Il dono della malinconia

“Un desiderio di desideri: la malinconia”,

secondo l’opinione dello scrittore russo Lev Tolstoj.

Senza dubbio la malinconia è grande fonte di ispirazione, tanto che l’inchiostro della Letteratura di tutti i tempi ne è intriso e coloro che sono profondamente toccati da questo intimo, quanto divino, sentire, hanno dato vita a opere tra le più intense, coinvolgenti e struggenti della storia dell’umanità.
La malinconia è un sentimento superiore, non ha nulla a che vedere con una semplice e più comune tristezza, perché ha lo sguardo rivolto al mondo dentro di sé, fino ad acquisire la consapevolezza che i propri desideri per lo più resteranno irrealizzabili; è il desiderare che conta, con lo struggimento per quei sogni, capaci delle più profonde suggestioni, che vengono contrapposti alla caducità della nostra condizione.

Malinconia è sublimazione di un sentire “fuori misura”, il sospiro che tende quella corda interiore che non riesce mai ad accordarsi ai suoni del mondo esteriore.
È la coscienza di questa nostra difformità, confortata dalla meraviglia per tutto quanto ci sorprenda e ci tocchi ogni volta con la sua la bellezza, così come ci viene offerta, dalla luce di questa delicata e avvolgente sensibilità.
Ciò che sentiamo di immensamente incompiuto e indecifrabile, il desiderio infinito che proiettiamo oltre noi stessi, sebbene resti confinato dentro di noi, ci affligge e conforta.

Quando il filosofo romeno Emil Cioran prova a spiegare la malinconia usa queste parole:

“So perché sono triste, ma non saprei dire perché sono melanconico. Prolungandosi nel tempo senza mai raggiungere un’intensità particolare, gli stati melanconici cancellano dalla coscienza ogni motivo iniziale, presente invece nella tristezza”;

il poeta Giacomo Leopardi si esprime con altrettante precisione, quasi in parallelo:

“I momenti migliori dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia, dove tu piangi e non sai di che”;

mentre il filosofo danese Søren Kierkegaard, uno dei più influenti pensatori del passato, scrive che lui spesso

“sentiva beatitudine nella malinconia e nella tristezza” e pensava che fosse “usato dalla mano di un Potere superiore attraverso la malinconia.”

Io ho sempre pensato che gli spiriti malinconici non siano affatto tristi, sebbene soffrano di questa particolare “affezione” che al contrario li rende speciali, quasi fatti di una sostanza diversa; dotati di uno sguardo che si spinge oltre il confine stabilito dalla realtà, essi ritrovano nel percorso interiore l’ampiezza di orizzonti, senza perdere la consapevolezza del limite umano: da qui deriva quella percezione di inadeguatezza che commuove e a volte si scioglie in pianto.

Eppure, proprio per queste particolarità, chi è malinconico possiede alcuni antidoti alla disperazione: difficilmente sarà affetto da “megalomania” e molto probabilmente, spinto sull’orlo del dissidio con il mondo, svilupperà  il suo lato ironico. proprio nel rivolgersi e trattare le “cose del mondo”.

“Credo che la malinconia sia un problema musicale, una dissonanza, un ritmo alterato. Mentre fuori tutto accade con un vertiginoso ritmo da cascata, dentro c’è una lentezza esausta da goccia d’acqua che cade di tanto in tanto. Ecco perché quel fuori contemplato dal dentro melanconico risulta assurdo e irreale e costituisce la farsa che tutti dobbiamo rappresentare”,

scrive la poetessa argentina Alejandra Pizarnik.

Talvolta proprio una fragilità può rivelarsi punto di forza, e magari anche un riferimento.
Sarà il caso di capire allora cosa significhi davvero essere forti a questo mondo, se avere la percezione dei propri limiti ed essere spiriti malinconici, oppure essere ossessionati dalla felicità a tutti i costi, con l’imperativo “divertirsi”, che sinceramente mi annoia tanto; e chissà che, a pensarci meglio, non sia proprio ciò a renderci più tristi.

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

Un commento su “Il dono della malinconia

  1. Anche la malinconia, come molti altri stati d’animo, ha diverse sfumature e definizioni. Lo dimostrano i vari autori citati, così come le varie definizioni nei diversi vocabolari. Può nascere da una delusioni così come dal ricordo di qualcosa che non c’è più o semplicemente di qualcosa si vorrebbe tornasse. Sicuramente può aiutare a migliorare, non necessariamente è una condizione negativa. Anzi può essere l’inizio di un obiettivo, di rivivere situazioni che ci avevano gratificato. In fondo la malinconia, come la tristezza, come gli errori o gli insuccessi vanno tramutati in aspetti positivi, se non in punti di forza. Non è necessariamente una debolezza. Non si tratta di essere “forti”, ma di maturare la convinzione che conoscersi, accettarsi, a volte rendere pubblico o semplicemente non nascondere uno stato d’animo ci rende più umani e ci aiuta nelle relazioni. Quelle vere che diventano un punto di forza

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