Brendan Behan: vita straripante di un talento letterario irlandese.

“Basta che il tempo sia anche soltanto decente e Dublino diventa imbattibile. A Londra, si può morire in un deserto di piccole stradine, il Luxembourg di Parigi è solo un misero grappolo di alberelli su un terreno secco e polveroso, mentre a New York l’umidità spadroneggia. Ma andarsene a spasso per il parco di St Stephen’s Green a Dublino, nel sole, e ammirare lo splendore dell’erba fresca o il rigoglio dei fiori all’ora di pranzo vi farebbe dimenticare gli impegni di lavoro per tutto il resto della giornata.
Per non parlare poi delle giovani studentesse e delle dattilografe, simili, come dice il poeta, a tulipani.
E poi a Dublino non ci disidrata per l’afa come in altri posti lontano dal mare. Nei giorni più caldi c’è sempre un venticello che spira dalla baia, o le montagne da guardare. La gente alza lo sguardo verso le colline e si fa strada nel calore tra gli impegni della giornata con cuore più leggero”.

Brendan Behan

Così, con un’insolita vena lirica, parla di Dublino, sua città natale, Brendan Behan, uno dei maggiori scrittori irlandesi contemporanei, un talento letterario così irrefrenabile e incontenibile da riverberarsi su una biografia tanto breve quanto epica, straripante e suggestiva  al punto da rischiare di metterne in ombra l’opera, seppellendola sotto una montagna di aneddoti.
Imbianchino, drammaturgo, scrittore, militante dell’Ira, smodato bevitore, gran conoscitore e cantante di ballate tradizionali irlandesi e infine ateo diurno, come si definiva: Brendan Behan, nel corso di una vita vissuta con l’acceleratore premuto, riuscì ad essere tutto questo.

Nato a Dublino nel 1923, proveniva da una famiglia proletaria con solide tradizioni indipendentiste ed una vena patriottica ed artistica che si era già espressa in suo zio, Peadar Kearney, fratello di sua madre e autore della “Canzone del soldato”, “The soldier’s song”, divenuta una sorta di inno nazionale durante la rivolta anti inglese della Pasqua del 1916.
Ancora minorenne e già attivissimo sul fronte indipendentista irlandese, svolse un ruolo operativo nell’Ira, partecipando a varie spedizioni in territorio britannico.

Arrestato a Liverpool nel corso di una di queste operazioni, venne rinchiuso per tre anni nel carcere minorile del Borstal, esperienza poi raccontata nel suo unico romanzo, fortemente autobiografico “The Borstal Boy”, il ragazzo del Borstal, scritto qualche anno prima ma pubblicato nel 1958.
L’opera era già un esempio convincente della caratura letteraria di Behan, narratore nato e gran raccontatore anche nella vita privata, uno scrittore quindi “orale”: enfatico, iperbolico, incisivo, espressivo ed intriso di un eccezionale senso dell’umorismo.
Tutto il peso di una grande tradizione di raccontatori irlandesi, i cosiddetti “seanachaidhe”, trovava in Behan un continuatore ed un innovatore, ennesimo frutto di un’inclinazione nazionale che si è espressa in tante figure letterarie di rilievo assoluto. 

La detenzione nel Borstal non fu l’unico episodio penalmente significativo della sua vita: nel 1942 venne condannato a ben quattordici anni di carcere per aver sparato, fortunatamente senza esito letale, a due poliziotti nel corso delle celebrazioni della Pasqua del 1916, ma uscì di prigione quattro anni dopo, in virtù di un’amnistia generale.
Proprio durante quell’esperienza carceraria Behan mosse i suoi primi passi come giornalista, scrivendo all’inizio dei pezzi che ricordavano i volontari irlandesi che aderirono alla causa repubblicana durante la guerra civile spagnola, e pubblicando poi vari articoli sulla sua stessa vita detentiva.
Nel 1947, appena un anno dopo la sua scarcerazione, venne nuovamente imprigionato per quattro mesi per aver favorito la fuga di un prigioniero affiliato all’Ira.

Sbarcato a Parigi nei primi anni Cinquanta si guadagnò da vivere come corrispondente di un giornale americano, ma non disdegnò di buttar giù anche alcuni racconti pornografici.

L’alcool, vizio in lui spiccato, condizionava pesantemente la sua vita ed il suo umore, già normalmente preda di un temperamento più che esuberante. “Gretna Green”, scritto per commemorare due militanti dell’Ira accusati di aver piazzato una bomba a Coventry, fu il primo testo teatrale del suo versante drammaturgico, che gli avrebbe riservato altre e cospicue soddisfazioni.
Tornato a Dublino cominciò a collaborare con diversi giornali, tra i quali l’Irish Times, scrivendo anche poesie e racconti gialli che non destarono particolare impressione.
A quegli anni, tuttavia, risale la stesura del lavoro teatrale destinato a farne definitivamente un drammaturgo di successo: “The Quare Fellow”, da noi tradotto col titolo de “L’impiccato di domani”.

L’opera lo portò ad una notevole considerazione internazionale, producendo una vera svolta nella sua vita professionale, svolta positiva che venne confermata dalla pubblicazione, nel 1958, del suo dramma: “L’Ostaggio” e soprattutto del già citato romanzo “The Borstal Boy”, ispirato alle sue precoci disavventure carcerarie.
In un primo momento il libro, a causa del linguaggio spigliato, duro e a tratti volgare, non venne stampato in Irlanda, cosa che causò una certa amarezza al suo autore, divenuto nel frattempo una celebrità, spesso ospitata in trasmissioni radiofoniche e televisive.
Ad onta dei successi e di una vita fattasi meno complicata, nei primi anni Sessanta Behan era già un uomo segnato, indebolito, atteso da un destino infausto.
Non gli venne diagnosticato per tempo un diabete ed il suo abuso di alcool peggiorò drammaticamente la sua situazione di salute, esponendolo ad una grave insufficienza epatica.

Brendan Behan

Col suo tipico senso dell’umorismo lui si autodefiniva : “A drinker with writing problems”, un bevitore con problemi di scrittura, ma in realtà le sue condizioni facevano sì che ormai anche modeste bevute avessero su di lui le stesse conseguenze delle sbornie solenni di un tempo.
Sotto la lente impietosa della stampa, accanita per via dei suoi eccessi, Behan tentò anche la carta, per lui disperata, della disintossicazione e dell’astinenza, ma la sua situazione divenne così critica da non permettergli più fisicamente di scrivere.

Fu allora che maturò l’idea di registrare invece di battere a macchina, di utilizzare la sua straordinaria abilità di narratore orale per consentirgli di continuare il suo percorso letterario.
Le opere che conclusero la sua carriera di scrittore furono dunque i cosiddetti “Talk Books” , i libri che furono registrati su nastro magnetico.
Nel 1962, da nastri incisi venne tratto il volume: “Brendan Behan’s Island” e nel 1964 l’altro libro,  “Brendan Behan’s New York”, opere che ebbero un significativo successo.

Photography: © Daniel Farson: Il pittore Lucian Freud con Brendan Behan (1952)

Ma tra questi talk books il più importante fu senza dubbio uno dei suoi capolavori assoluti, seguito autobiografico del “Ragazzo di Borstal”, ovvero le sue “Confessioni di un ribelle irlandese”, vero suo testamento letterario, un libro in cui il suo straripante talento narrativo raggiunse vertici altissimi, summa di tutti i suoi registri narrativi.
L’opera uscì nel 1965: l’anno precedente, a soli quarantuno anni, Brendan Behan aveva cessato di vivere nella sua Dublino.
L’amico scrittore Flann O’Brien, che pur nella sua diversità, per certi versi fu l’unico scrittore irlandese paragonabile per talento eccentrico a Brendan Behan, così lo ricordò sulle pagine del Sunday Telegraph:

“Una persona turbolenta ma deliziosa, un uomo di spirito e d’azione nelle molte imprese pericolose in cui credeva fosse suo dovere impegnarsi, un bevitore incurante, un denunziatore impavido di inganni e ostentazioni e quindi il proprietario del cuore più grande che abbia battuto in Irlanda negli ultimi quarant’anni”.

Il feretro di Brendan portato da militanti dell’Ira

Piermario De Dominicis, appassionato lettore, scoprendosi masochista in tenera età, fece di conseguenza la scelta di praticare uno sport che in Italia è considerato estremo, (altro che Messner!): fare il libraio.
Per oltre trent’anni, lasciato in pace, per compassione, perfino dalle forze dell’ordine, ha spacciato libri apertamente, senza timore di un arresto che pareva sempre imminente.
Ha contemporaneamente coltivato la comune passione per lo scrivere, da noi praticatissima e, curiosamente, mai associata a quella del leggere.
Collezionista incallito di passioni, si è dato a coltivare attivamente anche quella per la musica.
Membro fondatore dei Folkroad, dal 1990, con questa band porta avanti, ovunque si possa, il mestiere di chitarrista e cantante, nel corso di una lunga storia che ha riservato anche inaspettate soddisfazioni, come quella di collaborare con Martin Scorsese.
Sempre più avulso dalla realtà contemporanea, ha poi fondato, con altri sognatori incalliti, la rivista culturale Latina Città Aperta, convinto, con E.A. Poe che:
“Chi sogna di giorno vede cose che non vede chi sogna di notte”.

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