“Devi fare ciò che ti fa stare bene”… lascia stare i peperoni di sera

La felicità è utopia, si dice, ma, senza dannarsi a inseguire la perfezione di un idilliaco stato di grazia, possiamo vivere meglio cercando di “fare ciò che ci fa stare bene”; cito volutamente il titolo di una canzone di Caparezza, che ritma a tempo di musica, trascinante, questa semplice e sana regola, da ripetere come un mantra: “devi fare ciò che ti fa stare bene!”.

Tra il dire e il fare, però, ci sta un mare di mezzo, anzi ci sta un oceano intero di variabili; ciò non toglie però, che questa semplice regola sia stata validamente testata e che, alla prova, sia risultata davvero efficace. Il punto è che spesso (vorrei dire sempre, ma mi astengo per principio dall’assolutezza) alcuni precetti del vivere sano e più leggero, li impariamo a conoscere molto tardi, ovvero dopo aver vissuto una buona parte della nostra vita; altre volte invece, mentre cerchiamo di applicare il sano principio, buttandoci dietro le spalle ciò che non ci piace, questo ci si ripresenta puntuale, nostro malgrado, per usare una metafora: ci si rinfaccia come i peperoni di sera.
Ma andiamo al dunque, prima o poi tutti impariamo che “fare ciò che ci fa stare bene” è la regola giusta; che andrebbe applicata, nei limiti degli spazi di libertà e di manovra che ci dovrebbero essere garantiti, nel migliore dei mondi possibile, da una società civile e democratica, con un tessuto sociale sano, ovvero costruito su pari opportunità e relazioni umane soddisfacenti, fondate cioè sul riconoscimento dell’alterità. Si parla di diritti e doveri, a garanzia di questi spazi di autodeterminazione, atti a riconoscere la singolarità, non a mortificarla, in nome del sacrosanto diritto alla realizzazione della persona; aggiungerei che, una visione politica di tutto rispetto, dovrebbe essere ispirata proprio a questi valori di uguaglianza, indispensabili per la costruzione di una società felice, almeno nelle premesse, dove si possa davvero fare ciò che fa stare bene, che tradotto sarebbe a dire: poter scegliere per realizzare se stessi. Eppure, va detto, le nostre democrazie capitalistiche stanno andando nella direzione opposta, dal momento che non sono più in grado di contrastare la crescita delle disuguaglianze sociali, espresse in termini di reddito, di quote salariali, di accesso alla sanità e all’istruzione, al welfare e quant’altro.

peperoni ripassati con capperi e olive

Ma non c’è solo questo, le nostre democrazie capitaliste sono in difficoltà anche riguardo al rispetto dei diritti fondamentali quali l’uguaglianza di fronte alla legge, l’indipendenza dei giudici, l’incolumità del detenuto, quindi le regole di ingaggio delle forze dell’ordine, per non parlare poi della libertà di informazione, della protezione delle persone deboli e delle minoranze, della difesa contro ogni forma di discriminazione.
Sono queste tutte prerogative del vivere civile, che consentono di poter attuare realmente quella regoletta semplice; “devi fare ciò che ti fa stare bene”, ovvero di essere libero di esprimere la tua singolarità, di vedere perciò garantito il tuo spazio di libertà.
Ecco perché ci dobbiamo preoccupare che l’arretramento della nostra democrazia segni il passo, sia dal lato dell’uguaglianza sia da quello delle libertà; secondo molti intellettuali è in atto una vera e propria recessione democratica, che la pandemia ha ulteriormente accentuato: si sa che nei casi di emergenza si adottano provvedimenti di emergenza, giustificati dal fine e, ovviamente, essi riguardano modalità meno democratiche di esercizio di governo e regolazione delle libertà. Inoltre, la crisi pandemica ha accentuato in maniera sensibile le differenze sociali, ha cioè avuto effetti differenti sui diversi ceti sociali: un aumento della disoccupazione e della povertà, da un lato, mentre dall’altro un incremento del 7 per cento delle ricchezze dei miliardari; mai si era registrata una forbice sociale così ampia… in tutto il mondo sono duemila coloro che detengono oltre un miliardo di dollari di patrimonio (i dati provengono dalla banca svizzera UBS). Altra questione, l’iniquità della pressione fiscale, che nel tempo ha gravato sempre di più sui ceti medio bassi, cioè sui redditi da lavoro, mentre molto poco sui possessori di capitali. Emiliano Brancaccio, economista, in una recente pubblicazione ha ironizzato parlando di poveri che donano ai ricchi, ovvero di un sistema che agevola un capitalismo iniquo, lasciando ai possessori di capitali la piena libertà di spostare le loro ricchezze nel mondo, alla ricerca di conti cifrati, più protetti dallo sguardo del fisco, e di aliquote più basse. Così si è inserita una competizione al ribasso, dove i Paesi vezzeggiano i ricchi pur di tenerseli vicini ed evitarne la fuga all’estero, mentre sui poveri grava una pressione fiscale sempre più iniqua e insostenibile.
A questo punto voi mi direte: ma non dovevi fare ciò che ti fa stare bene? Parlare di tutto questo dubito faccia stare bene! E in effetti un certo rodimento ci sta, non lo sentite? Sempre quello stesso rinfaccio del tipo “peperoni di sera”.

peperoni al forno

Mi fermo allora, lo faccio oramai spesso, e, così come canta in “Povera Patria” Franco Battiato: “Si può sperare che il mondo torni a quote più normali”; mentre soffiano venti di guerra, dittature di poteri come iene, io penso alle piccole cose, alla filosofia dei piccoli passi, del piccolo mondo in cui ci si può realizzare, volere bene, capire e sognare, perché si avverino piccoli miracoli di virtuosa esistenza, microcosmi di felicità… ecco… sono un lusso anche questi, ma un lusso che ancora possiamo permetterci, forse.
Intanto, “la primavera stenta ad arrivare…”.

Fino a poco tempo fa mi sono nascosta dietro l’eteronimo di Nota Stonata, una introversa creatura nata in una piccola isola non segnata sulle carte geografiche che per una certa parte mi somiglia.
Sin da bambina si era dedicata alla collezione di messaggi in bottiglia che rinveniva sulla spiaggia dopo le mareggiate, molti dei quali contenevano proprio lettere d’amore disperate, confessioni appassionate o evocazioni visionarie.
Oggi torno a riprendere la parte di me che mancava, non per negazione o per bisogno di celarla, un po’ era per gioco un po’ perché a volte viene più facile non essere completamente sé o scegliere di sé quella parte che si vuole, alla bisogna.
Ci sono amici che hanno compreso questa scelta, chiamandola col nome proprio, una scelta identitaria, e io in fin dei conti ho deciso: mi tengo la scomodità di me e la nota stonata che sono, comunque, non si scappa, tentando di intonarmi almeno attraverso le parole che a volte mi vengono congeniali, e altre invece stanno pure strette, si indossano a fatica.
Nasco poeta, o forse no, non l’ho mai capito davvero, proseguo inventrice di mondi, ora invento sogni, come ebbe a dire qualcuno di più grande, ma a volte dentro ci sono verità; innegabilmente potranno corrispondervi o non corrispondervi affatto, ma si scrive per scrivere… e io scrivo, bene, male…
… forse.
Francesca Suale

Un commento su ““Devi fare ciò che ti fa stare bene”… lascia stare i peperoni di sera

  1. “democrazia” e “capitalismo” non possono coesistere così come “ambientalismo” “del fare” o “impiantistico” oppure “sviluppo” e “sostenibile”. Solo una persona con la sindrome di Stoccolma poteva pensare che un ex capo della BCE (voluto da un indagato a capo di un partito fondato da un condannato per mafia) che aveva imposto le restrizioni alla Grecia fosse un politico nel senso bello e profondo della parola. O semplicemente che fosse a capo di un governo che potesse stare dalla parte del territorio, dell’economia locale, delle famiglie, della salute, istruzione e delle infrastrutture pubbliche. Non mi meraviglia abbia ridotto le tasse alle armi, favoriti gli impianti fossili, quindi inquinanti che causano i cambiamenti climatici, fatto aumentare il debito pubblico, l’inflazione e lo spread, aumentato le fratture e divisioni sociali. Tornando al tema del post “DEVI FARE CIÒ CHE TI FA STARE BENE”… LASCIA STARE I PEPERONI DI SERA” vale la stessa motivazione delle vittime che continuano a cercarsi i carnefici, di chi addossa sempre la colpa agli altri e non si assume le proprie. Solo una grande percentuale di elettori italiani che soffrano della sindrome di Stoccolma o di autolesionismo o comunque che cercano e alimentano lo scontro fatto sistema può spiegare le percentuali di votanti che hanno avuto nel tempo chi ha votato i partiti di destra (tutti) e favorito o non contrastato i poteri del ventennio. Come dice Papa Francesco: ci siamo illusi di poter essere sani in una società malata. E la malattia della frattura sociale ci circonda… i peperoni di sera li possiamo e sappiamo evitare, i portatori dello scontro sociale continuo no

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