John Kennedy Toole, un genio compreso troppo tardi

Molti anni fa, credo fossero i tardi anni Ottanta, incappai, credo per opera di mio fratello che ne sentì parlare per primo e che lo portò in casa, nel romanzo di uno sconosciuto scrittore americano, e ricordo che ebbi  l’impressione che quest’opera dovesse essere di nicchia anche in patria.
Seppi dopo che non era così, o almeno non più.
La copertina di quell’edizione italiana era spartana, tinta unita verde col titolo stampato in giallo sopra: “Una congrega di fissati”.
L’autore del libro era un certo John Kennedy Toole.
Molta della letteratura americana rimaneva fuori dai miei gusti letterari del tempo ed essendo allora un lettore vorace ma che doveva ancora masticarne di libri prima di poterne dare un giudizio meno tranchant, mi dichiaravo senz’altro antiamericano e filoeuropeo nelle scelte di lettura. Qualcosa però in quel romanzo mi attirava.

Succede spesso che non si sia in grado di spiegare il motivo di certe attrazioni letterarie ed evidentemente in molti casi sono provocate da qualcosa che resta sottotraccia, inconscio: non sappiamo dire insomma quale elemento di un libro che non conosciamo ci attragga.
Qualcosa tuttavia ci deve  necessariamente essere, se poi è in grado di indurci davvero a farcelo leggere.
Sesto senso di lettore?
Volendo potremmo anche chiamarlo così, in mancanza di spiegazioni più articolate.
Quella volta non mi pentii assolutamente di aver dato retta a quell’invito sotterraneo: il romanzo che lessi allora ancora oggi mi sembra uno dei lavori più geniali ed originali in cui io sia mai incappato. 
Naturalmente cercai notizie sul suo autore, John Kennedy Toole: erano scarsissime e parlavano comunque di una personalità bizzarra come il suo parto letterario, e tormentata dalla coscienza della sua stessa singolarità.

John Kennedy Toole

La prima cosa che mi colpì in quelle rare note biografiche fu che lui non avesse pubblicato nulla in vita e che oltre a quel romanzo, di suo si conoscesse solo un’altra opera: “La Bibbia al neon”.
Parlare di questo scrittore significa quindi riferirsi unicamente a due libri, uno solo dei quali ha lasciato un segno forte nella letteratura americana ed in quella mondiale. 

Se c’è un tratto distintivo in grado di caratterizzare l’infanzia di John Kennedy Toole, nato a New Orleans nel dicembre del 1937, questo è il grande isolamento in cui crebbe, anzi nel quale venne cresciuto. Letteralmente in balia di sua madre, Thelma Ducoing Toole, da lei gli vennero concesse pochissime occasioni di giocare con i suoi coetanei.

Thelma Ducoing Toole

Ansiosa e conseguentemente iperprotettiva, la donna da un lato non si rendeva conto dei danni psicologici che andava producendo, dall’altro aveva una qualche coscienza della genialità del bambino, dote di cui si vantava con molti conoscenti.

Il piccolo John mascherato da messicano

Terminati gli studi dell’obbligo, Toole si laureò e completò un master presso la Columbia University, divenendo assistente di inglese alla University of Southwestern Louisiana.
Di indole inquieta, lo scrittore, si arruolò nell’esercito e venne spedito a Porto Rico dove insegnò inglese alle reclute di madrelingua spagnola.

John Kennedy Toole insegna inglese a Fort Buchanan,
Porto Rico – 1961-63 – (Photo courtesy of Louisiana Research Collection)

Terminato il periodo militare tornò nella città natale, New Orleans, vivendo sotto lo stesso tetto dei suoi genitori.
Per tirare avanti insegnava inglese al Collegio Domenicano, e nel tempo libero bazzicava i locali ed i musicisti del quartiere francese della città, il più vivace ed eterogeneo.
Ma le sue esperienze lavorative non si limitarono all’insegnamento e per secondo lavoro fece il venditore di tamale, le focacce degli indios, negli angoli delle strade e fu anche operaio in una fabbrica di vestiti da uomo. Aveva già cominciato a scrivere il suo romanzo per eccellenza, ed in alcune scene, quelle più divertenti, Toole vi trasfuse alcune delle esperienze che gli provenivano dai suoi eterogenei lavori.
Come scrittore era del tutto sconosciuto, ma aveva piena coscienza del valore letterario del suo libro, senza falsa modestia lo riteneva un capolavoro.

John Kennedy Toole

Fu così che quando inviò il manoscritto alla importante casa editrice newyorchese Simon & Schuster, ricevendo un rifiuto di pubblicarlo perché secondo il lettore che lo aveva esaminato “Non parlava di niente”, Toole subì un contraccolpo psicologico mortale.
Iniziò per lui un percorso autodistruttivo: il venir meno della speranza di veder pubblicato il suo libro, essendo ben cosciente del suo livello artistico, lo distrusse, spingendolo verso l’alcolismo.
Lasciò ogni occupazione e apparentemente scomparve dalla città.
Il 26 Marzo del 1969 John Kennedy Toole venne trovato morto per afissia nella sua auto: aveva collegato con un tubo la marmitta all’interno dell’abitacolo.

Thelma Ducoing Toole

Sua madre successivamente, per motivi sconosciuti, distrusse l’ultimo messaggio lasciato dal figlio, dandone poi versioni contrastanti.
Secondo alcuni biografi il suo suicidio sarebbe da mettere in relazione al fatto che Toole non accettasse la sua omosessualità, ma di questo ipotetico orientamento sessuale non si è trovata mai alcuna conferma, ed è stato anzi decisamente smentito da alcuni suoi commilitoni del periodo servizio militare.
Oltretutto, parecchie testimonianze fornite da chi lo conobbe personalmente, riferirono di un suo amore folle e duraturo per Marilyn Monroe.
Quello che è certo è che una figura invadente come quella della madre sia stata decisiva nel tenere distante Toole da compagnie femminili.
Alla iperattività di Thelma Toole si deve comunque il fatto che infine le opere di suo figlio fossero pubblicate e conosciute.

Walker Percy

Dopo la morte di John, la donna infatti insistette moltissimo con Walker Percy, scrittore e membro di facoltà presso la Loyola University di New Orleans, perché leggesse il manoscritto.
Dopo un’iniziale ripugnanza ad occuparsi di quei fogli “unti e illegibili”, Percy si innamorò del romanzo che venne dunque pubblicato nel 1980, undici anni dopo la scomparsa del suo autore.
Il successo del libro fu tale che gli venne attribuito postumo il Premio Pulitzer.

Successivamente venne pubblicato anche “La Bibbia al neon”, opera scritta a sedici anni che non aveva del tutto convinto Toole il quale in effetti mai provò a darla alle stampe.
Da quest’ultimo libro nel 1995 venne tratto un film. 

Il romanzo capolavoro dello scrittore americano, eccentrico, scorretto ed esilarante in più parti, è stato ripubblicato in Italia dalla casa editrice Marcos y Marcos col titolo di “Una banda di idioti”.
Il romanzo si incentra tutto sulla figura pachidermica di Ignatius Reilly, trentenne irrealizzato e pigro, che vive ancora con sua madre, una specie di colossale bradipo, incapace perfino di trovare la voglia di cercarsi un lavoro. 
Intellettualmente ricco però, ed attratto da un universo culturale molto composito, nel quale trovano posto anche forti suggestioni mistiche, da medioevo europeo, Reilly è convinto che essendo un genio tutti gli idioti complottino contro di lui.

Rappresentazione teatrale di “Una congrega di fissati” con l’attore Nick Offerman nella parte di Ignatius J. Reilly.
Photo: T. Charles Erickson

Dal canto suo, pur impantanato in un’indolenza marchiata dal suo vertiginoso lasciarsi andare, Ignatius, tra rutti e flatulenze, combatte la sua battaglia contro un’America a suo dire, “priva di geometria e teologia”.

Misto di Don Chisciotte, Ollio e Dottori e mistiche della Chiesa medioevale, l’indimenticabile protagonista del romanzo viene attorniato da un universo di personaggi curiosi e memorabili in una New Orleans stralunata.
Se avete in antipatia la dozzinalità, avrete un motivo decisivo per andare ad incontrare Ignatius Reilly nel suo covo. 

Lallo Tarallo, giovane sin dalla nascita, è giornalista maltollerato in un quotidiano di provincia.
Vorrebbe occuparsi di inchieste d’assalto, di scandali finanziari, politici o ambientali, ma viene puntualmente frustrato in queste nobili pulsioni dal mellifluo e compromesso Direttore del giornale, Ognissanti Frangiflutti, che non lo licenzia solo perché il cronista ha, o fa credere di avere, uno zio piduista.
Attorno a Tarallo si è creato nel tempo un circolo assai eterogeneo di esseri grosso modo umani, che vanno dal maleodorante collega Taruffi, con la bella sorella Trudy, al miliardario intollerantissimo Omar Tressette; dall’illustre psicologo Prof. Cervellenstein, analista un po’ di tutti, all’immigrato Abdhulafiah, che fa il consulente finanziario in un parcheggio; dall’eclettico falsario Afid alla Signora Cleofe, segretaria, anziana e sexy, del Professore.
Tarallo è stato inoltre lo scopritore di eventi, tra il sensazionale e lo scandaloso, legati ad una poltrona, la Onyric, in grado di trasportare i sogni nella realtà, facendo luce sulla storia, purtroppo non raccontabile, di prelati lussuriosi e di santi che in un paesino di collina, si staccavano dai quadri in cui erano ritratti, finendo col far danni nel nostro mondo. Da quella faccenda gli è rimasta una sincera amicizia col sagrestano del luogo, Donaldo Ducco, custode della poltrona, di cui fa ampio abuso, intrecciando relazioni amorose con celebri protagoniste della storia e dello spettacolo.
Il giornalista, infine,è legato da fortissimo amore a Consuelo, fotografa professionista, una donna la cui prodigiosa bellezza riesce ad influire sulla materia circostante, modificandola.

Lallo Tarallo è un personaggio nato dalla fantasia di Piermario De Dominicis, per certi aspetti rappresenta un suo alter ego con cui si è divertito a raccontarci le più assurde disavventure in un mondo popolato da personaggi immaginari, caricaturali e stravaganti

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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