Sai comunicare… o forse no?

Sappiamo davvero comunicare?


Nell’era della comunicazione, dei social net, delle chat e dei media, in cui impazzano opinioni, tendenze, discussioni e provocazioni, ci si potrebbe convincere che l’incomunicabilità sia un fatto superato, oramai obsoleto; e in effetti non dobbiamo più attendere colombi viaggiatori, come facevano i nostri avi, e trascorrere interminabili silenzi, prima di ricevere una missiva di risposta; eppure mi sembra che, nonostante tutto, oggi non abbiamo più il tempo di riflettere su un argomento, che già questo viene ad essere sostituito da un altro.

Viviamo nella frenesia di comunicazioni che si susseguono a suon di trilli, di twitt e vibrazioni, che ti avvisano dell’arrivo di un nuovo messaggio; a immagine segue immagine, scatti fotografici in successione, una bulimia visiva, mentre si sovrappongono titoli sempre più suggestivi, talmente incalzanti da annullarsi l’uno con l’altro, al ritmo furioso di una corsa impazzita per arrivare a rappresentare per primi, anche solo con un nano secondo di vantaggio, la tendenza del momento: nulla che imprima nella memoria un segno destinato a durare.
Sono pochi a soffermarsi su una lettura attenta, ancora di meno sono coloro che responsabilmente ricercano un confronto tra le fonti, o ricostruzioni attendibili di fatti e di misfatti, con il conforto della logica, attenti a non scivolare risucchiati dalla deriva delirante. E allora, cosa comunichiamo?
Ciò che mi pare inquietante è che tutti, o quasi, si cimentino nel disquisire infinito attorno al nulla e ai suoi derivati: molteplici, fantasiose e rocambolesche trasformazioni del Nulla in tutte le possibili forme.

Possiamo affermare con certezza che comunicare non è più un problema, se consideriamo che le distanze fisiche si annullano, e che anche in momenti di isolamento forzato, come accaduto nell’era pandemica, abbiamo potuto lavorare da casa, comunicare a distanza, non trascurare amici e contatti, attraverso una forma di socializzazione tutta virtuale; si trascura però un piccolissimo, determinante dettaglio: se il problema non è più comunicare, il vero problema, ciò che rimane irrisolto, è e resta capirsi, e che è sempre stato così, a partire dal primo graffito comparso in una caverna, sino all’ultimo twitt del giorno: non c’è scampo! La tecnologia non può porvi riparo, può solo battere il tempo e accorciare le distanze materiali, può rendere reale un’illusione, da lasciarci sorpresi, così sospesi tra essere e apparire, ma non può alleviare in alcun modo il vero e profondo divario che esiste, e sempre esisterà, tra comunicazione e comprensione.

Italo Calvino

Italo Calvino, scrittore, che non ebbe l’avventura di imbattersi nell’avvento di internet e di sperimentare gli ultimi modernissimi mezzi di comunicazione, scriveva:

“Il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d’aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l’altro gli ribatte qualcosa che non ha relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza né capo né coda. Ma i dialoghi umani sono forse qualcosa di diverso?”,

Un ritratto perfetto dei dialoghi che intercorrono frequentemente tra le persone e che, in maniera attualissima, calza a pennello con quanto accade anche nell’universo affollato dei social, delle chat e dei modernissimi mezzi di comunicazione, dove si concentra il dramma di un parlare tra sordi: un contesto nel quale ciascuno crede di essere ascoltato, ma fondamentalmente dialoga solo con se stesso, amplificando l’isolamento e la capacità di relazione.
La tecnologia non può risolvere questo divario, essa non può sostituirsi alla cultura, alla sensibilità, all’empatia umana, tutti requisiti indispensabili per la capacità di ascolto e di comprensione. Perciò la domanda resta una sola: sai comunicare? O forse sei soltanto convinto che la dimestichezza col mezzo faccia di te un comunicatore?

Sicuramente la agevole disponibilità di mezzi di comunicazione e la loro diffusione a livello mondiale, hanno contribuito a espandere un fenomeno che il poeta statunitense Robert Frost (1874 – 1963), premio Pulitzer per la poesia, aveva già abilmente descritto in un famoso aforisma, oggi attualissimo, nonostante appartenga a un tempo in cui non impazzavano le nostre moderne tecniche di comunicazione:

Robert Frost

“Metà della popolazione mondiale è composta da persone che hanno qualcosa da dire ma non possono.
L’altra metà da persone che non hanno niente da dire e continuano a parlare”.

Se ne evince che chi non ha niente da dire oggi ha comunque molto più spazio e agio di dirlo…

Lascio a voi il piacere di trarre le più opportune conclusioni.

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

5 commenti su “Sai comunicare… o forse no?

  1. Comunicare non significa scrivere o sentire o leggere o vedere. Se non c’è scambio, empatia, se non ci sono silenzi o sguardi o atteggiamenti, se non si percepisce un tono diverso della voce, un’inflessione, anche un errore diventa solo un fatto meccanico che scorre via. Molti scambiano la comunicazione con l’esibizione, magari con la necessità di stupire. Oppure di imporre qualcosa che però, se è imposto, scivola via con facilità. Ad un amico, a una persona cara basta uno sguardo o un movimento che altri invece non notano. In pochi sanno riconoscere una luce oppure una richiesta di aiuto o il semplice bisogno di comprensione una stretta di mano, una carezza o un abbraccio. Vale anche quando si parla in pubblico. Se non si trasmettono emozioni il parlare o l’insegnare restano vuoti. I social così diventano simili a tanti amici o conoscenti che ti fanno una domanda ma che non sono disposti ad ascoltare il resto della frase, ti interrompono o ti parlano sopra. Nelle relazioni è sicuramente importante la continuità, ma numeri o quantità non arrivano mai all’intensità di chi ti accarezza con uno sguardo e non ti chiede nulla se non è il caso

    1. Grazie Giorgio, un commento molto sentito il tuo sul quale è il caso di dire che trasmette empatia e ci riesce anche senza lo sguardo o l’aiuto di un tono di voce.
      Esiste una scrittura che può questo, ci sono grandi scrittori, poeti e artisti che hanno questo dono per es., sanno toccare con le parole, hanno molto da dire e da trasmettere. I più grandi romanzi di tutti i tempi restano grandi per questo, dentro ci sono gli uomini, nel senso di umanità, e si sente.
      Forse il limite di questa bulimia compulsiva di parole è proprio l’esibizione senza contenuti, la disattenzione con la quale tutto viene lasciato andare, c’è una specie di disimpegno delle parole, di rumore costante al di là del dire, necessità di presenziare, esibirsi, o chissà… i social non sono luogo dove si cercano risposte, forse anche le domande che si pongono non sono domande… ma sono un mezzo, e i mezzi sono al servizio degli uomini che se ne servono come credono, è sempre così.
      Buona giornata
      Nota Stonata

  2. è vero per molta parte delle persone, ma esistono ancora spazi del silenzio interiore ed esteriore che intimoriscono i deboli e attraggono i forti…ma non è una novità

    1. Certo Claudio, giusta osservazione. Gli spazi di silenzio esistono, sono spazi di riflessione e attenzione…. sono pane per la nostra crescita come persone.
      Un caro saluto
      Nota Stonata

  3. D’accordo su tutto Francesca. Aggiungo che il primo passo per capirsi è Ascoltare. Saper ascoltare, come sai perché ne abbiamo parlato, è un’arte, una abilità, una capacità che prevede un forte dispendio di energia. Per capirsi, ci si deve sintonizzare sull’altro, comprendere il suo punto di vista prima di esprimere il proprio… ma tutto questo costa fatica, specialmente per noi popolo occidentale, poco inclini all’ascolto (come diceva Chuck Palahniuk: “ la gente non ascolta, aspetta solo il proprio turno per parlare”). E spesso non aspetta neanche quello direi. Quindi per tornare sul tema, capirsi, o meglio, non capirsi, è spesso solo la conseguenza della bassa capacità di ascolto, un ascolto vero, empatico , un ascolto che raccoglie tutte le vie recettive e comunicative di cui disponiamo, orecchie, occhi, linguaggio del corpo, linguaggio paraverbale etc. etc…. in altri termini, per capirsi bisogna saper comunicare, abilità che per definizione prevede la presenza di almeno due persone pronte ad ascoltarsi.

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