Vladimir Vysockij: l’urlo nel silenzio dell’est

‘’Sogno un gran falò
E brucio nel mio sogno
Aspetta un po’ col sonno poi
Il senno arriverà.
Ma all’alba niente va
No, nessuno danza
Ti alzi, fumi, e bevi un po’
Per smaltir la sbronza.’’

(ballata su temi tzigani)

Ha composto più di 700 canzoni e solo un pugno di esse è stata incisa su 45 giri mentre lui era in vita. Questa maledizione segna la nascita del mito di “Volodia” Vysockij prima nel suo mondo, quello allora definito d’oltrecortina, poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, in quello occidentale.

Vladimir Vysockij era nato il 25 gennaio 1938 nel centro di Mosca, figlio di un militare ebreo, sottotenente di carriera, e di una interprete di tedesco. Era uno dei peggiori periodi della storia sovietica, quello della paura, la tremenda stagione delle grandi “purghe” staliniane.

Nel 1946 i suoi genitori divorziarono e l’anno seguente il padre, trasferito in Germania Est, insieme con la nuova compagna, una donna armena, vi conduce anche il piccolo Vladimir.
Nel 1949 fecero ritorno a Mosca. Gli anni scolastici filarono via tranquilli, poi, nell’ultimo anno di liceo, il ragazzo cominciò a frequentare un circolo di teatranti. Avrebbe voluto continuare a recitare,  ma a causa dell’opposizione di suo padre finì per iscriversi ad un corso di ingegneria.
Venne subito bocciato al primo esame, cosa che gli fece comprendere che sarebbe stato meglio abbandonare la Facoltà e fare altro.   Si dette a quindi a studiare per entrare all’Istituto di Teatro  e nulla lo distolse più da questo progetto.

Nel 1960 Vysockij sposò una compagna di corso, scelta immatura che portò ad un altrettanto rapido divorzio l’anno successivo. Fu il periodo del suo incontro con il poeta e cantante Aleksandr Galič che lo incoraggiò a imparare a suonare la chitarra per accompagnare i versi che nel frattempo aveva iniziato a scrivere.

Volodia iniziò così a cantare, soprattutto canti di prigione e di malavita e quasi contemporaneamente debuttò come attore in ruoli minori, sia a teatro che in alcune produzioni cinematografiche. Nel 1961 scrisse la sua prima canzone: “Il Tatuaggio”.

Quasi per scherzo un suo amico registrò quella e altre sue canzoni e gradualmente iniziò una sorta di distribuzione “porta a porta”delle sue composizioni, fenomeno che contraddistinguerà tutta la carriera musicale di Vysockij.
In lui cominciò a manifestarsi un’energia anormale,una specie di “fuoco sacro” che lo portò a produrre e scrivere instancabilmente.

Scrisse di tutto: poesie, piccoli drammi, ma soprattutto canzoni.

Nel 1964, non tanto per le sue doti di attore quanto per la sua fama di cantante, venne assunto nel Teatro Taganka, anche se il direttore non era del tutto convinto del suo talento, trovando “eccessivo” il suo temperamento.

Il Teatro Taganka di Mosca

Nonostante queste perplessità, in un solo anno Visockij diventò uno degli attori principali del teatro, interpretando ruoli memorabili: Kerenskij nei “Dieci giorni che sconvolsero il mondo” e soprattutto “Galileo” nell’omonima opera di Brecht. Nel 1967 interpretò Majakovskij in una pièce intitolata: “Ascoltate Majakovskij” e subito dopo recitò nel “Pugachëv” di Esenin. Fu il suo trionfo come attore.

Marina Vlady,  famosa attrice francese di origine russa, che lo vide per la prima volta sulla scena, descrisse così la sua scoperta di questo attore:

Marina Vlady

“Sul palcoscenico si dibatte e urla un uomo a torso nudo, con le braccia e il petto stretti dalle catene. L’impressione è terrificante e scioccante al tempo stesso. Come tutti gli spettatori, anch’io sono scossa dalla forza dell’attore, dalla sua disperazione e dalla sua voce incredibile. La sua presenza sulla scena getta nell’ombra tutti gli altri: solo lui sembra captare la luce. Il pubblico, in piedi, applaude calorosamente’’.

Volodia conobbe l’attrice sul set di un film, intrecciando con lei una storia d’amore mentre continuava a lavorare come attore sia in teatro che sullo schermo. L’innamoramento per Marina, esaltandolo, spinse Vysockij ancora di più verso una instancabile frenesia lavorativa. Recitava, scriveva, componeva giorno e notte, fino  al punto da preoccupare la sua compagna per una salute minacciata dal disordine di vita e soprattutto dalle troppo frequenti bevute.

Intanto nell’Unione Sovietica venivano adottate delle misure che ostacolavano l’attività di artisti non sufficientemente ligi alle direttive governative e di conseguenza Vysockij non venne ammesso nell’Unione degli Scrittori. Si viveva nel periodo che venne definito della “stagnazione brezneviana” e si voleva in tal modo dare una stretta contro gli intellettuali indisciplinati, critici verso il verbo sovietico.

Leonid Breznev

Contro Vysockij, in modo più o meno diretto, venne organizzata una campagna stampa e coerentemente, da allora in poi, le autorità scelsero la strada del suo sistematico boicottaggio, negandogli ogni tipo di riconoscimento e logorando progressivamente la sua tenuta nervosa.

Certo gli restavano i concerti, e lui era capace di darne fino a quattro in un giorno, posto che qualche solerte funzionario non facesse in tempo a proibirlo. Le esibizioni dal vivo divennero la sua unica entrata economica.

Queste difficoltà finivano per incidere sul lato ombroso del suo carattere: Vysockij incappava in sbronze sempre più frequenti che indebolivano ancora di più la sua salute, rendendolo oltretutto indisciplinato e spesso inaffidabile. Si crearono di conseguenza dei problemi con Ljubimov, direttore della compagnia Taganka.

Il 1º dicembre 1970 sposò Marina Vlady, ma la coppia dovrà aspettare cinque anni per avere un appartamento a Mosca.
Nel 1971, dopo aver litigato con Ljubimov e la Vlady a causa delle sue intemperanze, forse per farsi perdonare, si impegnò a fondo nel recitare la parte di Amleto nell’allestimento fatto al Taganka in quella che risultò una delle sue interpretazioni più memorabili.

Un Amleto che imbracciava la chitarra era una assoluta novità e Volodia perfezionerà quel ruolo, lavorandoci fino alla fine. Fu l’ultima parte che recitò prima di morire.

Nel 1975, grazie al fatto di essere sposato con una straniera, Marina Vlady, iscritta al Partito Comunista Francese, ottenne il passaporto e poté viaggiare all’estero, ma non approfittò mai di tale libertà per abbandonare l’Urss cercando asilo politico in Occidente.

I continui viaggi e la crescente sregolatezza portarono Vysockij ad allontanarsi dalla severa disciplina del teatro, con la quale si rapporterà in maniera sempre più travagliata. Nel 1977 recitò l’Amleto in Francia, scomparendo all’improvviso dalla scena: venne ritrovato all’alba del giorno successivo, completamente ubriaco. L’impressione di non avere tempo si accrebbe in lui fino a divenire una ossessione: sembrava quasi consapevole di una fine imminente.

In patria era ormai una leggenda, anche se non sbandierabile, e le sue canzoni più venivano ufficialmente bandite e più divenivano popolari, cantate in privato da tantissimi suoi connazionali. Stilisticamente Vysockij era al centro della cultura russa. È stato forse il più grande poeta popolare russo dell’era brezneviana e non era un fatto secondario che abbia usato proprio le canzoni come forma privilegiata della sua espressione artistica. Alla fine non esistevain Russia chi non le avesse mai ascoltate.

Perfino i dirigenti politici che lo boicottavano ne subivano segretamente il fascino, al punto da chiedergli spesso dei concerti privati, cosa che Vysockij puntualmente rifiutava.

Era amato dagli intellettuali, dagli artisti, ma anche dal popolo, dagli operai più umili e decentrati nell’immenso territorio delle Repubbliche Sovietiche. Lo conoscevano i minatori, i cercatori d’oro della Siberia, i cosmonauti, i marinai di qualunque rotta, e perfino le navi da pesca ai confini del mondo.

Gli astronomi di Crimea battezzarono un planetoide col nome di Vladvysockij.
Nel 1979 venne salvato in extremis dopo una crisi cardiaca, fatto più che prevedibile visto che al bere smodato si era aggiunta la dipendenza dalla morfina.

Il 25 luglio 1980, mentre a Mosca erano in corso le Olimpiadi e la città era stata ripulita da presenze “fastidiose” allontanando tante figure di non allineati, Vladimir morì per un arresto cardiaco.

Da non molto aveva compiuto i quarantadue anni.

Le sue esequie divennero una spontanea manifestazione di massa, e il suo feretro venne seguito da una fila di persone lunga nove chilometri.  

La sua tomba ancora oggi è metà di pellegrinaggi e ogni giorno vi si trovano fiori freschi. Tale è la forza del mito di Volodia, che nel 2008, nell’anniversario della sua nascita, Piervij Kanal, il più importante canale tv russo, gli ha dedicato la programmazione dell’intera giornata. Anche il presidente Putin  volle ricordarlo con un omaggio alla memoria.

Racconta il critico Gino Castaldo:

“Per trovare qualcosa di simile in Italia dovremmo fondere Carmelo Bene, Francesco Guccini, Piero Ciampi e Pier Paolo Pasolini, un compito praticamente impossibile, come in un certo senso impossibile‚ eppure reale‚ era Vysotsky”.

A Vladimir Vysotskij è stato attribuito nel 1993 il Premio Tenco alla memoria.  Al momento dell’assegnazione, alcuni dei più validi cantautori italiani tennero un concerto interpretando le sue canzoni e registrando un cd dal titolo: “Il volo di Volodia”.

con tutto il mio sudore, come un contadino al campo

‘’…il ghiaccio sopra me si spezzerà d’un colpo…
farò ritorno a te, come le navi del mio canto
ricordandomi tutto, anche i versi più antichi…
ho meno di mezzo secolo e più di quarant’anni
e da dodici vivo grazie a te e grazie a dio..
e ne avrò da cantare io, di fronte all’eccelso
e di che giustificarmi quando sarò dinanzi a lui…’’

(un’ultima canzone ancora)

Cavalli bradi:

Lungo un dirupo, sull’orlo del precipizio, proprio sull’orlo,
Io sprono i miei cavalli e li sferzo con la frusta…
L’aria mi manca, bevo il vento, ingoio la nebbia,
Mi perdo fiutando l’estasi della morte.

Un po’ più adagio cavalli, un po’ più adagio!
Non sentite lo sferzare!
Ma che cavalli bradi mi sono dati in sorte!
E non sono riuscito né a vivere né a cantare fino in fondo.

Abbevererò i cavalli, finirò di cantare la strofa
Resterò ancora un istante sull’orlo…

Sono perduto, l’uragano mi spazzerà via come una piuma
E al mattino mi trascineranno al galoppo sulla neve.
Cavalli miei, rallentate un po’ il passo!
Prolungate ancora un po’ la via verso il mio ultimo rifugio!

Un po’ più adagio, rallentate l’andatura!
Né la frusta né la sferza vi danno ordini.
Ma che razza di cavalli mi sono  mai capitati!
E non sono riuscito né a vivere né a cantare fino in fondo.

Abbevererò i cavalli, finirò di cantare la strofa
Resterò ancora un istante sull’orlo…

Ce l’abbiamo fatta, come invitati di Dio arriveremo senza ritardo.
Perché però gli angeli in coro hanno voci così cattive?!
È un sonaglio che singhiozza con violenza,
O sono io che urlo ai miei cavalli di non trascinare così in fretta la slitta?!

Un po’ più adagio cavalli, un po’ più adagio!
Vi supplico di galoppare, non di volare!
Ma che razza di cavalli bradi mi sono capitati!
Che almeno avessi potuto finire di cantare, se non sono riuscito a vivere fino in fondo!

Abbevererò i cavalli, finirò di cantare la strofa
Resterò ancora un istante sull’orlo…

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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