Nel 1871, durante la guerra civile, a Parigi venne distrutto un edificio del governo francese, che sorgeva sul terreno in cui nel 1900 fu inaugurata la stazione D’Orsay, diventata l’omonimo museo in tempi recenti. Prima di quello che prevedeva la costruzione della stazione, nel 1880 prese vita il progetto per un museo di arti decorative, e lo stato francese commissionò allo scultore Auguste Rodin una porta monumentale destinata a questa nuova struttura.
A seguito di studi e ricerche, nel 1883 l’artista giunse ad una bozza finale, ma il progetto si arenò definitivamente, così la bozza dell’opera, quella della cosiddetta “Porta dell’inferno”, rimase nello studio dell’artista.
Quella Porta rappresentava la prima grande commissione da parte dello Stato e si presentò come una occasione unica per Rodin, allora ancora lontano dal successo.
La decorazione avrebbe dovuto consistere in bassorilievi raffiguranti scene tratte dalla “Divina Commedia” e non è improbabile che il tema fosse stato suggerito dallo stesso Rodin, che era rimasto rapito dalla lettura del capolavoro di Dante Alighieri, ed in particolar modo dall’“Inferno”.
La Porta avrebbe dovuto essere un’opera d’ispirazione tutta italiana, visto che il modello a cui lo scultore decise di rifarsi per la decorazione erano le porte del Battistero di Firenze.
I disegni eseguiti anni prima durante un suo viaggio in Italia, che riprendevano i dieci pannelli realizzati da Lorenzo Ghiberti per quelle porte, ed in particolare quella del Paradiso, dimostravano infatti quanto Rodin fosse rimasto impressionato dal lavoro del maestro fiorentino.
Nel gennaio del 1883 lo scultore procedeva ancora a rilento, così i giornali cominciarono a pubblicare voci preoccupanti sul suo lavoro.
Un ispettore delle Belle Arti fece visita allo studio dello scultore e scrisse una relazio decisamente negativa, rimandando di sei mesi una sua seconda ispezione. Rodin si sentì in obbligo di accelerare il suo ritmo di lavoro e nel suo studio si moltiplicarono così le presenze di modelli e di aiutanti a vario titolo.
L’ispettore tornò nell’atelier nel novembre del 1883 e stavolta stilò un rapporto molto positivo.
Da questa data in poi, lo studio dell’artista diventò un laboratorio nel quale molte idee originariamente concepite per la porta condussero alla creazione di statue autonome.
Nel 1885 il giornalista Mirbeau descrisse su “La France” la statua del Conte Ugolino, ed il suo articolo suscitò di nuovo molto interesse per la “Porta dell’Inferno” di Rodin.
In cinque anni di lavoro Rodin elaborò più di 200 figure, ma nonostante il Ministro Turquet esercitasse molta pressione, il maestro rimandò sempre la fusione in bronzo.
Dopo tanto lavoro, Rodin sembrava aver trovato finalmente una versione soddisfacente della Porta, ma proprio allora lo scultore ricevette la notizia che il progetto del museo era stato abbandonato.
“Tanto peggio per loro”, avrà pensato Rodin, che non era comunque un tipo da farsi abbattere.
Al centro della ricerca dell’artista c’era la vitalità del corpo umano, che nell’opera avrebbe dovuto emergere da lave bollenti per invadere lo spazio architettonico, e in alcuni casi sovrastarlo.
Era innegabile un’ispirazione a quell’architettura di muscoli e membra che era il “Giudizio Universale” di Michelangelo.
La Porta dell’Inferno, nonostante le traversie, non venne mai abbandonata, ma divenne semmai una sorta di riserva creativa personale in cui Rodin sperimentò innumerevoli possibili assemblaggi di decine di gruppi scultorei.
Nel corso di dieci anni di studio, lavoro, prove e rinunce, alcune di queste figure si affrancarono dalla Porta, guadagnandosi la dignità di opere autonome, ma tutto quel lavoro, essendo rimasto senza una sua propria collocazione, diventò per Rodin una sorta di magazzino in cui riversare tutta la sua creatività.
Per questo vi si sono ritrovati gruppi scultorei diventati poi molto celebri come opere indipendenti, quali, ad esempio, “Il Pensatore” e “Il Bacio”.
Quest’ultimo, ispiratogli dalla sua relazione con la giovane Camille Claudel, veniva considerato da Rodin un gruppo statuario che raccontasse la storia di Paolo e Francesca, i due amanti dannati rappresentati nella Divina Commedia.
Già nel 1886 quell’opera da lui giudicata troppo idilliaca, era stata eliminata dal progetto globale della Porta dell’Inferno, e venne così esposta, come scultura isolata, nel 1887, e subito riscosse un vivo successo.
Tra Camille Claudel e il maestro i legami si logorarono: La giovane partì per Londra ma tornò quasi subito a lavorare nello studio parigino di Rodin.
La ragazza perse progressivamente il suo equilibrio mentale, divenne paranoica e manifestò violente crisi di gelosia nei confronti della vecchia compagna di Rodin da cui il maestro aveva avuto un figlio che lo aveva seguito in tutti i viaggi fatti.
Uno dei gruppi presenti nella “Porta dell’Inferno” si ispirava ad una scultura di Jean-Baptiste Carpeaux, e ritraeva Ugolino della Gherardesca e i suoi figli.
Era una delle più forti narrazioni dantesche, infatti, quella del conte imprigionato in una torre a Pisa con la sua prole. Abbandonati in una cella a morir di fame, si macchiarono, secondo la leggenda, di atti di cannibalismo.
Tornando ora al progetto di Rodin, si dovrebbe osservare che se la Porta potesse parlarci del suo autore, ci racconterebbe senz’altro del suo inarrestabile impulso creativo e della sua irrequietezza, un’indole che gli impediva in maniera sistematica di apporre la parola “fine” alla sua opera.
Gradualmente, il progetto della Porta si allontanò sempre più dalle tradizionali rappresentazioni dell’“Inferno” della Commedia per diventare qualcos’altro. Un’influenza nuova segnò radicalmente la visione di Rodin quando fu incaricato, nel 1887, di illustrare un’edizione de “Les Fleurs du Mal” di Charles Baudelaire.
Ai versi di Dante si andarono a mescolare le immagini cupe e struggenti suggerite dalle rime del poeta francese, deceduto vent’anni prima.
I dannati, privati di un contesto definito, ormai senza evidenti allusioni ai classici tormenti danteschi, si trasformarono lentamente in pure rappresentazioni della disperazione, in una parola, in archetipi del dolore.
Anche quelle figure della Porta che non erano divenute composizioni singole, si erano affrancate dal progetto originale per narrare più in generale la condizione umana, le sue miserie, le paure, le passioni, diventando un groviglio di fantasmi senza prospettive morali: l’inferno di Dante aveva abbandonato il regno dei demoni per calarsi in quello dell’uomo moderno.
Una versione della Porta dell’Inferno venne finalmente esposta al pubblico solo nel 1900, in occasione dell’Esposizione universale, ma lo scultore non era certo il tipo da ritenersi soddisfatto: all’ultimo momento Rodin ritenne che così la Porta fosse del tutto improponibile, con un insieme troppo carico, le ombre troppo intense, così decise di eliminare le figure più in rilievo.
L’opera quindi venne sì esposta, ma incompleta, in quanto non c’era stato tempo sufficiente a modificarla per intero.
Per quasi trent’anni Auguste Rodin fu impegnato nella creazione di quella Porta e l’opera diventò per lui una vera ossessione. Più il tempo passava, più il lavoro avanzava e più Rodin modificava la composizione, avvicinandosi di perona alla condizione tormentata dei dannati che scolpiva.
La “Porta dell’inferno” è costituita oggi da 186 personaggi e sulla sommità del pilastro centrale del portale l’artista vi aveva posto il “Pensatore” che, con molta probabilità rappresenterebbe la figura del Sommo Poeta Dante.
Il gesso ospitato nel Musée d’Orsay è esposto come scultura e non come una porta decorata perché la porta dell’inferno restò, come abbiamo raccontato, un’opera incompiuta. Quella che noi vediamo ora in bronzo è stata fatta postuma utilizzando i calchi originali in gesso.
Esistono anzi due fusioni in bronzo, entrambe commissionate dal collezionista americano Jules E. Mastbaum che poi ne donò una al museo Rodin e l’altra al museo delle arti di Philadelphia, al tempo in via di costruzione.
Francois-Auguste-René Rodin nacque a Parigi il 12 novembre 1840.
Il suo nome completo era François-Auguste-René, e iniziò fin da bambino a mostrare una particolare inclinazione per il disegno e frequentò così la Petite Ècole, dove studiò disegno e pittura. Lasciò la scuola nel 1857 e nei 20 anni successivi lavorò in via principale come artigiano e decoratore. Iniziò a prendere lezioni da Antonine Louis Barye, molto conosciuto per le sue sculture di animali, le stesse che avrebbero poi influenzato il suo lavoro.
Nel 1864 Rodin iniziò a convivere con una giovane cucitrice, Rose Beuret, alla quale sarebbe rimasto legato, con qualche interruzione, per il resto della vita. La coppia mise al mondo un figlio, Auguste-Eugène Beuret.
Rodin diventò allievo di Lecoq de Boisbaudran dopo esser stato per tre volte rifiutato dall’Accademia delle Belle Arti e con il maestro affinò le sue capacità artistiche, facendo anche amicizia con Léon Lhermitte. Nel 1866 divenne assistente capo nello studio d’arte di Albert-Ernest Carrier-Belleuse, che vendeva grandi quantità di oggetti d’arte.
Rodin si occupava principalmente della progettazione di decorazioni per interni. Per un breve periodo fu arruolato nell’esercito francese per la Guerra franco-prussiana, ma fu presto congedato a causa della sua forte miopia.
Per provvedere alla propria famiglia, Rodin accettò la proposta di Carrier-Belleuse di trasferirsi temporaneamente in Belgio per svolgere alcuni lavori a Bruxelles.
Rimase nel paese per circa sei anni, un periodo che si rivelò fondamentale per far conoscere la propria arte.
Importante per lo sviluppo della sua tecnica fu il periodo che passò in Italia nel 1876, ed in particolare a Firenze, dove studiò le opere di Michelangelo Buonarroti.
Nella corrispondenza trovata tra i suoi effetti personali si legge una lettera in cui l’artista dice esplicitamente “Michelangelo mi liberò dal accademismo”.
Lo scultore francese si impose al pubblico nel 1878 quando espose un nudo virile attualmente conservato a Londra presso la Tate Gallery.
Rodin tornò a Parigi nel 1877 e dopo diverse traversie, nel 1880 ottenne da Carrier-Belleuse un lavoro come progettista presso la fabbrica di porcellane di Sèvres, guidata al tempo dal suo vecchio datore di lavoro.
Grazie al suo lavoro la fabbrica ebbe ancora più richieste da tutta Europa per i suoi manufatti. La comunità artistica apprezzò questo suo tipo di lavoro e Rodin fu invitato a varie edizioni del Salon di Parigi da amici come lo scrittore Léon Claudel. Nelle sue prime apparizioni a quel tipo di eventi sociali Rodin sembrò piuttosto timido, ma negli anni successivi invece, quando la sua fama era cresciuta, mise in mostra la loquacità ed il temperamento per i quali è ancora oggi ricordato.
Lo statista francese Léon Gambetta espresse il desiderio di incontrarlo e quando si videro al Salon lo scultore lo colpì favorevolmente. Gambetta ne parlò a diversi ministri, tra i quali il sottosegretario del ministero delle belle arti Edmund Turquet.
Due anni dopo a Rodin, come abbiamo visto, venne commissionata l’opera che per sua stessa volontà lo avrebbe tenuto occupato per il resto della vita.
Quell’opera infatti rappresenta il punto di arrivo e contemporaneamente di partenza della cifra stilistica di Rodin. Nella “Porta dell’inferno” prese forma quella plasticità del suo scolpire, potente e tormentata, che caratterizzerà le sue successive opere e che nasceva dallo studio appassionato del Rinascimento italiano.
Da un lato Dante dall’altro Michelangelo: questi i grandi punti di riferimento per Rodin, che aveva affinato le sue conoscenze con quel viaggio in Italia del 1876.
Nella spazialità aperta dell’opera è facile individuare il suo passaggio attraverso le soluzioni artistiche di Michelangelo; su tutta la superficie della porta, infatti, le figure, prive di vesti, si muovono liberamente, senza vincoli di spazio o di prospettiva, proprio come accade nel Giudizio Universale nella Cappella Sistina.
La porta divenne, allora, il banco di prova per l’artista che sviluppò un interessante gioco di luci e ombre, attraverso un sapiente collocamento delle figure su diversi piani. In tal modo attratto, l’occhio si perde attraverso la straordinaria varietà di stati d’animo e posizioni assunte dalle figure, il cui movimento è così libero e vorticoso che a malapena le strutture della porta riescono a contenerle.
Rodin morì all’età di 77 anni nel 1917.
Dei tecnici ricostruirono La porta dell’Inferno nel 1928, grazie alla mappatura ritrovata negli archivi di Rodin.
Fu così eseguita una fusione in bronzo completa.
La versione incompleta che il maestro decise di mostrare durante l’Esposizione Universale si trova intatta nello studio, accanto alla sua abitazione di Meudon.
Rodin riuscì quindi a far coincidere in un grande capolavoro uno stile unico che parla di tempo eterno e di animo mortale, che sa contemporaneamente di “passato e di “futuro”, come un flusso senza fine.
E senza fine doveva parer essere anche a Rodin stesso, che non trovò mai per l’opera una sua conclusione.
Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.