Pochi da noi ne conoscono nome e attività, ma Joanna Hiffernan, un’immigrata irlandese a Londra, ha svolto un ruolo fondamentale nell’arte e nella vita dell’artista americano James McNeill Whistler.
Durante gli anni a partire dal 1860, la donna lavorò a stretto contatto con Whistler come modella per dipinti, stampe e disegni innovativi che sfidavano le norme culturali prevalenti e che fecero di Whistler uno degli artisti più influenti della fine del XIX secolo.
Allo stesso modo fu in seguito la musa e modella di Gustave Courbet.
A Deauville due uomini chiacchieravano camminando sulla battigia, mentre le onde s’infrangevano al sole della Normandia. Possiamo immaginarli ancora benché sia trascorso più di un secolo e mezzo da quel lontano 1866.
L’uno aveva il fisico possente di un contadino che ama la buona tavola, l’altro, più giovane, e dalla figura asciutta, aveva il portamento di chi viene da West Point.
Erano entrambi pittori ma un tale abisso separava i loro stili che non si capisce come riuscissero ad andare d’accordo. Gustave Courbet, da quel giorno, fu solito definire James MacNeill Whistler, americano di origine, “suo allievo”, eppure non ci sono affatto analogie nella loro pittura.
Si assomigliavano soltanto per essere entrambi degli artisti controcorrente, di quelli che, consci del loro valore, quasi si fanno un vanto della difficoltà d’affermarsi a causa l’ostracismo dei critici.
A quel tempo, Whistler risiedeva a Londra ma veniva spesso in Francia, sia per esporre, sia per trascorrere le vacanze a Deauville, sfogando la sua abilità di paesaggista in questa località marittima, venuta di moda grazie al favore dell’imperatrice Eugenia e del duca di Morny, fratellastro di Napoleone III.
Un tipo come Courbet, rivoluzionario e futuro comunardo, vi sarebbe sembrato fuori luogo: in realtà era un uomo infatuato di se stesso, che si dipinse in un’infinità di autoritratti e che per questo fu definito “il Narciso contadino”, ma secondo il parere di Dumas figlio, era “il frutto d’un accoppiamento mitico tra una lumaca e un pavone”.
Non disdegnava quindi gli ozi della stazione balneare più in voga condivisi con un’élite di sangue blu.
Gustave e James s’incontrarono quasi per caso, come capita in villeggiatura, quando è facile che s’instaurino relazioni cordiali tra persone che frequentano la stessa spiaggia.
Courbet era attratto dal fresco entusiasmo del suo amico e lo ascoltava volentieri mentre gli esponeva i suoi progetti e gli raccontava gli anni in cui aveva vissuto e studiato in Russia, o mentre dissertava sulla forza poetica e spirituale delle sfumature, della luce.
C’è da credere anche che fosse attratto ancor più da una presenza che accompagnava sempre Whistler, la sua modella irlandese Jo.
In realtà si chiamava Joanna Hiffernan, ma per tutti era Jo, dal canto di sirena e dai capelli di tramonto.
Il fascino che questa ragazza, rosea come una pesca, e rossa di capelli come una fiamma, esercitò su Courbet, dovette essere soprattutto artistico perché egli non ignorava che se Whistler la presentava come sua modella era per mascherare agli occhi dei benpensanti il fatto che, in realtà, fosse la sua amante.
Courbet era uno scapolone impenitente, – è celebre la sua asserzione:
– ma, da buon cacciatore, sapeva bene anche che non si deve mai entrare in una riserva altrui.
Non aveva mai avuto un interesse spiccato per le modelle di professione, troppo leziose negli atteggiamenti, troppo impostate per soddisfare la sua ricerca realistica. Egli preferiva schizzare le donne di paese nelle loro attività domestiche. Tuttavia, c’erano quei capelli rossi a tentarlo…
Infine si decise e fece la sua proposta a Whistler di far posare Jo per un quadro.
Il giovane americano, sul principio, rimase interdetto: era certo un grande onore per la sua Jo essere scelta da un pittore famoso come Courbet e diventare la musa ispiratrice di un nuovo quadro, ma era pur sempre la sua compagna.
Il suo volto, però, era già noto ai parigini, che l’avevano ammirato nel 1863 al Salon des refusés, nato per far conoscere al pubblico le opere dei nuovi artisti ritenuti d’avanguardia, quelli che i “retrogradi” dell’Accademia di Belle Arti avevano rifiutato.
Era proprio Jo La fanciulla bianca che era stata dipinta in un quadro di Whistler, esposto accanto al discusso “Déjeuner sur l’herbe” di Manet, e il quadro era stato lodato per la raffinatezza e per l’immateriale studio sulle tonalità del bianco.
Courbet rassicurò l’amico: lui la Jo la voleva viva e reale, non diafana.
Voleva creare un’immagine meno cerebrale di quella dipinta da Whistler, voleva che s’imponessero la realtà e la somiglianza perché il ritratto per lui era e fu sempre il mezzo di fissare sulla tela il vero carattere del soggetto.
Con Jo si mise a lavorare d’impegno, così le sedute di posa cominciarono proprio sulla spiaggia di Deauville.
Ma Courbet non era soddisfatto: qualcosa gli sfuggiva.
Quella donna estroversa che le durezze della vita avevano reso disinibita, non corrispondeva all’immagine che si intuiva sotto il velo dell’esuberanza.
Desiderava che quei suoi lineamenti soavemente irregolari emergessero con la più straordinaria e indefinibile nobiltà.
Non ebbe mai l’idea d’utilizzarla per un nudo, sebbene fossero proprio quelli gli anni delle sue figure più scandalose.
No, il mistero di Jo risiedeva nei suoi occhi profondi, ombreggiati dai capelli rossi.
La stagione estiva volgeva al termine, così Whistler assecondò Courbet, per il quale nutriva una sincera venerazione, e gli promise che lo avrebbero seguito a Parigi affinché potesse terminare il quadro.
Jo si recò ancora tante volte nello studio che Courbet aveva in rue Hautefeuille.
Una certa confidenza si stava instaurando tra modella e pittore e probabilmente i due divennero pure amanti.
Quando posava la ragazza si trasformava: traspariva a poco a poco la sua schiettezza, la sua essenza irlandese.
Ecco che sulla tela il rosso dei suoi capelli s’animava e così drappeggiava l’ovale del volto come un manto; ecco che gli occhi guardavano come se in essa leggessero la malinconia del tempo antico, malinconia che si stemperava in un abbozzo di sorriso.
Lo spirito battagliero di Courbet, ereditato dal nonno giacobino, avvertiva che quella che aveva davanti non era semplicemente una giovane la cui esistenza gli appariva monotona nel suo mestiere di modella.
Egli s’accorgeva d’apprezzarla ogni giorno di più per la sua distinzione, innata come un marchio di razza, e nella sua mente andava delineandosi il solo titolo appropriato per il quadro, titolo con cui l’opera ancora oggi è catalogata: “La belle Irlandaise”.
Courbet aveva una sensibilità estrema nel dipingere i volti muliebri, in contrasto con la pennellata vigorosa delle sue marine e delle scene di lavoro contadino.
Ebbene, la “bella irlandese” esprime più d’ogni altra questa sua prerogativa perché nei suoi confronti ebbe una sorta di tacita deferenza, la stessa che si prova per una madre o per una figlia molto cara, nel concepirne il ritratto.
Joanna Hiffernan, oltre ad essere una modella per artisti, dipingeva lei stessa.
Era una cattolica irlandese, nata a Limerick nel 1843, da Anne Hickey e Patrick Hiffernan.
Lei e la sua famiglia lasciarono l’Irlanda per Londra durante la Grande Carestia del 1845-1848, stabilendosi al 69 di Newman Street.
Gli errori di ortografia nelle sue lettere superstiti rivelano che aveva ricevuto un’istruzione modesta, ma nonostante tutto fu da tutti descritta come intelligente, molto capace e intellettualmente curiosa.
Suo padre, Patrick Hiffernan, era descritto dagli amici di Whistler, Joseph Pennell e sua moglie Elizabeth, come il “Capitano Costigan”, l’irlandese ubriaco del romanzo di Thackeray “Pendennis”.
I Pennell lo descrissero anche come “un insegnante di educata calligrafia che parlava di Whistler come “il me genero”.
L’artista Walter Greaves, che iniziò a frequentare Whistler nel 1863 e che conosceva bene Joanna, disse che aveva avuto un figlio di nome Harry, ma di lui non si trova traccia nei documenti ufficiali.
Whistler incontrò per la prima volta la Hiffernan nel 1860, mentre era in uno studio a Rathbone Place ed ebbe una relazione con lei per sei anni, durante i quali dipinse alcuni dei suoi dipinti più famosi.
Fisicamente sorprendente, la personalità di Hiffernan era ancora più impressionante.
I biografi e amici di Whistler scrissero di lei: “Non era solo bella. Era intelligente, era comprensiva. Ha dato a Whistler la compagnia di cui non poteva fare a meno”.
Si vestì sorprendentemente a spese di Whistler: George du Maurier, sprezzante, una volta commentò:
“Jo è venuta con [Whistler] da me … si alzò come una duchessa, con i tessuti che compongono il suo cappellino, qualcun’altro a Parigi lo ha comprato con difficolta poiché costa 50 franchi.”
Hiffernan e Whistler provenivano da ambienti diversi e avevano lasciato i loro paesi d’origine per ragioni diverse.
La famiglia di Jo scappò dall’Irlanda per sfuggire alla fame e alla morte, Whistler lasciò la sua famiglia borghese nel 1855 per studiare arte a Parigi.
In Inghilterra vivevano insieme come una coppia non sposata, nonostante i rigidi codici morali dell’era vittoriana e sfidando il pregiudizio inglese contro gli irlandesi.
Quando scoppiò la guerra civile negli Stati Uniti nel 1861, Whistler, un nordista che aveva frequentato per breve tempo l’accademia militare di West Point, espresse il suo sostegno alla Confederazione pur rimanendo all’estero.
Sia Whistler che la Hiffernan non tornarono mai nei loro paesi d’origine.
La famiglia del pittore americano non approvava la Hiffernan: le modelle degli artisti, non sposate, specialmente quelle che posavano nude, erano considerate a quel tempo più o meno delle prostitute.
Tuttavia, Joanna aveva posato solo per gli amici, quindi forse le obiezioni nei suoi confronti mosse dalla famiglia di Whistler erano basate più sulla classe sociale che sulla moralità della giovane.
Quando la madre di Whistler venne in visita dall’America nel 1864, fu necessario, infatti, trovare una diversa sistemazione per Jo, che fu costretta ad andare in albergo!
Joanna con Whistler partecipava anche alle riunioni a casa di Dante Gabriel Rossetti a Chelsea nel 1863.
Trascorse l’estate e l’autunno del 1865 a Trouville con lui e nel 1866, Whistler concesse alla Hiffernan la procura sui suoi affari mentre era a Valparaiso per sette mesi, provvedendo alle spese domestiche e dando a lei l’autorità di agire come agente nella vendita delle sue opere.
Durante l’assenza di Whistler, Hiffernan si recò a Parigi e posò per Courbet in “Le Sommeil”, che raffigurava due donne nude a letto addormentate. Il forte impatto saffico della scena era sottolineato dall’intreccio dei corpi nudi delle due donne, avviluppati e immersi in un eden di fiori e perle.
Qualche anno prima, anche il suo compagno di vita, il pittore Whistler l’aveva raffigurata sulla tela in “Sinfonia in bianco n 1”, tema per altri due lavori:
Joanna appariva eterea, avvolta da una luce che schiariva i suoi abiti candidi, perfetta incarnazione di una donna preraffaellita, con un giglio stretto tra le dita.
È probabile che avesse una relazione con Courbet già allora, dopo la fine della sua relazione con Whistler, che aveva lasciato un testamento a suo favore.
Dopo che lei e Whistler si separarono, Jo aiutò a crescere il figlio di Whistler, Charles James Whistler Hanson, risultato di un’avventura con una cameriera, Louisa Fanny Hanson, che visse con la Hiffernan al 5 Thistle Grove fino al 1880, quando Whistler era a Venezia con Maud Franklin, la sua amante di quel tempo.
Poco si sa della modella dopo il 1880.
Una donna riferì a Juliette Courbet, sorella di Gustave, in una lettera del 18 dicembre 1882, che “la bella ragazza irlandese era a Nizza, dove vendeva oggetti d’antiquariato e alcuni quadri”.
Si sa che Jo aveva sposato un uomo di nome Abbott qualche tempo dopo il 1881, forse sul continente, ma la scarsità di sue notizie sarebbe dovuta al fatto che Jo si faceva chiamare “Mrs. Abbott” quando vendeva i dipinti ai mercanti d’arte in giro tra la Francia e l’Inghilterra.
Secondo la scrittrice francese Christine Orban, Jo finì per diventare un “rispettabile antiquario ad Aix-en-Provence” ed era ancora viva nel 1903, quando partecipò al funerale di Whistler a Londra.
Poi di lei non si seppe più nulla.
Il collezionista d’arte Charles Lang Freer incontrò la Hiffernan al funerale di Whistler nel 1903, quando lei si presentò in lutto per porgerli l’ultimo saluto.
La sua collega mecenate Louisine Havemeyer in seguito registrò l’accaduto così come lo udì da Freer:
“Mentre sollevava il velo e io vedevo… i folti capelli ondulati, anche se striati di grigio, capii subito che era Johanna, la Johanna di Etretat, “la belle Irlandaise” che Courbet aveva dipinto con i suoi meravigliosi capelli e uno specchio in mano… Rimase a lungo accanto alla bara – quasi un’ora credo… Non potei fare a meno di essere toccato dal sentimento che mostrava nei confronti del suo vecchio amico. Era venuta fin da Parigi ed è rimasta molto colpita quando ho scoperto il viso di Whistler perché potesse vederlo”.
Il gusto vittoriano convenzionale decretava che i capelli rossi fossero volgari (e l’associazione col popolo irlandese è ovvia), e nelle arti, i capelli rossi portavano connotazioni di devianza femminile, licenziosità e instabilità mentale, mentre i capelli sciolti sulle donne significavano un rilassamento della morale.
Era troppo libera Jo, per scendere a compromessi, e ogni volta che gli artisti cercavano di carpire la sua anima non ottenevano che il fantasma di un desiderio.
Joanna, pur proveniente da una famiglia di umili origini, seppe distinguersi per la sua personalità e districarsi nelle convenzioni di ogni ceto sociale.
Era talmente generosa che crebbe per i primi anni il figlio illegittimo avuto da Whistler con una cameriera, anche dopo che si erano lasciati.
Era anche così intelligente e sveglia che, negli ultimi anni dell’Ottocento fu perfettamente in grado di recarsi a Nizza per la vendita di oggetti di antiquariato e di alcuni quadri di Courbet.
Solo una manciata delle sue lettere ci restano e nessuna fotografia le è sopravvissuta.
L’oscurità della sorte di Joanna Hiffernan, ancor più degli scarsi dettagli sulle sue origini, è un toccante promemoria di quanto poco si sappia in realtà delle vite e delle fortune di molte delle persone le cui immagini vivono nelle opere d’arte dei più grandi maestri, quelle a noi più care e familiari.
Bibliografia:
Margaret F. MacDonald, The Woman in White, Yale University Press, 2020;
Philippe Daverio, elogio delle donne, Rizzoli 2021;
Jean-Jacques Fernier, Courbet, allegato a Art e dossier, n. 99, Giunti, 1995;
James Abbott McNeill Whistler, Alle dieci di sera, Castelvecchi, 2014;
Fabrice Masanès, Courbet, Taschen Italia, 2007.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.