Ho un problema con i luoghi comuni: primo, perché solitamente sono troppo affollati e già per questo, essendo agorafobica, cerco di evitarli; secondo, perché sono invasivi. Nonostante l’apparenza innocua, infatti, hanno condizionato generazioni, sono stati tramandati di padre in figlio e, imperituri, hanno colonizzato ampie porzioni di cervello, sin dalla nostra infanzia. Il condizionamento è arrivato a un punto tale che, quando ci somministrano un luogo comune, ci troviamo subito spiazzati; molti annuiscono automaticamente, come per un riflesso condizionato; coloro che invece non annuiscono o non riescono a controbattere, se lo fanno vengono immediatamente messi al bando, schedati come pericolosi sovversivi.
Questo per me è argomento assai spinoso, che mi preme affrontare, allo stesso modo in cui premerebbe a chiunque togliersi una spina che continua a pungolare, conficcata da qualche parte.
Veniamo al dunque. È luogo comune, tra gli altri assai diffuso, il richiamo alle radici, a una storia (magari rivista con gli occhi della nostalgia) che non si cancella, a una presunta identità immodificabile; da qui la rivendicazione di monumenti, intitolazioni e qualsivoglia altro segno che evochi il passato, come intoccabili, inamovibili; tutto ciò senza tener conto che in realtà questi simboli non sono la Storia (che invece dovremmo studiare per conoscere) ma sono ciò che è stato posto dagli uomini a celebrazione di un dato momento della Storia.
Celebrare la Storia è di fatto un’operazione culturale, frutto di un sentire transitorio, e infatti ciò che riguarda la Cultura non è mai qualcosa di immutabile, ma esattamente il contrario. Non esiste niente di più mutevole e in divenire della Cultura, e lo vediamo ogni giorno, basta mettere a confronto le diverse generazioni.
Scrive il filologo Maurizio Bettini: “Da che mondo è mondo, i luoghi e le culture di chi li abita sono sempre mutati, con maggiore o minore velocità”.
Proprio perché la Cultura non è qualcosa di rigido, ma è fluida e in evoluzione continua, richiamarsi ai simboli, decontestualizzati dalla realtà del proprio tempo e dalla Cultura che nel frattempo è mutata, sarebbe nient’altro che una forzatura, un atteggiamento fortemente anacronistico, soprattutto se quei simboli non corrispondono ai valori (questi sì davvero importanti) contemporanei condivisi; insomma non soltanto non si è al passo coi tempi ma si va contro i tempi.
Così è stato per l’iniziativa del Sottosegretario Durigon di chiedere di (re)intitolare ad Arnaldo Mussolini il parco comunale di Latina, che, dopo un lungo periodo senza nome, oggi è giustamente intitolato ai giudici Falcone e Borsellino.
Questa sortita di Durigon, priva di ogni contemporaneità e di un minimo buon senso, potrebbe benissimo essere stigmatizzata con le parole che ebbe a dire lo storico Carlo Greppi:
“è un modo per circoscrivere un territorio, marcarlo, come un cane che alza la gamba per dire: Qui ci sono io”.
Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale