Stefano Porcari: libertà a Roma?

                                     

Umanista italiano, noto per un tentativo di insurrezione contro il potere pontificio, al fine di instaurare a Roma un governo repubblicano, simile a quello esercitato nel Trecento da Cola di Rienzo, Stefano Porcari, Figlio di Paluzzo di Giovanni di Nardo e di una Caterina, nacque a Roma nei primissimi anni del Quattrocento; i Porcari appartenevano al patriziato romano e il loro radicamento nel rione Pigna è attestato già dal Duecento con le lapidi tuttora conservate nella chiesa di San Giovanni della Pigna.  

Le lapidi nella chiesa di San Giovanni della Pigna

Stefano ricevette una educazione umanistica, prediligeva Cicerone, che sembrava riassumere le grandi virtù della romanità, ed ebbe modo di approfondire gli studi sulla Repubblica Romana divenendone un sincero ammiratore; la sua formazione politica e culturale avvenne nella Roma municipale che ancora inseguiva il sogno di un’autonomia, con un Comune già schiacciato dal potere pontificio, dopo l’atto di forza di Bonifacio IX nel 1398 e dopo il rientro dei papi a Roma da Avignone.

Il 10 agosto 1427, nella cappella di palazzo Colonna ai Ss. Apostoli e alla presenza di Martino V, fu celebrata l’investitura cavalleresca di Stefano Porcari; successivamente, trasferitosi a Firenze, fu eletto per due mandati consecutivi capitano del popolo, nel 1427 e nel 1428, grazie alla protezione di Papa Martino V, e per tale motivo viaggiò in Germania e in Francia.

Quando tornò in Italia nel 1430, ricoprì varie cariche pubbliche nei governi di vari Comuni italiani: fu podestà di Bologna, di Siena, di Orvieto e ricoprì anche l’ufficio di governatore della piazzaforte di Trani, dove passò un periodo di prigionia durante la sollevazione della città.

Papa Eugenio IV

Tornato a Roma, il ruolo più importante che Porcari svolse, ai tempi di Eugenio IV, riguardò la sua mediazione in occasione del breve esperimento della Repubblica Romana del 1434. Da una lettera del Traversari si apprende che Stefano cercò di far raggiungere un accordo tra le parti, prima che il papa riuscisse a sconfiggere la Repubblica e a riportare la città all’obbedienza, ma la trattativa non ebbe successo anche perché il papa non volle affidare Castel Sant’Angelo ad alcun cittadino romano.
A questi anni appartiene la notizia del matrimonio di Porcari con una ricca vedova. confermato da un atto notarile dell’aprile 1437, dove si racconta che egli aveva sposato Rita di Tuccio Caranzoni.

Stefano nel suo animo continuò a sognare con entusiasmo l’antica Roma repubblicana, quella che già avevano provato a reintrodurre con alterna fortuna Arnaldo da Brescia nel 1148 e Cola di Rienzo nel 1347, così che a instaurare un governo repubblicano ci provò una prima volta nel 1447, alla morte di Eugenio IV. Durante la sede vacante, spronò i romani alla riconquista delle antiche prerogative del Comune, esortandoli a “vivere ad capitulo con la ecclesia e lo sommo pontefice”, mirando cioè a una autonomia governativa comunale, con il pagamento di un tributo allo Stato pontificio.

Stefano Porcari in una figurina della Liebig.

Il nuovo papa, Niccolò V, anziché stroncare qualsiasi rivendicazione, nominò Stefano governatore della Campagna e Marittima; e lui tentò di approfittarne, così quando scoppiò una rissa a piazza Navona lui arringò la folla contro il governo pontificio; il papa allora lo spedì al confino a Bologna presso il cardinale Bessarione, qui pur essendo egli libero di muoversi all’interno delle mura cittadine, aveva l’obbligo di non lasciare la città senza previa autorizzazione e, per espresso volere del cardinale, legato pontificio in città, anche quello di presentarsi quotidianamente al suo cospetto.

Vedovo, nell’ottobre del 1450 Porcari sposò a Perugia Anna Boncambi, figlia di Boncambio, esponente dei popolari a Perugia che venne più volte colpito dalla repressione nobiliare e con l’esilio, ma che era stato senatore di Roma nel 1449. Eletto capo dei priori di Perugia nel 1452, Boncambio fu costretto a dimettersi nel 1453. Il matrimonio era certamente connesso con le alleanze fuori di Roma, che Porcari andava tessendo in vista di future azioni, e ciò è avvalorato da un particolare curioso: nel contratto matrimoniale stipulato, Boncambio prometteva una dote di 1000 fiorini, di cui 150 sarebbero stati dati in armature e attrezzature militari.

Busto di Stefano Porcari al Pincio, Roma

Intanto Stefano a Roma manteneva i contatti con quanti avessero le sue stesse idee, come il cognato Angelo di Maso e i nipoti Niccolò Gallo e Battista Sciarra, e con loro elaborò il piano per una congiura.
Questa iniziò con la fuga da Bologna, la notte del 30 dicembre 1452 e cinque giorni dopo l’arrivo a Roma, con l’obiettivo di una rivolta popolare che doveva scoppiare il 6 gennaio.
Il piano prevedeva l’arresto del papa e dei cardinali durante il pontificale della Epifania e l’occupazione di Castel Sant’Angelo, istigando i romani alla rivolta e proclamando la repubblica.
Porcari si sarebbe potuto in tal modo autonominare tribuno, proprio come aveva fatto Cola di Rienzo tempo prima; così lui e Angelo di Maso iniziarono a reclutare mercenari e a prendere contatti con i simpatizzanti: come accennato l’insurrezione sarebbe dovuta scoppiare pochi giorni più tardi in occasione della festa dell’Epifania.

Alla vigilia della rivolta il Porcari poteva contare su forze considerevoli: circa trecento armigeri e quattrocento congiurati.
La notte del 6 si riunirono in una settantina in casa di Angelo di Maso, nel rione Pigna, e Porcari si presentò con un abito dai drappi d’oro, sventolando una bandiera sulla quale era scritto “Libertà”.
Purtroppo la notizia della congiura giunse alle orecchie del cardinale camerlengo Ludovico Scarampi e fu riferita al papa, che decise di passare all’attacco.  

Ludovico Scarampi Mezzarota in un ritratto di Andrea Mantegna

Prima che il progetto potesse essere attuato, la casa venne circondata dalle truppe papaline; lo Sciarra riuscì a scappare, mentre Stefano cercò in un primo tempo di resistere, poi fuggì per raggiungere la casa di sua sorella, che era nelle vicinanze, che lo nascose in cantina, mentre molti congiurati vennero fatti prigionieri.

Ma il nascondiglio di Stefano non era sicuro e un suo amico Francesco Gabbadeo fu mandato dal cardinale Latino Orsini per implorarlo di nascondere Stefano nel suo palazzo per qualche giorno.
Il cardinale ascoltò la richiesta, ma costrinse Gabbadeo a dirgli dove fosse nascosto e così Porcari fu preso la notte del 6 gennaio e condotto a Castel Sant’ Angelo: lungo il percorso cercò di incitare la gente ai margini della strada ma nessuno si mosse: forse per paura, forse per indifferenza.

Stefano venne processato con procedura d’urgenza e condannato al capestro; la sentenza si ebbe la notte del 9 gennaio, tre ore prima dell’alba.

Queste furono le ultime parole pronunciate da Porcari sul patibolo:

“o populo, oggi muore il liberatore della tua patria”.

Abbattere il potere temporale dei papi e restituire Roma alla Libertas repubblicana, questo era il sogno di Stefano Porcari, infrantosi nel gennaio del 1453 e conclusosi con l’impiccagione del nobile romano sul più alto torrione di Castel Sant’Angelo, affinché tutta la città lo vedesse.
Il corpo fu lasciato appeso per tre giorni prima di essere rimosso e poi forse fu gettato nel Tevere.

Nello stesso giorno vennero impiccati anche Angelo di Maso e il figlio Clemente, mentre a Battista Sciarra fu tagliata la testa.
Tre giorni dopo, venne impiccato anche il Gabbadeo e la stessa sorte spettò a tutti gli altri congiurati arrestati, senza alcun processo.

Roma pontificia voleva cancellare per sempre ogni simbolo di libertà repubblicana: vennero così distrutte anche le case dei Porcari nel rione Pigna; rimase in piedi soltanto un caseggiato, che secondo la tradizione è quello dove Stefano nacque.

Ecco come Machiavelli nelle sue Istorie fiorentine raccontò la congiura di Stefano Porcari:

“e giudicò non potere tentare altro, che vedere se potesse trarre la patria sua di mano de’ prelati e ridurla nello antico vivere”.

Probabilmente molti cittadini, il cui coinvolgimento nella congiura non era del tutto palese, furono risparmiati da Niccolò V, che temeva che un numero eccessivo di condanne potesse causare una nuova rivolta.

Papa Niccolò V

L’atmosfera a Roma rimase molto tesa per diversi mesi, con una tangibile spaccatura tra la città e la Curia, come testimonia il “De Porcaria coniuratione” di Leon Battista Alberti

In effetti, tutto il progetto politico di Porcari era incentrato su una parola chiave:

Libertà.

Un ideale già presente nei discorsi pronunciati da Stefano a Firenze, in qualità di capitano del popolo, nel biennio 1427-’28, dove la libertà del regime repubblicano fiorentino veniva esaltata in implicita polemica con la condizione in cui versava la Roma dei papi, e che si rifaceva, per riprendere le parole di Machiavelli, “all’antico vivere”, ma nel modo peculiare dell’Umanesimo: non già ritorno al mondo classico ma un suo nuovo inizio; di questo ideale erano una prova inequivocabile le stesse frasi fatte inscrivere da Stefano su una serie di vessilli e persino sul vestito che avrebbe dovuto indossare il giorno della congiura:
Libertas, Senatus Populusque Romanus, Liberator Urbis, Summa Libertas, Libertatis Institutor“, mentre viva il populo et libertà!” doveva essere il grido con cui chiamare a raccolta la popolazione romana durante lo svolgersi della congiura.

Naturalmente, la propaganda filopapale ha tentato da subito di screditare Porcari, accusandolo di essere un nuovo Catilina, interessato solo ad arricchirsi aspirando a un potere personale, a voler diventare il nuovo “signore” di Roma. 
Non a caso, Anna Modigliani, forse la maggiore studiosa della congiura, ha messo in luce, a testimonianza dell’autenticità del progetto repubblicano di Porcari, la linea di continuità che univa i fatti del 1453 alla rivolta del 1434, quando, seppur per pochi mesi, con la cacciata del papa, Eugenio IV, era nata la Res Publica Romanorum.

Così, nel breve volgere di due decenni, si consumarono gli ultimi tentativi del repubblicanesimo comunale romano. I giorni della repubblica romana risorgimentale erano ancora molto lontani.

La “Confessione di Porcari” parlava delle intenzioni dei congiurati e i suoi contenuti sono sostanzialmente confermati dalle altre fonti. Ma l’ipotesi che si tratti di un documento manipolato in Curia e fatto circolare subito dopo gli eventi, rende necessario dubitare della sua piena aderenza a quanto il congiurato effettivamente confessò, tenuto anche conto che fu sottoposto a tortura.

Il solo Pio II, nel “De Europa”, con onestà negò risolutamente che Porcari volesse uccidere il papa.

Papa Pio II in un quadro del Pinturicchio

Nonostante il numero di fonti disponibili è difficile oggi stabilire con certezza tutti i propositi di Porcari; certamente, in linea con una lunga tradizione repubblicana affermatasi con la nascita del Comune nel 1143, egli intendeva liberare Roma dal governo pontificio, accettando il papa solo come capo spirituale, ma questo al papa non bastava di certo.

La difficoltà di appurare la verità è forse da attribuire al fatto che in Curia i propositi dei congiurati furono molto presto camuffati, modificati e adattati alle esigenze del papato e dei diversi soggetti coinvolti.
Il coinvolgimento nella Curia della maggior parte degli autori delle opere sulla congiura condizionò pesantemente i loro resoconti, segnati ora dalla prudenza, ora da un evidente intento di falsificazione.

Uno stemma della famiglia Porcari

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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