La macchina del tempo inceppato

Se la vittoria della lista civica che ha espresso il Sindaco Damiano Coletta ha rappresentato un fatto rivoluzionario per la città di Latina, una spinta ideale dal basso, una assoluta novità in tema di partecipazione e risposta della cittadinanza, con istanze fortissime di cambiamento di rotta, potete immaginare quanto risulti ora singolare che, quasi a voler negare la spinta propulsiva che ha spazzato via la vecchia politica, oggi la destra locale riavvolga il nastro indietro e riproponga, incurante di quanto avvenuto, colui che di quella vecchia politica è stato l’emblema: l’ex sindaco Zaccheo. Questo volgersi indietro starebbe a dimostrare l’incapacità di innovare, di chiudere definitivamente una stagione e aprirne una nuova, realmente proiettata verso il futuro, e contestualmente confermerebbe la mancanza di autonomia decisionale della destra latinense, che subisce l’ennesimo dictat dall’alto: anche stavolta infatti sono stati scomodati i vertici da Roma.

Ma non è tutto, questa vicenda mi suggerisce l’idea di un vecchio film, “Ritorno al Futuro”, dove si narra la storia surreale, e anche molto divertente, di uno scienziato che ha ideato un’auto capace di viaggiare nel passato; si trattava di viaggi avventurosi intrapresi a volte proprio con la finalità di riuscire a cambiare il futuro. Mi spiego meglio, per chi non lo ricordasse, nel film si poteva tornare a ritroso nel tempo, al momento preciso in cui accadevano eventi o si prendevano decisioni importanti, che avrebbero influito negativamente sulla storia futura, con l’intento di modificarli, per imprimere una svolta diversa e migliorare il futuro. Insomma, una sorta di applicazione pratica del senno di poi, tutto possibile per merito della fantascientifica macchina del tempo!

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Invece, qui in città, questo ritorno al passato non reca assolutamente il medesimo “colore”, sbiadisce, anzi, in un grigio già visto, in un trito e ritrito già sentito, senza novità, quasi si potesse cancellare con un colpo di spugna tutto quanto è stato.

Già si profilano repliche a suon di slogan, che non promettono nulla di buono; evidentemente l’auto brevettata dallo scienziato si è inceppata, ancorandosi esattamente a 11 anni fa, e i suoi viaggiatori, un po’ attoniti e poco attenti, non sanno far altro che reinterpretare loro stessi, quasi non avessero vissuto alcuna esperienza in modo critico, anzi… Quella che viene spacciata per visione della città altro non è che la minestra riscaldata dei vecchi fallimenti, in una sorta di vortice di ricordi che non ha semplicemente un sapore un po’ retrò, questo passi pure, ma ha soprattutto l’amaro gusto di una mancata analisi degli errori del passato. Errori che pertanto sono destinati a ripetersi.

Ci troviamo di fronte a una destra che, tra esternazioni nostalgiche e populiste, riesumate per darsi un tono, e ammiccamenti azzardati ad una certa storia, vuole cristallizzare il tempo e fingere che non sia successo niente: se pure fosse successo qualcosa, loro non c’erano, viaggiavano in un tempo parallelo, dissociati da sé stessi.

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

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