Don Gallo, un anarchico della Fede

“Il posto di un prete – affermava don Gallo – e’ fra la gente: in chiesa, per strada, in fabbrica, a scuola e in ogni dove vi sia qualcuno che soffra e che abbia bisogno di aiuto; per questo ho deciso di camminare insieme ai tossici, alle prostitute, ai deviati, ai balordi, ai borderline, ai migranti e a tutti coloro che, come diceva De Andre’: viaggiano in direzione ostinata e contraria…”

Angelicamente anarchico”, partigiano, contestatore, missionario, antiproibizionista, libertario, vicino alla Teologia della Liberazione, nel suo ultimo libro aveva difeso a spada tratta papa Bergoglio, proprio lui un prete del tutto fuori dagli schemi.

Nel 2013 è morto nella sua comunità don Andrea Gallo, dopo un ricovero all’ospedale San Martino per complicazioni cardiache alle quali era seguito un repentino aggravamento delle sue condizioni di salute. Chi lo aveva visto negli ultimi tempi descriveva un uomo affaticato, con evidenti problemi respiratori, che non gli avevano impedito, tuttavia, di partecipare ad un flash mob per salvare il Teatro Modena, a Sampierdarena:

“Di cultura si vive, se chiude un teatro è una condanna”,

aveva detto con la sua solita verve. Poco dopo, appena uscito dall’ospedale, aveva voluto incontrare privatamente il tecnico del Genoa Davide Ballardini, e aveva festeggiato con un tweet la salvezza della squadra dal baratro della serie B.
Chi andava a trovarlo nel suo studiolo ne usciva carico di idee e odore di pipa. Non smetteva quasi mai di tenerla in mano. E intanto parlava del passato, dell’oggi e dei progetti in cantiere per il futuro: era davvero un fiume in piena.

Don Andrea Gallo

Nella comunità di San Benedetto, da lui stesso fondata a Genova, erano passati tutti: ex brigatisti ed emarginati, intellettuali e poveri, atei e credenti. Il prete dalle mille battaglie, spesso critico nei confronti della stessa Chiesa, ma con una fede dura che spostava le montagne, riusciva a dialogare con tutti. Tentava tutte le strade per farsi compagno di viaggio: nel suo ultimo tweet, il 20 maggio 2013, aveva scritto:

“Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale e compagna”.

Da sempre la sua voce poderosa e l’irruenza del suo eloquio lo avevano imposto all’attenzione mediatica, pur essendo lui un personaggio “scomodo”, disobbediente su tanti temi alla linea ufficiale del Vaticano, a partire dai diritti civili.
In seguito aveva preso posizione per l’antiproibizionismo sulle droghe, e fu celebre la sua partecipazione al Gay Pride, per la difesa dei trans.

Don Gallo al Genova Pride 2009
©Photo: grillini.it

“La Chiesa purtroppo tentenna”, disse una volta, e pur nel corso di tante lotte non tralasciò nemmeno il G8 di Genova.
Quando il sottosegretario Gianni de Gennaro chiese scusa per le violenze del 2001, non si accontentò: “Non basta. Troppo comodo. Manca Claudio Scajola che era il ministro degli Interni, manca Gianfranco Fini che era il vicepremier. E mancano i vertici di Cgil, Cisl e Uil: ancora oggi ci devono spiegare perché, a differenza della Fiom, non erano in piazza con noi”.
Negli ultimi anni la sua voce si era trasferita anche sulla carta stampata.
I suoi libri invadevano le librerie come torrenti in piena e scalavano le classifiche di vendita: gli servivano per finanziare la sua comunità e dare sostegno ai tossici, ai poveri, alle prostitute, ai migranti.
Aveva fatto in tempo a darne alle stampe un ultimo, “In cammino con Francesco”, nel quale giudicava positivamente l’elezione di papa Bergoglio e, ancora una volta, non aveva paura di schierarsi prendendo le difese dell’ex cardinale di Buenos Aires contro chi lo sospettava di connivenza con la dittatura argentina.

Gallo da sempre vicino alle posizioni della Teologia della Liberazione scrisse: “Papa Ratzinger ha posto al centro il bene della Chiesa, con coraggio e assumendosi le proprie responsabilità. È stato il quarto papa post-Concilio. Ora è arrivato papa Francesco a farci sperare di nuovo in una Chiesa dei poveri. Un sollievo dopo tanta pena”.
Don Andrea Gallo non aveva mai rinunciato a intervenire anche nell’agone politico: amico di Fausto Bertinotti, nel 2008 aveva chiuso campagna elettorale del leader di Rifondazione comunista dicendo: “Gesù non era moderato, poi alle primarie del centrosinistra aveva appoggiato Nichi Vendola e non aveva fatto mancare il suo sostegno al candidato sindaco di Genova Andrea Doria, anch’egli vicino a Sel.
Da ultimo, aveva subito il fascino del Movimento 5 Stelle, forse anche perché conosceva personalmente il suo concittadino Beppe Grillo.

Don Gallo e Beppe Grillo

Non gli era piaciuto l’atteggiamento del centrosinistra sul Movimento: “Hanno fatto male a demonizzarlo”. Ma l’infatuazione non è mai stata acritica. Subito dopo le elezioni, insieme a Dario Fo, altro grillino confesso, aveva lanciato un appello all’ex comico, caldeggiando un’intesa con Bersani: “Caro Beppe, prova a domandare sul web ai tuoi milioni di elettori se la maggioranza è d’accordo ad andare a sedersi a un tavolo con il centrosinistra. Chi veramente ha a cuore il bene comune dovrebbe cercare di trovare uno spiraglio in queste tenebre”.
Quelli che gli stavano a cuore erano i contenuti, piuttosto che i giochi politici, le alleanze o i personalismi. Dei grillini non gli dispiacevano le battaglie ambientaliste, quelle per l’acqua pubblica o contro la Tav, o forse perché in origine si presentava come un movimento giovanile e di massa.
Chissà cosa avrebbe detto se avesse avuto il tempo di ascoltare le ultime esternazioni contro gli immigrati di certi suoi esponenti e vedere il trasformismo di alcuni membri di qualcosa che era diventato ormai un partito, proprio come altri.
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, Andrea Gallo, aveva incontrato Don Piero Doveri, un salesiano sconosciuto ma di eccezionale “caratura”, un prete che seppe, con la sua allegria e la sua disponibilità nei confronti dei ragazzi, cambiare la vita di don Andrea e contagiarlo nella voglia di stare accanto ai giovani e di diventare anch’egli un prete di don Bosco…
Don Gallo si definiva un prete da marciapiede, perchè era sui marciapiedi che viveva ogni giorno e ogni notte, dando speranza alle persone che incontrava.

Trent’anni fa aveva iniziato, dormendo in un sacco a pelo, a stare vicino alla gente più emarginata, ha continuato poi nel suo cammino con la sua Comunità di San Benedetto al Porto che ospitava oltre cento residenti e che svolgeva svariate attività che andavano dal ristorante alla bottega dell’artigianato, fino a promuovere iniziative a favore dell’America Latina. Prima ancora, da poco ordinato sacerdote, sempre a Genova, nel 1960, Don Gallo era stato tenente cappellano sulla nave-scuola Garaventa, dove venivano “buttati” i ragazzi che vivevano sulla strada e che in città venivano chiamati piccoli delinquenti: insomma era un riformatorio galleggiante.
Ripeteva ogni volta che ne aveva l’occasione:

“I RABBINI, GLI IMAM, I VESCOVI DEVONO SMETTERE DI VOLER CONVINCERE CHE PARLANO IN NOME DI DIO”!            

“Le nuove generazioni non hanno bisogno di maestri ma di testimoni, nessuna predica, solo esempi! Anche il sesso, non deve essere un’arma del potere per sfruttare e discriminare, complici la Chiesa e la politica, ma una spinta a essere se stessi e a stare bene con l’altro. Prima viene l’etica, poi la fede; anche in famiglia, nella strada, sul lavoro. Ogni giorno. Allora il disagio di chi non è omologato, degli ultimi e dei diversi non sarà più un problema di ordine pubblico, piuttosto un’occasione di confronto, una questione sociale e umana che riguarda tutti. La forza eversiva del Vangelo è in un’idea di cittadinanza ricostruita a partire dall’incontro con gli altri, in pace, per un cammino veramente liberatorio a fianco dei più oppressi”.

Don Gallo credeva che ogni scelta, anche politica, dovesse basarsi su di una scala di valori non su delle ideologie. “L’ideologia può smarrirsi, ma i valori di pace, giustizia sociale ed equità non possono e non potranno mai smarrirsi nè confondersi”.

La speranza di don Gallo era quella che un giorno tutti saremo più poveri, “perchè il povero è colui che ha una speranza sciolta da tutte le condizioni contingenti; mentre noi, quando “speriamo”, lo facciamo a patto che ciò che abbiamo non venga meno. Non ci potrà essere mai giustizia mondiale se non saremo tutti più sobri, più oculati, più poveri, più giusti, in tutti i nostri pensieri i nostri rapporti, i nostri progetti. Anche Gesù ha scelto di essere povero e per nascere ha preferito una stalla al Palazzo, e questo nessuno mai dovrebbe dimenticarselo”!

Un grande murale a Pianacci (Genova) per ricordare don Gallo

Don Gallo aveva scelto da che parte stare, e credeva che quella fosse la stessa parte che anche Gesù aveva scelto, non si leggeva forse nel Vangelo: “I pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel Regno di Dio”?
Celebre ed esemplificativa è la lettera che scrisse per la scomparsa di Fabrizio De Andrè nel 1999, lui che gli era stato amico da sempre:

“Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti Geordie o Michè, Marinella o Bocca di Rosa vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, “verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame”.
Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che
dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua antologia dell’amore, una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: come i tuoi condannati, tossicomani, aspiranti suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile.
In quel tuo racconto crudo e dolente, che era ed è la nostra vita quotidiana, abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera.
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro “occhi troppo belli”, la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando da Storia di un impiegato, la Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi.

E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano sul cuore e svegli il dubbio che Dio esista.

Grazie”.

                Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo, prete da marciapiede.

Di lui ha detto Don Luigi Ciotti nel ricordarlo:

“Ma il suo dare un nome alle persone è sempre andato di pari passo con un dare un nome alle cose. Don Gallo non è mai stato reticente, diplomatico, calcolatore.

Non ha mai mancato di denunciare che la povertà e l’emarginazione non sono fatalità, ma il prodotto di ingiustizie, di precise scelte politiche ed economiche.

Ha sempre inteso saldare il Cielo e la Terra, la sfera spirituale con l’impegno civile, il messaggio del Vangelo con gli articoli della Costituzione.

Le sue parole pungenti, a volte sferzanti, nascevano sempre da un grande amore per la vita, da un grande desiderio di quella verità che sta dalla parte della vita, delle persone, dell’umanità”.                            

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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