, a Schwyz, imparandovi il tedesco, e a Einsiedein presso un monastero benedettino.
Nel 1908 iniziò la carriera di libraio a Ginevra presso la Librairie Durckhardt e un anno dopo entrò nella Libreria Internazionale Hoepli dove suo padre, perso precocemente, aveva lavorato per ben venticinque anni. Nel 1911 si trasferì per lavoro a Parigi, rimanendoci per pochissimo tempo, poi a Zurigo.

Giovanni Scheiwiller e Artemia Wildt

Nel gennaio del 1913, per la seconda volta entrò nella Libreria Hoepli di Milano.
L’abbandonò poi per lavorare a Madrid e a New York, per rientrarvi nel 1916 a dirigerne la sezione francese.
Nel 1926 gli fu concessa la cittadinanza italiana e il primo gennaio 1930 venne nominato Procuratore Generale della Casa Libraria Ulrico Hoepli.

Lavorerà nella celebre libreria milanese per quasi cinquant’anni, lasciandola definitivamente nel 1959.
La sua statura professionale, cresciuta con le qualificanti esperienze italiane ed internazionali e una non comune vivacità intellettuale, lo avevano condotto nel 1936 a fondare una sua casa editrice, All’insegna del pesce d’oro, inaugurata da un volumetto di poesie di Leonardo Sinisgalli.

Giovanni non si fermerà più, pubblicherà nei decenni qualche migliaio di libri, di tutti i formati, tutti di bassa tiratura, tutti assai raffinati nella veste editoriale: pane per appassionati e collezionisti, preziosi e quasi subito introvabili.
Scheiwiller era universalmente stimato e in virtù della sua professione aveva costruito nel tempo moltissimi e cordiali rapporti con scrittori, poeti, artisti.

Eugenio Montale

Parecchi di loro si presteranno a realizzare alcune delle idee azzardate, frutto delle sue originali ambizioni editoriali. Scheiwiller indurrà talvolta i pittori a scrivere per lui e i poeti a fare da illustratori: oltre al già ricordato Zavattini, perfino Eugenio Montale si prestò a disegnare qualche copertina dei libri del Pesce d’oro.
Prevalente nella linea editoriale della casa editrice è stata la scelta di occuparsi significativamente di poesia.
  

Furono pubblicati libri di versi di autori affermati, come Paul Valery, Stéphane Mallarmé, Ardengo Soffici, Sergei Esenin, William Butler Yeats, Sandro Penna, Alfonso Gatto, Louis Ferdinand Céline, Libero de Libero ed Ezra Pound, ma vennero considerati anche giovani poeti, premiandone la qualità, e sarà proprio la Scheiwiller a pubblicare le raccolte dei poeti vincitori del Premio Montale.
Ovviamente presenti nel catalogo della casa editrice anche opere di narrativa e, con peso pari a quello della poesia, le pubblicazioni d’argomento artistico.

Giovanni, sposato con Artemia Wildt, figlia del grande scultore Adolfo, ha poi avuto nel figlio Vanni un collaboratore devoto che è stato il continuatore naturale della sua opera dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1965. Molto più marginalmente collaborò con l’azienda di famiglia l’altro figlio Silvano in qualità di illustratore.

Il “Mea Culpa” di Céline illustrata da Silvano Scheiwiller

Alla denominazione storica della casa editrice All’insegna del pesce d’oro, con Vanni si affiancherà quella del nuovo marchio: Libri Scheiwiller.
Nella vita di Giovanni solo un’altra passione poté avvicinarsi per intensità al suo amore per i libri,

quella per la bicicletta.

Praticante anche della marcia, l’editore fu però talmente legato alla bici da essere identificato con essa.
Molti artisti importanti, nei loro svariati stili e linguaggi, dedicarono a Scheiwiller opere rappresentanti biciclette: Mario Sironi, Fausto Melotti e Giuseppe Viviani, tra gli altri; Raphael Alberti dedicò una sua poesia manoscritta e dipinta a “Giovanni Scheiwiller ciclista illustre” e Fabrizio Clerici ritrasse addirittura il libraio editore come una bicicletta.
La passione per quel mezzo portò Scheiwiller a compiere delle piccole imprese:
percorse in  bici la distanza tra Roma e Amsterdam e, cosa ancor più sensazionale, nel 1962, a settantadue anni, si recò in bicicletta da Milano a Oberburen, il paese d’origine di suo padre. Coprendo a tappe l’intero percorso in otto giorni, pedalò per complessivi settecento chilometri.


La storia della più raffinata casa editrice italiana è terminata qualche anno fa,
dopo la scomparsa di Vanni Scheiwiller, non trovando dopo due generazioni di editori una guida all’altezza della sua elevata tradizione.

Raffaele Carrieri, nel 1937 così scriveva di Giovanni Scheiwiller:

“La sua bicicletta è un simbolo metafisico. Scheiwiller ha messo le ruote e il manubrio a un teorema di Pitagora e ne ha fatto una bicicletta. Sono nati assieme in un giorno indefinito della creazione. Di profilo, si somigliano.

Se una domenica vedrete volare al di sopra dei tetti una bicicletta è la sua”.

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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