Il cielo sopra Berlino: l’insostenibile voglia di amare

                    

“Alla nascita, un angelo visita tutti i bambini e racconta loro la loro vita futura. Mentre se ne va, lascia un segno sopra la bocca, segno dell’amnesia della conoscenza. Per nascere devi dimenticare. Ma se ogni uomo dimentica questo segreto, l’angelo si ricorda di lui e porta il peso di conoscere il segreto della vita”.

Nella Berlino ancora divisa dal muro, due angeli vigilano, invisibili, sul corso delle esistenze umane. Essi possono sentire i pensieri di ognuno e cercare, mettendosi accanto, di lenire i dolori dei più sofferenti. Loro si ritrovano periodicamente per raccontarsi le reciproche esperienze. La città, con la sua tormentata storia è l’altra protagonista della pellicola.

Ispirato da Rilke e con la collaborazione di Peter Handke, nel film “Il cielo sopra Berlino”, il regista Wim Wenders ci propone una riflessione sull’esistere che si fa cinema, pensiero e azione; innanzitutto cinema, fin dalle primissime immagini, con l’angelo Damiel interpretato da Bruno Ganz che viene visto dai bambini in un affascinante bianco e nero. Quell’angelo è un “collega” degli angeli registi che Wim sente vegliare su di lui: Truffaut, Ozu e Tarkovskij a cui dedica il film.

Wim Wenders

L’angelo Damiel è anche colui che sente il bisogno di superare la fase di ‘ascolto della vita’ per immergervisi completamente e che per amore sceglierà di rinunciare alla sua immortalità e farsi uomo; non basta osservare la realtà e condividerne i sogni e le illusioni, bisogna entrarvi con il peso della passione e del dolore. Non a caso ad aprire questa dimensione all’angelo sono due persone che hanno fatto della rappresentazione la loro vita: la trapezista Marion e l’attore Peter Falk, un ex angelo; grazie a loro il bianco e nero può diventare colore e l’angelo, che osservava dall’alto del campanile simbolo della Berlino devastata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, può ora innamorarsi, perdendo l’eternità ma acquisendo finalmente la fondamentale dimensione umana.

Bruno Ganz, Peter Falk e la trapezista Marion

“Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders è uno di quei film impossibili da descrivere in maniera efficace, il vasto repertorio dei temi importanti trattati in questo film stupisce e ammalia; quest’opera vuole essere in primis un inno d’amore a una città ancora segnata da una profonda anomalia: il Muro che costituisce un limite terrestre invalicabile, ma lo spazio aperto del cielo sopra quel Muro rimanda a un ideale assoluto di libertà. In questo spazio fluttuano gli angeli, fuori dal tempo ma dentro la Storia.

Per tutta la durata del film, sentiamo recitata la meravigliosa poesia dedicata all’infanzia, scritta da Peter Handke, essa sembra esortarci a tornare a dare uno sguardo sul mondo con gli occhi di un bambino, che non dà assolutamente nulla per scontato. La poesia ricorda una logica “illogica” e fa considerare ciò che accade nella sua naturalezza, senza cercare per forza una spiegazione.

“Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare…”

Ed ecco che fa capolino un altro caposaldo importante del film: la testimonianza, il ricordo degli eventi. Per tutta la pellicola, si segue la voce di un cantore che, tessendo le fila degli accadimenti della storia, fa il suo personale tuffo nel passato. 

Damiel e Cassiel, i due angeli protagonisti del film, registrano gli episodi e le posizioni dell’essere umano, per poter tramandare la memoria per l’eternità. Ma questo processo è limitato, come ci dice lo stesso Damiel:

Sì, è magnifico vivere di solo spirito e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l’eternità, soltanto ciò che è spirituale. Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa, e allora non vorrei più fluttuare così in eterno. Vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi questa infinitezza legandomi in qualche modo alla terra, a ogni passo, a ogni colpo di vento. Vorrei poter dire: ora, ora e ora! E non più: da sempre, in eterno. Per esempio, non so, sedersi al tavolo da gioco ed essere salutato, anche solo con un cenno. Ogni volta che noi abbiamo fatto qualcosa era solo per finta: ci siamo lussati l’anca facendo la lotta di notte con uno di quelli, sempre per finta. E ancora per finta abbiamo preso un pesce. Per finta ci siamo seduti ad un tavolo, abbiamo bevuto e mangiato. Ci siamo fatti arrostire l’agnello e abbiamo chiesto il vino, per finta, sotto la tenda nel deserto, solo per finta”.

Il cielo sopra berlino, i due angeli
Damiel e Cassiel, i due angeli

Quindi non è possibile comprendere veramente il coinvolgimento in prima persona della realtà e dei fenomeni sull’uomo, se non si vivono sulla propria pelle, come diceva lo scomparso poeta rocker Jim Carroll: “Occorre sporcarsi il cuore!”

La Germania non dimentica il grande disastro di una Berlino distrutta alla fine della guerra mondiale; le immagini di repertorio degli americani dopo il loro arrivo nella capitale riprendono un doloroso memento. C’è un muro a separare l’est dall’ovest, una linea invalicabile che testimonia uno stato di pace apparente, Berlino è ancora una città divisa dal muro, logorata dalla guerra e segnata visibilmente, che conserva i suoi lati nascosti, composti da macerie, palazzi distrutti, piazze ormai inesistenti. Tracce invisibili di una vita che è stata vissuta, e poi si è persa.

Potsdamer Platz, viene tanto cercata dal vecchio Homer ma non è mai trovata. Una piazza che muta realmente nel tempo, dato che oggi è ancora diversa rispetto a quella ritratta nel film. È l’incredibile vena poetica che ci sommerge in questo incommensurabile incanto. E sì, “siamo tutti nella stessa barca”: questo dovrebbe scaturire nelle nostre mille riflessioni.

Alla ricerca della Potsdamer Platz

“Il cielo sopra Berlino” diventa così anche un testimonial fotografico prima della fine del mondo. Nel 1989 il muro crollerà per l’implosione sovietica e gli spazi semideserti vedranno sorgere il centro Sony, simbolo di un capitalismo dirompente prima inesistente nella DDR.
L’angelo Bruno Ganz ha bisogno di diventare umano per amare la trapezista Marion, per soffrire, per gioire, per sentire qualcosa; così le immagini circensi dopo la performance sono un omaggio a Chaplin e gli occhi di Marion, pieni di lacrime, ci danno il senso di malinconia di un’acrobata che sa volteggiare come un angelo sul palco, ma che si ritrova da sola davanti allo specchio. L’amore è anche una prova di stabilità, è la necessità di sorreggersi a vicenda, con la corda dell’equilibrio ben ferma, e Damiel, aiutato da un vecchio angelo, – Peter Falk – riuscirà a far tornare il colore nella vita della giovane.

Nel film si osservano due diverse forme di temporalità: la storia e l’eternità. Compito semplice distinguerle, poiché il tempo fuori dal tempo, il tempo che non comincia e non finisce, è bianco e nero, abitato dagli angeli, ma anche dai bambini, cittadini di un paradiso dove tutto ha un’anima, dove c’è il limpido stupore dell’immensità. L’altra forma, la Storia, è fenomenica, a colori, dove la gente da un lato trema di fronte all’immagine del nulla delle piazze distrutte dalla guerra, dall’altro però lavora, balla, suona, si agita e soprattutto racconta. Homer, il poeta anziano, che sente ancora il bisogno, nonostante i suoi limiti fisici, di leggere e di cantare le gesta dei suoi cittadini, per riscattare il tempo; perché “senza cantori, la società perde la propria storia, la propria infanzia”.

Dove finisce lo spazio? Finisce contro quel muro, che quando ci si perde diventa limite fisico ma non mentale, perché la fantasia non si può bloccare, corre e salta oltre.

Il cielo sopra Berlino è, in fondo, il diario di una crisi; la lenta presa di coscienza che senza decisione, senza angoscia, non esiste felicità; che anche la solitudine più dura può portare alla completezza, così come dalla città distrutta può sorgerne una nuova. Altrimenti la leggerezza invisibile degli angeli diventa insostenibile e lacerante.
Marion la trapezista invece è metafora dell’umano: vola in aria, senza rete, leggera ma allo stesso tempo pesante, con il rischio di cadere, ma con il desiderio di restare in alto; ricorda a chi la guarda, spettatori e angeli, che vivere è restare in equilibrio sul dorso del nulla; senza questo continuo tentativo umano di altezza e caduta, si diventa spettatori del reale, ma mai protagonisti.

Amore è sorreggersi, come in uno spettacolo di circo; amore è apertura all’Altro, e qui diviene più evidente la vera risposta del film: contro la chiusura del muro, solo la meraviglia dell’incontro con l’Altro può aprire una crepa, creare una storia.
Quando il bambino era un bambino, non sapeva di esserlo, ma Damiel non è mai stato questo bambino e ora lo vuole diventare; entrare nel mondo degli uomini per lui significa finalmente rinunciare a questa vita di angelo: la libertà inizia dove finisce la conoscenza.

Siamo subito colpiti dal paradosso tra questi personaggi: lui, Damiel, vuole togliersi le ali perché la sua felicità è sulla terra, lei, Marion, è felice solo quando vola in aria, e quando si incrociano la pellicola cambia d’incanto colore.
“Il cielo sopra Berlino” è una poesia, una metafora della vita. Un film che fa semplicemente venire voglia di amare.


Bibliografia:

  • Filippo D’Angelo, Wim Wenders, Roma, Il Castoro, 1995;
  • AA.VV. Stanotte vorrei parlare con l’angelo. Scritti 1968-1988, Milano Ubulibri, 1989;
  • Wim Wenders, Erste Beschreibung eines recht unbeschreiblichen Filmes – Verlag der Autoren 1988;
  • Sandro Bernardi, L’avventura del cinematografo, Venezia, Marsilio, 2007;
  • Giovanni Spagnoletti, Il nuovo cinema tedesco: Rainer Werner Fassbiner e Wim Wenders, Roma Aracne, 2002.

Lino Predel non è un latinense, è piuttosto un prodotto di importazione essendo nato ad Arcetri in Toscana il 30 febbraio 1960 da genitori parte toscani e parte nopei.
Fin da giovane ha dimostrato un estremo interesse per la storia, spinto al punto di laurearsi in scienze matematiche.
E’ felicemente sposato anche se la di lui consorte non è a conoscenza del fatto e rimane ferma nella sua convinzione che lui sia l’addetto alle riparazioni condominiali.
Fisicamente è il tipico italiano: basso e tarchiatello, ma biondo di capelli con occhi cerulei, ereditati da suo nonno che lavorava alla Cirio come schiaffeggiatore di pomodori ancora verdi.
Ama gli sport che necessitano di una forte tempra atletica come il rugby, l’hockey, il biliardo a 3 palle e gli scacchi.
Odia collezionare qualsiasi cosa, anche se da piccolo in verità accumulava mollette da stenditura. Quella collezione, però, si arenò per via delle rimostranze materne.
Ha avuto in cura vari psicologi che per anni hanno tentato inutilmente di raccapezzarsi su di lui.
Ama i ciccioli, il salame felino e l’orata solo se è certo che sia figlia unica.
Lo scrittore preferito è Sveva Modignani e il regista/attore di cui non perderebbe mai un film è Vincenzo Salemme.
Forsennato bevitore di caffè e fumatore pentito, ha pochissimi amici cui concede di sopportarlo. Conosce Lallo da un po’ di tempo al punto di ricordargli di portare con sé sempre le mentine…
Crede nella vita dopo la morte tranne che in certi stati dell’Asia, ama gli animali, generalmente ricambiato, ha giusto qualche problemino con i rinoceronti.

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