Nella lunga storia della letteratura mondiale, è toccato spesso a piccoli libri provocare grandi effetti, sia sul piano culturale che su quello sociale.
Gli esempi che si potrebbero fare sono moltissimi: la letteratura picaresca, che produsse poi sontuosi capolavori, prese le mosse, ad esempio, da un libricino vivace come “Lazarillo del Tormes”, di autore anonimo; un romanzo breve e angoscioso come “La metamorfosi” di Franz Kafka, è riuscito a simbolizzare per sempre la crisi di identità dell’uomo contemporaneo in una società spersonalizzante e fu “Siddharta”, di Hermann Hesse, a contribuire alla nascita in Occidente di un forte interesse per la filosofia e le culture orientali, interesse che in anni recenti ha preso l’aspetto di una vera e propria moda culturale.
Può succedere anche che il piccolo libro dai grandi effetti venga fuori da un personaggio che per molto tempo della sua vita ha fatto tutt’altro mestiere che quello dello scrittore.
È questo il caso di Fred Uhlman, autore negli anni Settanta di un breve romanzo, “L’amico ritrovato”, che ha conosciuto un enorme successo internazionale, contribuendo, con una storia dal taglio originale, a tenere desta quella coscienza antirazzista e antinazista che oggi, per molti versi, vediamo nuovamente e pericolosamente affievolirsi.
Manfred, Fred, Uhlman nacque a Stoccarda nel 1901, da una famiglia tedesca di origine ebraica, appartenente alla classe media e dopo gli studi liceali, si laureò in legge, divenendo avvocato.
Del fatto che quel percorso non fosse ciò a cui davvero aspirasse abbiamo una prova indiretta in alcuni tratti del suo più famoso romanzo, nel quale lo scrittore presta ad uno dei due protagonisti, Hans, molto della sua personalità e della sua biografia:
“Sai quanto guadagna un poeta? Prima studia legge. Poi, nel tempo libero, potrai scrivere tutte le poesie che vorrai”: così, nel corso del dialogo, gli rispondono i parenti.
In effetti Uhlman, avendo optato per la soluzione più realistica ma meno sentita, esercitò la professione forense per molti anni, interessandosi anche alla politica attiva nelle file del Partito Socialdemocratico.
Nel 1933, tuttavia, poco prima della presa di potere di Hitler, Uhlman che già da tempo conosceva le idee antisemite dei nazisti, venne consigliato di espatriare al più presto da un suo conoscente, membro, sì, del partito nazista, ma che lo conosceva sin da piccolo.
Fred fuggì in Francia, stabilendosi a Parigi, incontrando parecchi inconvenienti che gli resero dura la vita: all’epoca non era permesso agli stranieri di avere un lavoro retribuito e le minacce di espulsione, se scoperti a svolgerlo, rimanevano tutt’altro che teoriche.
Uhlman, tranfuga dalla Germania, per vivere sfruttò un suo talento, mai messo a frutto in precedenza: si sostenne cioè disegnando e dipingendo, vendendo le sue opere e arrotondando i magri proventi di quel mestiere con la vendita di pesci d’acquario.
Per qualche tempo, nel 1936, si trasferì in Spagna, a Tossa de Mar, sulla Costa Brava, dove conobbe una studentessa inglese, Diana Croft, destinata a diventare sua moglie.
Lo scoppio della guerra civile spagnola lo costrinse quasi subito a tornare in Francia, ma la durezza della sua condizione lo spinse a spostarsi nuovamente e a rifugiarsi in Inghilterra, non conoscendo una sola parola di inglese.
Dopo soli due mesi sposò Diana Croft.
Dopo nove mesi dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale, come molti altri stranieri residenti in Inghilterra e appartenenti per nascita a paesi divenuti nemici, Uhlman fu confinato dal governo britannico nell’Isola di Man.
Quell’esperienza sgradevole durò sei mesi, terminati i quali, lui potè riunirsi a sua moglie ed alla figlia, nata nel frattempo.
Da quel momento in poi, la sua attività professionale di avvocato si accompagnò a quella di pittore, mestiere che vide Uhlman riscuotere crescente successo, mostra dopo mostra, tanto che suoi dipinti sono tuttora presenti in prestigiosi musei inglesi ed internazionali.
Nel 1960 esordì infine come scrittore, pubblicando ”Storia di un uomo” (“The making of an englishman”), iniziando una carriera tardiva che nel 1971, con “L’amico ritrovato”, lo rese universalmente conosciuto.
Nulla c’era di più esemplare e originale per trattare in un libro un argomento così monumentale, doloroso e sovraffollato di memorie tragiche, come quello della Shoah, della storia di un’amicizia tra compagni di scuola.
Il racconto, tanto nitido ed elegante nella forma, descrive il sentimento giovanile di forte amicizia ed affinità di due ragazzi, Un rapporto solido che uno di essi, l’ebreo Hans, per via di un episodio, occasionale e non troppo significante, avvenuto però in un momento drammatico, finisce per ritenere tradito dall’altro, il suo nobile coetaneo Konradin.
Quella grande e dimenticata amicizia, che il ragazzo ebreo aveva creduto rinnegata, troverà però verità e riscatto solo nell’ultima riga del romanzo.
All’ “Amico ritrovato, Uhlman farà seguire altri due romanzi, “Un’anima non vile” e “Niente resurrezioni per favore” che con esso vennero riuniti in una unica “Trilogia del ritorno”.
La particolare storia di quest’uomo ha reso possibile che un alto contributo letterario alla coscienza civile mondiale provenisse da un avvocato e pittore che fu scrittore solo negli ultimi venticinque anni della sua vita e che fu dunque tanto parco quanto influente.
Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.