Vecchio frac: dalla cruda realtà alla poesia

È la canzone che forse più di tutte ha segnato una svolta nel panorama italiano nel passaggio dalla canzonetta alla canzone d’autore.
Con essa Modugno fece da battistrada a tutte le generazioni che lo seguiranno, italiane e non.

Con poche pennellate l’autore ci racconta una storia fatta di solitudine, delusione e morte.
Non è intimista né vuole entrare nei meandri dell’animo umano, semplicemente descrive, con dolcezza malinconica, con espressione lieve e comprensiva, un piccolo dramma.

La scena è immobile, ordinaria: è notte, nessuno per la strada, l’ultima carrozza si allontana cigolando: se volgiamo lo sguardo vediamo il fiume scorrere lento, mentre splende la luna.
Il fiume è il vero protagonista della storia, insieme ad un uomo in frac.
Nulla viene detto di quell’uomo, tutto invece, minuziosamente, del suo abito,  elegantissimo: due diamanti per gemelli, una gardenia all’occhiello, il papillon di seta blu sul candido gilet, il cilindro e il bastone.
L’uomo in frac sta dando silenziosamente l’addio ad un mondo indifferente alla tempesta che si svolge dentro di lui.


immagine tratta da “Fantasticheria” di Berardi e Milazzo
(Edizioni L’Isola Trovata)

Qui si conclude la prima parte della canzone. Nella seconda poco cambia, se non il verso che aggiunge:

nella luce bianca galleggiando se ne va un cilindro un fiore e un frac”

Non c’è apparentemente alcun evento traumatico: il frac scivola sotto i ponti come una delle tante cose che la corrente di un fiume trasporta nella sua corsa verso il mare.
Solo nei versi finali arriva la spiegazione: la canzone racconta di un suicidio per amore:

“ Adieu, adieu, adieu al mondo, ai ricordi del passato, ad un sogno mai sognato, ad un attimo d’amore che mai più ritornerà’’. 

L’evento ispiratore del brano fu il suicidio, avvenuto poco tempo prima, di un signore di alta estrazione sociale.
Il testo, infatti, fu ispirato dalla storia del principe Raimondo Lanza di Trabia, che all’età di 39 anni si era tolto la vita gettandosi dalla finestra della sua suite in un hotel a Roma. 

Anni dopo il poeta ed amico di Modugno, Giovanni Bruno, ricordò anche una seconda fonte di ispirazione che l’artista ebbe per questa canzone, ovvero una leggenda che la madre del cantautore gli raccontava quando era bambino.
Parlava di un fantasma che di notte usciva dal Castello di Conversano, in provincia di Bari, e vagava per la città.
Fu dunque una fusione tra leggenda e realtà che diede vita ad una canzone divenuta presto un cavallo di battaglia dell’artista, oltre ad assumere il ruolo basilare che ricordavamo, nella storia della nostra musica leggera, una cartolina da Belle Epoque in cui nel buio sembra di udire il tonfo nell’acqua, il muto salto suicida che verrà scoperto solo all’alba. 

Scritta e incisa nel ’55, pochi mesi dopo il suicidio del Lanza di Trabia, la canzone, curiosamente, scalò le classifiche solo nel ’59, dopo il successo internazionale di “Nel blu dipinto di blu”. 

Locandina del concerto di Domenico Modugno del
18 settembre 1958 al Carnegie Hall di New York. 

Fu un successo clamoroso non soltanto in Italia, ma in tutto il mondo, soprattutto in Francia, dove valse a Modugno la consacrazione con un concerto all’Olympia. 

La copertina di un rarissimo LP 33 giri pubblicato in Corea del Sud nel 1962 in cui compaiono in un improbabile mix “Volare” e “Nel bene e nel male” di Domenico Modugno e canzoni di Mina tratte dalla colonna sonora del film “Appuntamento a Ischia” film con Domenico Modugno e Antonella Lualdi

Sulla prima incisione si era abbattuta subito la censura, ma c’era da aspettarselo perché negli anni cinquanta parlare di suicidio e di “un attimo d’amore che mai più ritornerà”, nella bigotta e ipocrita Italietta di allora non era certo ben tollerato. 

La versione censurata e quella normale a confronto

Modugno stesso raccontò di essersi ispirato anche alla storia del principe Lanza di Trabia: “Era uomo di fascino assoluto che nella vita aveva avuto tutto, anche l’amore di una delle donne più belle dell’epoca, Olga Villi.
Non riuscivo a capire perché quel nobile avesse scelto di uccidersi così, senza una spiegazione.
Lo interpretai come il segno struggente della fine di un’epoca”. 

Raimondo Lanza di Trabia con la moglie, l’attrice Olga Villi

Chi era davvero il principe Lanza di Trabia?

Raimondo ad un anno

Il giornalista e storico Vincenzo Prestigiacomo ne ha scritto la biografia e ha impiegato quindici anni per raccogliere testimonianze inedite e restituirci così il ritratto di un uomo fortunato quanto discutibile.
Discendente di Federico Barbarossa, amico dei potenti, fragile e indisponente, affascinò i Ciano, diventando anche compagno di bagordi di Errol Flynn.
Andò a caccia di tigri con lo scià di Persia, ebbe spesso ospite nel suo castello alle porte di Palermo Aristotele Onassis e gran parte del jet set mondiale. 

Raimondo in compagnia di Aristotele Onassis

Come si diceva quei tempi, era un playboy, ma soprattutto un uomo dalle molte facce, spregiudicato e a volte arrogante.
Fu spia fascista durante la guerra in Spagna, ma questo non gli impedì successivamente di diventare amico fraterno di Antonello Trombadori, comunista, essendo passato in tempo con un salto politico all’italiana, a schierarsi dalla parte giusta, a fare da informatore degli americani e da mediatore con i partigiani.

Raimondo Lanza agente dei Servizi Segreti americani, con il nome di copertura Roberto Lima

Presidente del Palermo, inventò il calciomercato al Gallia di Milano, collezionò le donne più belle del suo tempo e organizzò burle che finivano spesso al commissariato. 

Lanza di Trabia sembrava eccitarsi solo davanti al rischio, in una miscela di vitalità irrefrenabile e di autodistruzione.
Ebbe tutto, ebbe troppo, finché, essendo una  personalità nevrotica, non cadde in depressione scegliendo di ammazzarsi al compimento dei suoi trentanove anni vissuti pericolosamente.

Raimondo Lanza su una potente auto da corsa 

Era l’alba del 30 novembre del 1954 quando, completamente nudo, spiccò un salto dalla finestra della sua suite in un hotel di Roma.
La notizia si sparse velocemente: i primi ad accorrere furono gli amici di sempre, Gianni Agnelli, il cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Antonello Trombadori, Alberto Moravia, Curzio Malaparte, Edda Ciano.
Si disse che tra i moventi del suo gesto ci fosse anche un dissesto economico da cui non sapeva come risollevarsi, ma probabilmente fu solo un pettegolezzo senza fondamento.

Era un vero anticonformista: si presentava ai ricevimenti di Ranieri di Monaco in tuta da pilota e alle nozze di Gianni Agnelli, dove tutti erano in tight o smoking, andò vestito in modo qualunque.
Sembra anche che di frac non ne abbia mai avuto uno e che quella di Modugno sia stata solo una invenzione poetica.

 Raimondo con Errol Flynn

Fu proprio nel mondo dello spettacolo che Lanza di Trabia visse la parte più eccitante della sua vita: il cinema lo affascinò subito.
Bello e ricchissimo non aveva voglia di essere fedele. Conquistò Vivi Gioi, la diva bionda dei telefoni bianchi, ma anche Hedy Lamarr e le sorelle de Havilland, sia la Olivia di “Via col vento” che Joan Fontaine.
Si fidanzò con Susanna Agnelli per poi passare a Joan Crawford e Rita Hayworth.
Quanto a Olga Villi, la sposò e la rese madre di due figlie.
Loro padrino di battesimo fu Gianni Agnelli. 

Raimondo con le sue due figlie

Meglio di tutti lo ha descritto Susanna Agnelli, la sposa mancata, in “Vestivamo alla marinara”:

Quando entrava in una stanza era come un fulmine. Tutti smettevano di parlare o di fare quello che stavano facendo. Gridava, rideva, baciava tutti, scherzava. Divorava il cibo come una macchina per tritare rifiuti, beveva come un giardino assetato in un deserto, suonava il pianoforte, telefonava e mi teneva la mano, tutto contemporaneamente”.

Susanna Agnelli e Raimondo

Il modo che aveva Modugno di interpretare questo brano lo ha reso unico e affascinante. Quando venne pubblicata la canzone fu oggetto di censura, sia per il tema del suicidio che per le frasi che alludevano a contatti fisici ritenuti immorali.
Le strofe incriminate subirono delle variazioni ma Modugno, dal vivo, continuò sempre a proporne la versione originale.

L’arido fatto di cronaca che venne trasfigurato da Mimmo, diventò così una metafora di tutte le tragedie che nel mondo avvengono, silenziosamente, a causa delle pene d’amore.

L’uomo in frac, questo il titolo originale, è il capolavoro di Modugno, un racconto immaginario e perfetto, sospeso tra la cronaca di un’avventura fin de sìecle e la favola dell’uomo innamorato ed ingannato da una donna bella e crudele. 

La canzone si apre con una serie di notazioni magiche.
Il gatto innamorato e randagio è un alter ego del protagonista che ne condivide specularmente il destino.
La voce carica di fascino di Modugno e l’accompagnamento leggero della sua chitarra battuta, sottolineano senza enfatizzarli, i versi:

È giunta mezzanotte / si spengono i rumori / si spegne anche l’insegna / di quell’ultimo caffè. / Le strade son deserte / deserte e silenziose / un’ultima carrozza cigolando se ne va… / Il fiume scorre lento / frusciando sotto i ponti / la luna splende in cielo, / dorme tutta la città. / Solo va… un vecchio frac”.

Con l’entrata in scena del protagonista l’attenzione si sposta dall’atmosfera sospesa di una città notturna alla descrizione dell’uomo in frac, un uomo senza un nome, misterioso, e ai piccoli particolari del suo modo di vestire, di un’eleganza raffinata.

immagine tratta da “Fantasticheria” di Berardi e Milazzo 
(Edizioni L’Isola Trovata)

La tragedia segreta di quest’innamorato dallo sguardo malinconico non ci viene raccontata ma suggerita e allude naturalmente ad un grande amore ferito.
Se non si fosse operata la rivoluzione artistica di Modugno, nel nostro panorama musicale non si sarebbe spezzata mai l’egemonia della canzonetta anni Quaranta-Cinquanta.
Fu proprio attraverso la breccia aperta dal grande Mimmo che iniziò il rinnovamento della canzone italiana.
Con lui dunque comincia la canzone d’arte contemporanea.
Dal percorso da lui tracciato lui discenderanno i grandi cantautori: Tenco, De Andrè, Guccini, Fossati, fino a Ruggeri che di “Vecchio frac” ha inciso una versione molto suggestiva.

La versione di Enrico Ruggeri

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

Un commento su “Vecchio frac: dalla cruda realtà alla poesia

  1. Frac o Frack?
    La prima curiosità relativa a “Vecchio frac” riguarda proprio il titolo, che nella maggior parte dei dischi è scritto con una “k” finale. Non totalmente sbagliato, poiché in Germania il frac è noto appunto come “frack”, ma che motivo ci sarebbe mai stato per adottare il termine tedesco, quando le origini dell’abito sono in Gran Bretagna, dove tra l’altro è chiamato “white tie”? Sensato disdegnare il non altrettanto evocativo equivalente italiano, cioè l’ormai più che desueto “marsina”, ma… “frack”? Chissà, magari la bizzarria è dovuta a un errore commesso al momento del deposito del brano alla SIAE, o a un refuso nella prima edizione del disco che per inerzia è stato perpetuato nelle successive, ma alla fine conta poco.
    da un articolo di Fanpage
    ciao

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