John Coltrane, gigante del jazz moderno

È il 23 settembre 1926, siamo ad Hamlet, North Carolina.
Stringendo a sé il primogenito appena nato, Robert Coltrane, sarto di professione e musicista per diletto, pensava forse di trasmettergli l’amore per le sette note, rimanendo poi probabilmente deluso quando il piccolo fu escluso dal coro della chiesa perché stonato.
Eppure oggi suo figlio John fa parte della storia della musica jazz.
Questo perché John Coltrane ne ha in effetti stravolto la storia, stimolando sperimentazioni armoniche ed arricchendola di afflati spirituali.

“Era un bambino – ricordava una cugina – dispettoso e caustico, ma riflessivo”.

John Coltrane bambino e con la divisa della Marina

E così sarebbe rimasto, nel corso di una carriera breve ma ricchissima di album ed idee.
Sarebbe rimasto cioè ribelle verso schemi ed etichette, ma pronto a zittire tutti con idee mai banali, non solo musicalmente.
Oggi viene considerato uno dei re del sassofono, eppure Coltrane iniziò come clarinettista nella Marina Usa di stanza alle Hawaii durante il secondo conflitto mondiale.

Il suo debutto vero fu a Philadelphia, nel 1948, come sassofonista con Dizzy Gillespie e poi col suo idolo, Johnny Hodges, questo almeno, prima di essere licenziato.
C’era un motivo per questi esordi bizzarri e senza fortuna:

Fino a quando non ho incontrato Miles Davis – disse infatti l’artista stesso – in realtà non suonavo sul serio. Vivevo come nel buio accontentandomi di fare quello che mi chiedevano, senza aggiungerci nulla di mio”.

L’incontro con Davis, avvenuto nel 1955, fu decisivo: anche se il trombettista era un uomo ai limiti del cinismo e Coltrane iniziava allora ad interessarsi di spiritualità, la loro collaborazione, che durò poco, gli rivelò come sviluppare il proprio talento di solista e gli preparò la strada per farsi conoscere come autore.

Miles Davis e John Coltrane nel 1960 a Chicago

Un autore rivoluzionario, perché “il jazz, scoprì allora di essere espressione in musica degli ideali dell’uomo”, e fu per mettere in pratica questa aspirazione che Coltrane si creò un gruppo, sperimentò, incise e approdò alfine nel 1964 a “A love supreme”, storico album che si narra gli apparve in mente, come già pronto per essere inciso, durante una seduta di meditazione.

La prima moglie confermava: “era radioso, parlava di musica avuta in dono”.
John si sposò il 3 ottobre 1955 con Juanita Grubbs, soprannominata Naima, ma dopo una lunga crisi, l’artista ottenne il divorzio solo nel 1966 e poté nello stesso anno sposare Alice McLoad, pianista che da anni suonava con lui.
Dalla loro unione sono nati tre figli: John Coltrane Jr., Ravi e Oran.

Anche in altri campi fu un apripista, divenne infatti vegetariano già dagli anni Sessanta.

Nonostante il successo Coltrane rimase lontano dagli stereotipi: fu uno dei pochi artisti di grido ad aiutare i giovani e sempre proseguì nelle proprie meditazioni musicali.
Abbinando composizioni fuori da ogni regola a ricerche per una musica universale: in “Om” anticipò la world music, in “Peace on Earth” utilizzò il jazz come veicolo per messaggi di fratellanza.

I suoi ultimi anni di vita furono pieni di sofferenza.
Nelle ultime foto che gli furono scattate, John appariva non solo ingrassato, ma spesso con una mano sul fegato.

Tornato a casa da un tour di Giappone, iniziò a ingoiare dosi massicce di aspirina.
A portarlo in questo stato di estrema difficoltà fisica contribuirono sicuramente gli anni dell’abuso di eroina in gioventù.
Avrebbe avuto bisogno di cure regolari, ma John aveva una paura incomprensibile dei medici.

Influenzato dalle filosofie orientali, arrivò al punto di accettare la morte come parte del destino di ognuno di noi, senza volervisi opporre in alcun modo.
In seguito a un dolore fortissimo allo stomaco, venne ricoverato d’urgenza all’ospedale Huntington il 16 luglio 1967 e il giorno dopo, alle quattro del mattino, morì per quello che si scoprì essere un tumore al fegato.

John William Coltrane era nato ad Hamlet, in Carolina del Nord, il 23 settembre 1926, era, come si è detto, figlio di un sarto con l’hobby della musica, ma perse il padre a soli 12 anni.
Anche per sfogare il dolore di questa perdita, John, a 13 anni, iniziò a suonare nella banda dei boy scout come clarinettista.
Il suo idolo giovanile era Charlie Parker perciò negli anni dell’high school passò a studiare il sax contralto.

Dopo il diploma si trasferì in cerca di lavoro a Philadelphia. Qui entrò nel gruppo di Joe Webb e poi in quello di Eddie Vinson, passando al sax tenore.

Dopo un po’ divenne uno dei sassofonisti più ricercati della città, e la sua fama arrivò fino a New York.
Registrò il primo pezzo nel 1951, ma fu solo verso la metà del decennio che la sua carriera ebbe una svolta, quando conobbe e iniziò a collaborare con il trombettista Miles Davis.

I due, seppur in perenne contrasto per visione della musica e per i caratteri, davvero molto distanti, diedero vita ad alcuni dei dischi più importanti di quegli anni, compreso il leggendario “Kind of Blue”, del 1959.

Divenuto negli anni Sessanta leader di un suo ensemble, Coltrane pubblicò dischi di grande prestigio.
Su tutti spicca il già ricordato “A Love Supreme”, ancora oggi uno degli album jazz più amati in assoluto.
Solo un anno prima, nel 1959, John Coltrane aveva inciso “Giant steps”, un disco considerato il punto di non ritorno della corrente che veniva chiamata “hard bop”; l’anno seguente sarà il turno di “Africa brass“, altro punto fermo della sua discografia.

Nel frattempo, nel mese di ottobre del 1960, gli accadde qualcosa di importante.
Fino al momento in cui aveva intrapreso la carriera da solista, Coltrane aveva quasi sempre cambiato i musicisti che lo affiancavano, ora per la prima volta si formò attorno al sassofonista il nocciolo di un gruppo che diverrà storico e che lo accompagnerà per molto tempo in numerosi dischi.

Erano McCoy Tyner al piano ed Elvin Jones alla batteria, mentre il bassista, Steve Davis venne presto rimpiazzato da Jimmy Garrison, l’unico che resterà al fianco di Trane praticamente fino al termine della sua carriera.
Dalle sessions dell’ottobre ‘60, dal neonato quartetto nascono ben tre album: “Coltrane plays the blues”, “Coltrane’s sound” e “My favorite things”.
Fu in quest’ultimo lavoro che il combo si espresse ai livelli migliori, lasciando una traccia indelebile nella storia del jazz. Innanzitutto la novità di trovare il Nostro, per la prima volta, alle prese con il sax alto in due delle quattro tracce del disco, lasciava gradevolmente stupiti, tanto più che, innegabilmente, più del tema in oggetto, era decisivo il modo in cui veniva sfruttato a toccare la sensibilità dell’ascoltatore.

A partire dalla titletrack, un celebre motivo scritto da Rodgers e Hammerstein, “My favorite things” diverrà un classico, un punto fisso nei concerti del sassofonista, fino al termine della sua attività.

Era un brano in 6/8, tempo piuttosto inusuale per il jazz più convenzionale di quegli anni, con esso ci si trovava davanti a qualcosa che era diverso dall’hard bop come lo si era suonato fino ad allora.
Il sassofonista si manteneva ancora lontano dal free jazz, ma il germe che lo porterà a sviluppare la sua sensibilità in questa direzione lo si può trovare in alcuni passaggi di questo disco, soprattutto nelle lunghe improvvisazioni, a tratti ispirate alle scale orientali, con sonorità quindi diverse, nuove rispetto a quelle tipiche del sound anni ’50.
Il disco conteneva anche una famosissima versione di “Summertime”, il brano che più di tutti riprendeva le idee musicali di “Giant Steps”.
E’ opportuno mettere in evidenza che lo stile jazzistico coltraniano ha la peculiarità di essere “policentrista”, ovvero di offrire ai musicisti che suonano con lui un’estrema libertà espressiva, e dunque, come non sottolineare l’apporto dato all’opera da McCoy Tyner, che proprio a partire dall’incisionein oggetto, diede vita ad uno stile pianistico molto personale, che portava all’estremo lo stile modale ed al contempo proponeva un uso marcato della percussività dello strumento a tastiera.

Spettacolare anche l’ottimo lavoro svolto dal funambolico Elvin Jones, uno dei migliori batteristi di sempre.

The John Coltrane Quartet: John Coltrane, Elvin Jones, Jimmy Garrison, McCoy Tyner. Photograph: Jim Marshall Photography LLC.

Ma facciamo un passo indietro.
All’inizio degli anni Quaranta Coltrane e sua madre si erano trasferiti a Philadelphia: lui suonava il flicorno e il clarinetto, ma lei gli comprò un sassofono contralto. Coltrane in realtà voleva un sax tenore, ma alcuni amici di famiglia lo avevano sconsigliato alla madre, perché troppo difficile per un adolescente.
Stava cominciando a fare qualche concerto quando dovette arruolarsi in Marina, a guerra mondiale quasi finita.
Fu di stanza a Pearl Harbor, alle Hawaii, e fu preso in una banda per suonare il clarinetto: era già bravissimo.
Finito il servizio militare tornò a Philadelphia e si unì ad alcune band locali di jazz, passando infine al sax tenore, lo strumento che suonò per i primi quindici anni della sua carriera, e che lo rese famoso.
In questo periodo vide per la prima volta suonare dal vivo Charlie Parker:

“Mi colpì in mezzo agli occhi”,

raccontò in un’intervista.

Charlie Parker

Alla fine degli anni Quaranta suonare il sax contralto voleva dire rimanere comunque dietro Parker, nel tenore, invece, c’erano più margini per distinguersi e soprattutto per inventarsi sonorità e stili propri.
All’inizio, comunque, Coltrane si ispirò ai più grandi del momento, come Dexter Gordon, Coleman Hawkins e soprattutto Lester Young.
Cominciò a entrare nell’affollato giro del jazz di New York quando Charlie Parker era nel suo periodo migliore: era il leader indiscusso del be-bop, lo stile di jazz che si suonava allora nei locali della Cinquantaduesima strada.

Coltrane cominciò presto a suonare con i migliori jazzisti del momento, da Miles Davis a Dizzy Gillespie, ma in quegli anni quando qualche gruppo aveva bisogno di uno che suonasse il sax tenore, il suo strumento, di solito chiamava Sonny Rollins.

Sonny Rollins

Ci mise qualche anno, ma alla fine Coltrane gli rubò il posto: era la metà degli anni Cinquanta, Parker era morto e con lui il be-bop.
Dopo qualche mese di collaborazione, però, Davis lo cacciò perché John era ormai diventato inaffidabile per via della droga. Davis stesso, con uno sforzo drammatico, era appena uscito da un lungo periodo di dipendenza, così lo sostituì con Rollins.

Coltrane andò allora a suonare con il grande pianista Thelonious Monk: insieme funzionavano benissimo perché Monk, un artista particolarissimo e geniale, aveva uno stile caratterizzato da frequenti e imprevedibili pause, vuoti che Coltrane riusciva a prevedere e riempire con il sax.

Suonavano hard bop, uno stile di jazz che era stata una delle due principali evoluzioni del be-bop degli anni Quaranta, quella preferita dai musicisti neri.
La musica di Monk e Coltrane era però molto meno rigida di quella suonata da altri, era più libera e solo apparentemente scoordinata.
Coltrane suonò a intermittenza con Davis e Monk nella seconda metà degli anni Cinquanta: era un fenomeno, ma per via della droga aveva sempre un aspetto trasandato e spesso ai concerti, quando non doveva suonare, sembrava in trance.
Per questo Davis lo cacciò dalle sue band diverse volte, per poi riprenderlo.

Nonostante la droga, a differenza di molti altri jazzisti di quel periodo, non aveva molto interesse per i soldi e le donne: si concentrava solo sulla musica: diceva di aver perso troppo tempo negli anni precedenti.

“Sembrava fosse convinto di avere una missione da compiere”,

diceva di lui Davis.

Nel 1957, al quintetto di Davis si aggiunse il sassofonista Cannonball Adderley, complementare rispetto a Coltrane: il primo aveva uno stile più legato al blues, più tradizionale di quello di Coltrane, e suonava il sassofono contralto.

A Davis piaceva che quando suonavano insieme le improvvisazioni di Adderley avevano sempre un’atmosfera solare, mentre quelle di Coltrane erano più malinconiche. Coltrane suonava molto forte e molto veloce, con una potenza che non aveva nessun altro sassofonista.

Tutte queste sue caratteristiche vennero fuori in “Kind of Blue”, il disco più famoso di Miles Davis, probabilmente uno dei più famosi della storia del jazz, opera nella quale Coltrane ebbe un ruolo importantissimo.

Il jazz continuava a cambiare molto velocemente, e non c’era mai stato così tanto spazio per sperimentare: Coltrane ebbe la fortuna di raggiungere l’apice della sua breve carriera nel miglior periodo possibile.
In dieci anni, tra il 1955 e il 1965, fece delle cose che lo hanno fatto diventare uno dei migliori jazzman di sempre.
Coltrane si era fissato con la spiritualità tra la fine degli anni Cinquanta, periodo in cui continuava ad avere gravi dipendenze dalla droga e dall’alcool: quando, nel 1964, concepì “A Love Supreme”, quella fu una specie di dichiarazione della sua fede e fiducia nella redenzione, visto che aveva iniziato a liberarsi della sua dipendenza.

John che era solito praticare tutte le sere meditazione yoga, durante una seduta sentì fluire nelle sue orecchie una nuova musica.
Si convinse che non poteva essere altro che un messaggio divino, così decise d’incidere quella musica, curando un album nei minimi dettagli, dalla produzione alla cover, compreso il libretto del disco in cui è presente anche una sua poesia.
Quella musica, riversata in un disco, divenne una pietra miliare: il celebre “a Love supreme”
.

Durante le registrazioni fece abbassare le luci nello studio, tra le altre cose, per richiamare le atmosfere dei locali in cui suonava il gruppo, quando cioè i musicisti erano più liberi di improvvisare e sperimentare.
Il disco consisteva in sostanza in una lunga suite di poco più di mezz’ora, costruita su un semplice e ossessivo riff di contrabbasso, fatto di quattro note.
Il riff veniva poi ripreso da Coltrane col sax tenore, che lo variava improvvisandoci attorno, mentre nella seconda parte lo ripeteva in tutte le tonalità.

Alla fine di “Aknowledgement”, il primo brano del disco, Coltrane cantava le parole “A Love Supreme”, sempre sullo stesso riff; In “Psalm”, l’ultimo brano, Coltrane riproduceva con il sassofono l’andamento del testo di una poesia che aveva scritto, le cui ultime parole, cioè le ultime note suonate da Coltrane nel disco, erano “Elevation. Elegance. Exaltation. All from God. Thank you God. Amen.” (cioè “Gioia. Eleganza. Esaltazione. Tutto da Dio. Grazie Signore. Amen”).

Negli ultimi due anni della sua vita, tra il 1965 e il 1967, Coltrane si dedicò al free jazz, uno stile nato all’inizio degli anni Sessanta e reso famoso soprattutto dai sassofonisti Ornette Coleman e Archie Shepp, e dal pianista Cecil Taylor.
Consisteva in sostanza in un’evoluzione del jazz modale, che abbandonava del tutto le regole riguardo la struttura dei brani, la progressione dei vari accordi e l’armonia musicale.
Coltrane divenne in breve tempo uno dei leader del movimento free jazz, che si raccolse intorno alla sua etichetta, la Impulse.
Il suo disco più importante del periodo free jazz fu “Kulù Se Mama”.

Poi, come si è detto, giunse l’epilogo.

“Tutto quello che un musicista può fare è essere vicino alle fonti della natura, e sentire così che è in comunione con le leggi naturali.”

John Coltrane

Bibliografia:
Arrigo Polillo, Jazz, (2 volumi) Mondadori, 1975;
Lewis Porter, Blue Trane – La vita e la musica di John Coltrane, The University of Michigan Press, 1998;
Vittorio Giacopini, Al posto della libertà. Storia di John Coltrane, edizioni e/o, 2005.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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