“Finalmente Beiderbecke ha tirato fuori una cornetta d’argento. Ha messo le sue labbra e ha fatto esplodere una frase. Il suono è venuto fuori come quando una ragazza dice di sì.”
(Eddie Condon)
Leon Bismark Beiderbecke, detto Bix, figlio di immigrati tedeschi, nato a Davenport nell’Iowa il 10 Marzo 1903, fu un importantissimo jazzista, cornettista, pianista e compositore.
Con Louis Armstrong e Muggsy Spanier è considerato uno dei musicisti solisti che hanno maggiormente influenzato il jazz degli anni Venti.
Nel 1913 sui giornali locali della sua città, già si leggeva di questo bambino prodigio capace di riprodurre a orecchio qualsiasi melodia, che si era appassionato precocemente alla musica e imparato a suonare il pianoforte da autodidatta.
Sempre da autodidatta, intorno ai 15 anni, iniziò lo studio della tromba, colpito dall’ascolto di un disco di Nick La Rocca.
Ascoltava spesso anche le bands che suonavano a bordo dei battelli che risalivano il Mississippi.
Altri suoi maestri furono Louis Armstrong, Joe “King” Oliver e il clarinettista Leon Roppolo.
Bix aveva una notevole cultura, ammirava tra l’altro gli scrittori europei, avvicinandosi anche alla musica colta europea, in particolar modo all’impressionismo, di cui assorbì l’atmosfera sognante e decadente, oltre a certe soluzioni armoniche che caratterizzarono poi la sua musica.
Tra i musicisti europei ammirava specialmente Debussy e Ravel.
I suoi genitori non approvavano però la sua passione e nel 1921 lo costrinsero ad entrare in una accademia militare fuori da Chicago.
Bix, di conseguenza, cominciò subito a bazzicare quella città, e tutte le volte che se ne presentava l’occasione, andava nei locali ad ascoltare la musica che suonavano le jazz bands.
Troppo spesso rientrava al college in ritardo oppure era assente alle lezioni del giorno dopo.
Questa situazione durò finché la direzione del college lo invitò ad abbandonare l’istituto, visto il suo scarso profitto.
Fu così che nel 1923 Bix decise di diventare un musicista a tempo pieno.
Formò con il batterista Walter Cy Welge la “Cy-Bix Orchestra” e fece anche parte della “Ten Foot band”.
Nell’Ottobre del 1923 fondò infine “The Wolverines”, suonando a volte anche con Muggsy Spanier.
Non sapendo leggere la musica doveva imparare a memoria i suoi stessi arrangiamenti.
Nel 1924 Bix iniziò a incidere con i Wolverines: furono loro i primi bianchi di spicco che suonavano jazz pur non essendo nati a New Orleans.
Utilizzavano come sigla il brano Wolverine Blues di Jelly Roll Morton, che forse diede il nome alla band.
Grazie a queste registrazioni Bix divenne un musicista famoso e ricercato sia a Chicago, sia a New York.
In quegli anni Beiderbecke e i suoi compagni entrarono in contatto con Hoagy Carmichael che rimase fortemente impressionato dallo stile di Bix, tanto che disse di lui, dopo averlo ascoltato:
“Le note non erano soffiate erano colpite, come un martello colpisce una campana, ed il suo tono aveva una ricchezza che può venire soltanto dal cuore. Mi alzai di scatto dal sedile del piano e caddi sfinito su un divano. Mi aveva completamente rovinato“.
Beiderbecke fu uno dei primi bianchi ad esibirsi in jam sessions con musicisti di colore, cosa tutt’altro che scontata allora.
Nel 1926 formò la “Bix Beiderbecke Gang”, ma la tappa fondamentale per il suo sviluppo artistico fu l’incontro con il sassofonista Frankie Trumbauer, con il quale suonò sia nel complesso che portava il suo nome, che nell‘orchestra di Jean Goldkette dopo lo scioglimento di quel gruppo.
Quello fu il periodo delle sue più belle incisioni, che compresero brani di notevolissimo valore come “Trumbology”, del ’27, nella quale Trumbauer mostrava la sua grande tecnica e “Singin’ the blues”, un commovente, intenso capolavoro di grande pregnanza artistica.
Tra il 1927 ed il 1928 Bix entrò a far parte della famosa orchestra di Paul Whiteman, e contemporaneamente continuò ad incidere dischi con Trumbauer e con altri suoi vecchi compagni.
Sono di questi anni alcuni dei suoi indiscussi capolavori: “I’m coming Virginia”, “Way Down Yonder in New Orleans” e “Goose Pimples”.
Bix in quegli anni potè finalmente studiare la teoria musicale, abbastanza per farsi assumere di nuovo da Jean Goldkette per un breve periodo, prima firmare il contratto nel 1929 come cornetta solista dell’orchestra di Paul Whiteman.
L’orchestra di Whiteman era quella più popolare in assoluto negli anni ’20 e Bix godette del prestigio e dei soldi che ricavò suonando con un’istituzione musicale così importante.
Nel 1929 il bere, suo vecchio vizio, cominciò ad avere la meglio sul suo fisico, così Bix iniziò a soffrire di attacchi di delirium tremens.
Ebbe un crollo nervoso mentre suonava con l’orchestra di Whiteman, in seguito al quale fu spedito dai suoi genitori a Davenport, nello Iowa, per disintossicarsi.
Va sottolineato che Paul Whiteman fu molto comprensivo con Bix durante le sue lotte per disintossicarsi: mantenne a lungo Bix a paga piena dopo che la sua crisi lo aveva fatto allontanare dall’orchestra e gli promise che il suo posto sarebbe stato sempre libero nell’orchestra.
Bix purtroppo non era ormai più lo stesso e non tornò mai più con loro.
La stima di Whiteman era comunque più che fondata: Beiderbecke era il più talentuoso musicista jazz di Chicago, e suonava scale inaudite che precedettero nel tempo la tecnica di tutti i suoi contemporanei.
Nel 1930 Beiderbecke andò a New York suonando insieme al suo amico Hoagy Carmichael ed altri sotto il nome di “Bix Beiderbecke e la Sua Orchestra”.
Prevalentemente però se ne stava chiuso dentro una stanza che aveva affittato nel Queens, posto nel quale continuava a bere molto e a lavorare al suo pianoforte.
Per quello strumento scrisse brani bellissimi, come “Candlelight”, “Flashes”, e “In The dark”, materiale che Bix non ebbe il tempo di incidere.
La sua carriera di musicista infatti venne spesso interrotta dai suoi problemi di salute.
Morì nell’ appartamento di un suo amico, il bassista George Kraslow.
Anche negli ultimi giorni della sua vita, nonostante fosse così seriamente ammalato, si alzava a suonare la cornetta alle 3,00 o alle 4,00 del mattino.
Fa impressione ancora oggi la sua vita, dissipata dalla dipendenza dall’alcool: ne beveva in tale quantità da vuotarne un gran numero di bottiglie nella vasca da bagno, per formare così una cospicua riserva dalla quale attingeva con un mestolo.
Morì, come si è già detto, a soli 28 anni nel 1931.
La causa ufficiale della morte fu una polmonite aggravata da un edema al cervello, ma in realtà tutto il suo fisico aveva ceduto e Bix ormai non ce la faceva più.
Del resto il musicista aveva sofferto di problemi di salute fin dall’infanzia e certamente uno stato già precario non poteva non essere aggravato dall’alcolismo, un vizio incentivato sia dal proibizionismo che segnò quell’epoca, che dalla sua attività musicale che si svolgeva prevalentemente nei nights, locali nei quali l’alcool scorreva a fiumi.
Con i suoi brani Bix inventò lo stile delle cosiddette ballate, che molto tempo dopo, negli anni Cinquanta diedero vita al cool jazz.
“In a Mist”, una sua composizione per piano incisa l’otto Settembre del 1927, potrebbe da sola dare un’idea della musica di Beiderbecke, in cui si mischiano influenze classiche e jazz sincopato.
Il 15 Settembre del 1930 fu Bix Beiderbecke a suonare la cornetta nella versione originale di una nuova composizione di Hoagy Charmichael intitolata “Georgia on my mind”, che venne incisa per la Victor. Oltre a Bix l’ensemble comprendeva Hoagy alla voce; Eddie Lang alla chitarra; Joe Venuti al violino; Jimmy Dorsey al clarinetto e al sax alto; Jack Teagarden al trombone e Bud Freeman al sax tenore.
Il brano, inciso come si vede da strumentisti eccelsi, passerà alla storia come uno dei grandi classici nella storia della musica mondiale.
Bix, col suo romanticismo denso di nostalgia e di malinconia, seppe stregare il mondo intero.
Era un artista dalla sensibilità acutissima, unita ad una viva e drammatica malinconia.
Non fu un virtuoso del suo strumento (per molti anni suonò la cornetta, simile alla tromba ma dal suono più scuro e per certi versi malinconico) nel senso tradizionale del termine, ma pur essendo autodidatta e privo di studi accademici tradizionali, sviluppò una tecnica molto personale e particolare, che gli permise sempre di esprimere senza difficoltà la sua raffinata poetica musicale.
Fu un perfezionista, sempre alla ricerca di nuove forme e quasi sempre insoddisfatto dei risultati raggiunti, tanto che, nella qualità delle sue esecuzioni, si registrava un costante progresso, anche sul piano tecnico. Paragonando le le sue capacità espressive e strumentali al tempo delle incisioni con i “Wolverines” alle sue ultime con Trumbauer o con Whiteman, non si può non notare una evoluzione impensabile per chiunque in così pochi anni.
Fu il musicista bianco che per primo seppe pescare nel folklore nero trasmettendolo al grande pubblico bianco statunitense ed europeo e fu
ancora lui a traghettare la musica sua contemporanea dal dixieland al jazz, aprendo le porte a ciò che molto tempo dopo fu il cool jazz della west-coast.
Partendo dalla stessa sensibilità ha conferito un’eleganza prima sconosciuta al suono della tromba nel jazz.
I suoi assolo erano indimenticabili per chiunque li ascoltasse, così perfetti e incisivi da oscurare il lavoro di tutti gli altri musicisti delle band con cui si esibiva.
I jazzmen di allora dicevano che la vita non era più la stessa dopo che avevi sentito Bix Beiderbecke suonare quattro note con la sua cornetta.
Nella sua biografia, Hoagie Carmichael dice che a decenni dalla sua morte, ad Harlem, a Hollywood, a Chicago e nei Jazz club di Parigi in cui la gente si riuniva per ascoltare i suoi dischi, tutti parlavano ancora di Bix Beiderbecke.
Il suo suono pulito e i suoi attacchi dal tempo perfetto furono caratteristiche che colpiscono anche l’ascoltatore di oggi.
Del resto, in vita, ricevette lodi sperticate da un certo Louis Armstrong.
Senza saperlo Bix ha avuto più discepoli di qualsiasi altro trombettista bianco: perfino in certi assoli di Chet Baker e di Miles Davis, molti decenni dopo la sua scomparsa, si avvertiranno la mano e l’ombra di Bix Beiderbecke.
La morte gli tolse un futuro musicale probabilmente straordinario, ma gli ha permesso di consegnarsi ai posteri con l’immagine di eterno ragazzo che non invecchierà mai.
Di lui rimane la leggenda e il grande rispetto della gente di colore per un bianco che sapeva suonare e comprendere divinamente la loro musica.